Quando l’arte non è cosa

di Redazione Commenta

Le “mafiette” e le relative guerre fra “bande” sono il nostro sport nazionale, una pratica tanto antica quanto diffusa che generalmente mette a confronto vari gruppetti (più o meno coesi) di amici che hanno l’intento comune di spartirsi una torta, sia essa piccola o grande. Questo modus operandi è largamente diffuso all’interno della scena dell’arte contemporanea nostrana e forse il Padiglione Minestrone Italia del Vittorione Nazionale ®, nel tentativo di opporsi alle mafiette, ha di fatto portato alla luce un ennesimo gruppetto di amichetti, vale a dire quello degli artisti che si trovano al di fuori della scena ufficiale ma godono comunque della stima di una parte della borghesia costituita da intellettuali, registi e compagnia cantante.

Il gruppetto messo in luce da Vittorione persegue gli stessi intenti delle altre “bande” vale a dire piazzare artisti in luoghi istituzionali, crearsi una cerchia di collezionisti, stringere rapporti con i galleristi e via dicendo. Ora non sto certo dicendo che queste art wars esistono solo in Italia ma il nostro paese è l’unico a non trarne un reale profitto. All’estero sono di gran lunga più furbi, perché in tutti questi giochetti riescono anche ad attivare il pubblico, a creare interesse nella popolazione ed in taluni casi anche a fornire supporti didattici. Tutto questo si risolve in una successiva “esportazione” della produzione di ogni singolo gruppetto al di fuori dei confini nazionali con evidente ritorno economico e prestigio.

Nel nostro martoriato Stivale ogni capo-gruppetto giunto ad una soglia di potere (che può risolversi nella nomina a direttore di museo, a curatore di un Padiglione, ad organizzatore di una Biennale, alla nomina ad Assessore etc.etc.)  tenta di “spingere” i componenti del suo gruppo con l’intento di arraffare quel poco che può in fretta e furia, senza curarsi di ciò che sta proponendo al pubblico, con la consapevolezza che nel giro di poco tempo egli sarà detronizzato ed un altro prenderà il suo posto. Non esiste una reale programmazione, non esiste un interesse verso il pubblico, non esiste un intento realmente comune. Ecco perché i musei Italiani ripartono da sotto zero ad ogni cambio di direzione, ecco perché i Padiglioni Italia vengono sempre più derisi dalla stampa internazionale. In tutto questo carosello il pubblico, sempre più stordito da proposte culturali che non apprezza e non capisce (e nessuno fornisce strumenti adatti per la didattica), rischia di perdere per sempre l’interesse nei confronti dell’arte contemporanea nazionale.

Micol Di Veroli

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