Non fermatevi all’apparenza. Seducenti, graziose, ludiche, le immagini della nuova mostra presentata alla Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia dal 4 aprile al 24 giugno sono solo parzialmente quello che a prima vista sembrano. Dietro a una parvenza scherzosa e spensierata esse sanno affrontare questioni difficili e alle volte dolorose, dal rapporto di un popolo col proprio passato allo spazio dell’individuo in una realtà sociale ancora troppo intrisa di contraddizioni, dalla manipolazione delle informazioni alla disillusione delle giovani generazioni.
Realizzata in collaborazione con Fondazione Fotografia e curata da Filippo Maggia, la mostra raccoglie una selezione delle opere di diciannove artisti internazionali dalla collezione della Fondazione Cassa di Risparmio di Modena. Fotografie, video e installazioni che colpiscono tanto per l’immediatezza quanto per l’efficacia con cui riescono ad aprire, con finta leggerezza, interrogativi spesso scomodi e irrisolti sulla realtà contemporanea e sulla nostra esistenza. Con approcci differenti e modulazioni dettate dalla diversa provenienza culturale, gli artisti in mostra creano corti circuiti visivi e sovvertono continuamente i livelli comunicativi di partenza. Offrono spunti per pensare o semplicemente nuovi punti di vista, soprattutto ci ricordano quanto il linguaggio delle immagini possa essere alle volte ambiguo o addirittura mendace rispetto al messaggio che si appresta invece a lanciare.
Portata agli estremi, la discrepanza può essere incredibilmente spiazzante, come avviene per l’installazione ritratta nelle undici fotografie di Zbigniew Libera, che si presenta sotto forma di un vero e proprio giocattolo. Gli scatti, intitolati LEGO Concentration Camp, ricostruiscono con i celebri mattoncini le immagini stereotipate dei lager nazisti rimaste indelebili nell’immaginario collettivo. Con questo lavoro, estremamente provocatorio, l’artista polacco allude alla facilità mediatica con cui ci relazioniamo con una delle pagine più tragiche del Novecento, nonostante orrori purtroppo simili – dai gulag sovietici alle repressioni balcaniche – abbiano potuto (e possano) ripetersi ancora.
Del percorso di mostra fanno parte 49 fotografie, 9 video e un’installazione.
L’elenco degli artisti comprende Anetta Mona Chişa & Lucia Tkáčová (Romania e Slovacchia), Philip Kwame Apagya (Ghana), Fikret Atay (Turchia), Cao Fei (Cina), Wong Hoi Cheong (Malesia), Priyanka Dasgupta (India), Samuel Fosso (Camerun), Hung-Chih Peng (Taiwan), Iosif Király (Romania), Július Koller (Slovacchia), Goddy Leye (Camerun), Zbignew Libera (Polonia), Yasumasa Morimura (Giappone), Ivan Moudov (Bulgaria), Marco Pando (Perù), Mladen Stilinović (Croazia), Tabaimo (Giappone), Yang Zhenzhong (Cina), David Zink Yi (Perù).
Il 4 aprile verrà inaugurato anche il progetto decage decalage: un allestimento delle vetrine della Galleria di Piazza San Marco che rende omaggio alla memoria di John Cage nel centenario della nascita, curato da Giulio Alessandri. Questi spazi espositivi inediti, visibili da Calle seconda dell’Ascension, verranno allestiti con materiali documentari sull’opera di John Cage provenienti dall’archivio dell’associazione romana Nuova Consonanza e integrati con materiali informativi sulla vita e la produzione visiva dell’autore. “Decage” si traduce letteralmente come “a proposito di Cage”, mentre “decalage”, che in francese significa “sfasamento temporale”, “gap”, “interstizio”, enuncia la volontà di ordinare e disordinare i materiali in mostra secondo le procedure compositive aleatorie care all’autore.