Muore Mike Kelley, l’ultimo artista/rocker underground

Il grande artista Mike Kelley (58 anni)  è venuto a mancare ieri 1 febbraio mentre si trovava nella sua residenza privata di Los Angeles. La tragica notizia è stata confermata ad Artinfo da Helene Winer della galleria Metro Pictures di New York, dealer che da diverso tempo lavorava con l’artista, e dalla Gagosian Gallery (altra galleria di rappresentanza dell’artista). Cosa ancor più sconvolgente è che Kelley ha deciso di togliersi la vita, commettendo un tragico suicidio.

“Era depresso da diverso tempo ed i suoi amici erano molto preoccupati. E’ una vera tragedia, Kelley era un grande artista, giovane e brillante e di grande influenza per la scena internazionale. Sono scioccata, non posso pensare che Kelley abbia deciso di fare una cosa del genere. Sono sconvolta.” ha dichiarato Helene Winer alla stampa internazionale. Nel corso della sua carriera Kelley ha esplorato il lato oscuro della società americana, prendendo spunto dall’iconografia cristiana, dal Surrealismo, dalla psicoanalisi, dalla cultura Trash, dal folclore e dalla caricatura.

LAWRENCE WEINER – EVER SO MUCH / MAI COSÌ TANTO

Lawrence Weiner, figura centrale tra i fondatori della Conceptual Art, interviene nello spazio di Base con nuove installazioni sui muri di grande formato. E’ la prima mostra personale di Weiner a Firenze e in Toscana, che segna l’inizio del quattordicesimo anno di attività dello storico spazio non profit.

Lawrence Weiner, nato nel 1942, vive e lavora tra New York ed Amsterdam, ha formulato il suo lavoro, sin dal 1967, ricorrendo al linguaggio piuttosto che a medium tradizionali quali la pittura o la scultura, considerando esso stesso un oggetto materiale. Nel linguaggio, l’artista americano trova uno strumento per la rappresentazione materiale dei rapporti del mondo esterno eliminando tutti i riferimenti alla soggettività artistica, tutte le tracce della mano dell’artista, la sua abilità, o il suo gusto. Utilizzando, dove possibile, simboli semantici e grammaticali, egli ha articolato il suo lavoro in termini inequivocabilmente diretti.

Un David Hockney da record zittisce Damien Hirst ed i detrattori della pittura


La recente polemica tra David Hockney e Damien Hirst è apparsa su tutte le prime pagine dei magazine d’arte contemporanea del globo. In realtà gli attacchi sono partiti da Hockney ed Hirst non ha commentato. Tutto è iniziato quando Hirst ha dichiarato di aver prodotto personalmente solo i primi spot paintings ed aver in seguito passato la palla ai suoi assistenti: “Gli spot paintings mi annoiano e poi i miei assistenti li fanno meglio di me. Senza di loro sarei proprio finito” aveva dichiarato il folletto della Young British Artists.

Udendo tali parole il buon vecchio Hockney è montato su tutte le furie ed ha inveito contro il suo collega, affermando che un vero artista lavora con le proprie mani ai dipinti: “ La factory di Damien Hirst è letteralmente un insulto alla produzione artistica. Un vero artista produce le opere di suo pugno” ha dichiarato Hockney e non pago di ciò ha fatto scrivere sulle locandine della sua mostra alla Royal Academy di Londra il messaggio: “Tutte le opere sono state create dall’artista stesso”.

Damien Hirst (non) riposa in pace

Quanti articoli abbiamo scritto su Damien Hirst in queste ultime settimane? Troppi forse, e come se tutto questo non bastasse, proprio nel corso di questa settimana abbiamo redatto un’accurata critica sulla megamostra The Complete Spot Paintings ospitata dalle Gagosian Gallery di tutto il mondo. Il guaio è che al “povero” Mr. Hirst sembra accadere ogni tipo di bizzarria e per forza di cose non possiamo non documentare quanto accade.

Il celebre magazine The Village Voice ha pubblicato proprio ieri una notizia a dir poco allarmante scritta da Christian Viveros-Faune. Secondo il giornalista Damien Hirst sarebbe deceduto nella giornata del 12 gennaio scorso a New York in seguito alle complicazioni derivate da una diverticolite acuta. Causa di tutto ciò l’immane stress e le fatiche dell’allestimento che avrebbero stroncato l’artista a soli 46 anni. Il bello è che il Village Voice continua con il suo lungo “coccodrillo” con l’intera storia di Damien Hirst dalle origini fino ai giorni nostri, disquisendo sulla sua continua ricerca della morte all’interno della produzione artistica.

Marcel Broodthaers – L’espace de l’écriture



Dal 26 gennaio al 6 maggio 2012 il MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna è lieto di presentare Marcel Broodthaers. L’espace de l’écriture, la prima retrospettiva completa in Italia dedicata all’artista belga, a cura di Gloria Moure. Marcel Broodthaers è una delle figure più rivoluzionarie ed influenti nell’arte del Novecento, ancora oggi imprescindibile per comprendere lo sviluppo delle ricerche artistiche e teoriche degli ultimi decenni. La sua critica costruttiva e ironica verso il sistema dell’arte come specifico sistema ideologico e il ruolo politico dell’artista nella società ha posto questioni sempre più centrali nel dibattito critico internazionale, rivelando l’attualità stringente delle sue sperimentazioni tese ad esplorare e ridefinire il significato della creazione artistica.

Dal 1976, anno della sua morte, alcune sue esposizioni si sono susseguite nelle più importanti istituzioni museali internazioni come la Tate Modern di Londra, il Walker Art Center di Minneapolis, il Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofià di Madrid e il Jeu de Paume di Parigi, mentre recentemente l’importanza della sua opera è stata testimoniata dall’apertura di una sala specificamente dedicata dal Museum of Modern Art di New York. La mostra con cui il MAMbo rende omaggio al genio di Marcel Broodthaers valorizza nella sua complessità e nella sua estensione un percorso artistico sviluppatosi nel corso di una straordinaria carriera durata soli 12 anni dal 1964 al 1976. L’espace de l’écriture introduce per la prima volta al pubblico italiano un’ampia selezione di circa cinquanta lavori provenienti da prestigiosi istituzioni internazionali, tra cui l’Hamburger Bahnhof Museum di Berlino, lo SMAK di Gand e il MACBA Museo di Arte Contemporanea di Barcellona, che documentano i temi principali della poetica dell’artista: il rapporto tra arte e linguaggio, lo status dell’opera d’arte, la critica del museo come dispositivo e idea.

Nam June Paik – Oltre lo schermo

Nelumbo – Asian Fine Arts, la prima galleria d’arte asiatica di Bologna, ospiterà in occasione di ArteFiera OFF 2012, la serie SONATE, composta da tre litografie monocrome dell’artista coreano Nam June Paik (1932-2006). La galleria, specializzata in oggetti d’arte e d’antiquariato dei paesi asiatici, con particolare interesse per l’India, la Cina e il Giappone, da giovedì 19 gennaio a sabato 25 febbraio 2012 aprirà le sue porte ad uno dei maggiori artisti coreani contemporanei, esponente di Fluxus, movimento Neo-Dada ispirato alla varietà sonora delle composizioni musicali di John Cage, che Paik conobbe in Germania, a Monaco, dove frequentò l’Università. Attraverso le sue opere Paik, considerato l’inventore della videoart, esplora il rapporto tra arte e elettronica, elevando l’a pparecchio televisivo, uno tra i principali mezzi di comunicazione di massa, a soggetto artistico.

La serie SONATE figurerà accanto ad oggetti d’arte indiani e giapponesi, tra cui opere pittoriche che spaziano dalle suadenti atmosfere delle corti dei maharaja, come una pregiata miniatura della metà del XVIII secolo raffigurante una Gunakali Ragini secondo lo stile di Amber (Rajasthan), alle impenetrabili geometrie di uno yantra Jaina, tra i più propizi (Siddha Chakra Mahayantra) del XV secolo circa.

Perché è impossibile amare Damien Hirst ed i suoi Spot Paintings

Così Damien Hirst ha monopolizzato questo lungo inverno dell’arte contemporanea. Il suo faraonico progetto Damien Hirst The Complete Spot Paintings 1986-2011 è finalmente partito e tutte le Gagosian Gallery sparse per il globo sono state prese d’assalto da exhibition-goers, vips, esperti del settore, collezionisti, artisti e semplici appassionati. Tuttavia, dietro le luccicanti paillettes di un sistema sempre pronto al sensazionalismo ed al colpo d’effetto, l’impresa di Hirst può aiutarci a riflettere su alcuni meccanismi che regolano la produzione ed il mercato dell’arte contemporanea.

Hirst ha dichiarato di lasciare ai suoi assistenti la realizzazione degli spot paintings: “mettere mano a questo tipo di dipinti mi annoia parecchio” avrebbe dichiarato l’artista alla stampa internazionale. Ciò ha fatto infuriare i puristi e la critica, persino David Hockney si è scagliato duramente contro Hirst, che tra l’altro avrebbe eseguito solo 5 dei 1.400 dipinti attualmente in mostra. Parlare di “artigianato” e manualità può far sorridere nel 2012, specie se si prendono ad esempio la Factory di Andy Warhol, l’arte concettuale o i murales di Sol LeWitt inviati tramite Fax ed eseguiti dagli assistenti a migliaia di chilometri di distanza.

Omaggio alla carriera per Luigi Ontani, succede a Bologna in occasione di Arte Fiera

Venerdì 27 Gennaio alle ore 21.00 il Dipartimento delle Arti Visive dell’Università di Bologna e UniboCultura, con la collaborazione del Comune di Bologna e Arte Fiera Art First 2012, presentano la terza edizione dell’omaggio dedicato ad artisti di fama internazionale invitati a Bologna in occasione di Artefiera. Dopo Bill Viola nel 2010 e “Lady Performance” Marina Abramovic nel 2011, l’omaggio di quest’anno è rivolto a Luigi Ontani, protagonista indiscusso nel panorama artistico internazionale. Renato Barilli, curatore e moderatore dell’evento, sarà affiancato da Aldo Busi in un dialogo a tre. Illy, abituale sostenitore di eventi di prim’ordine nel panorama artistico contemporaneo, ha confermato anche quest’anno il suo supporto all’evento.

L’omaggio alla carriera di Luigi Ontani avverrà attraverso immagini e video delle sue storiche performances realizzate negli anni Settanta, fino alle sue più recenti produzioni. S’intende percorrere l’intero curriculum dell’artista, ricco senza fine di esiti brillanti nella creazione di dipinti, oggetti, tessuti, ceramiche, e in una serie incessante di tableaux vivants, ricostruendolo mediante la proiezione su maxi-schermo di una fitta documentazione, fino all’ultima creazione che vede un gruppo di maschere impersonare i colori della tavolozza recando mazzi di fiori.

Furto alla Galleria Nazionale di Atene, bottino da 5 milioni di euro

Per la Grecia questo non è  un momento fortunato, oltre alla crisi che nel 2011 ha definitivamente affossato questa gloriosa nazione, ci si mette anche il nuovo anno con rinnovate sventure. Il celebre magazine online Artinfo ha infatti pubblicato una notizia su di un rocambolesco quanto bizzarro furto avvenuto alla National Gallery di Atene nella mattinata dello scorso lunedì 9 gennaio.

Il museo stava per giusto chiudere la mostra Unknown Treasures (data effettiva di chiusura 14 gennaio n.d.r.) quando un terribile furto ha scosso l’intera nazione. Domenica sera alcuni ladri sono riusciti ad accedere ad una balconata del museo ed hanno fatto scattare l’allarme numerose volte, senza entrare negli spazi della prestigiosa istituzione. Le guardie, snervate dai continui falsi allarme hanno pensato ad un malfunzionamento del sistema ed hanno pensato bene di escludere i sensori della balconata. I malfattori hanno quindi atteso il loro turno e durante le prime ore di lunedì si sono introdotti nel museo, entrando agilmente dal passaggio sicuro che si erano aperti.

Marina Abramovic e il gala del MOCA, un video riaccende le polemiche

Marina Abramovic è una delle nostre artiste predilette e molto spesso il suo nome compare su queste pagine, che ne narrano le impavide gesta. A volte pero’ anche i grandi commettono dei piccoli errori ed anche la nostra Marina ha fatto un capitombolo proprio verso la fine del 2011. Parliamo dell’affaire MOCA e della performance che l’artista ha organizzato per il grande gala ospitato dalla prestigiosa istituzione guidata dal volpone Jeffrey Deitch. Sono stati in molti a schierarsi contro la performance che ha di fatto aperto il vaso di pandora dei lavoratori dell’arte.

Performers costretti ad azioni estenuanti e pericolose senza la benché minima copertura assicurativa e paghe al di fuori dell’umana decenza, questa formula esplosiva ha infiammato gli animi dei professionisti del settore e persino Yvonne Rainer si è scagliata contro la “povera” Marina. In seguito è arrivato il rifiuto di Sarah Wookey, una performer balzata agli onori della cronaca per merito di una lettera dove venivano elencate le “barbarie” perpetrate dall’organizzazione dell’evento.

Hirst copia Willy Wonka e lancia la Spot Challenge

Come ormai tutti sanno il genietto della YBA, MR. Damien Hirst ha già acceso i motori per il suo faraonico progetto dal titolo Damien Hirst: The Complete Spot Paintings, 1986-2011. Si tratta di una mostra iperplanetaria che si aprirà il 12 gennaio in tutte le sedi della Gagosian Gallery sparse per il mondo, un evento in contemporanea senza precedenti che fin dalle prime anticipazioni non ha mancato di generare grandi polemiche ma anche grande curiosità.

Due sedi a Londra, tre a New York, e una rispettivamente a Parigi, Roma, Hong Kong, Atene, Ginevra e Beverly Hills, il supermarket dell’arte contemporanea si riempirà dei mitici Spot Paintings, i quadrucci con i puntini colorati che Hirst delega ai suoi assistenti perché troppo noiosi da realizzare, quelli che hanno mandato su tutte le furie anche un vecchio e navigato volpone come David Hockey, accanito sostenitore dell’intervento manuale dell’artista all’interno della pratica creativa. Ci chiediamo se il buon Hockey sia già venuto a conoscenza dei piani di Hirst per ravvivare la già scoppiettante pluripersonale e nel caso ancora non fosse istruito sulle prossime mosse del folletto, eccoci pronti ad informarlo.

Takashi Murakami dice no a Cool Japan su Twitter

Il re del pop del Sol Levante, alias Takashi Murakami, è un bel furbetto e solitamente non si lascia scappare quelli che potremmo definire come “affari internazionali”. Stiamo ovviamente parlando delle varie joint venture che il nostro genietto d’oriente ha più volte innescato, coinvolgendo brand internazionali come ad esempio Luis Vuitton per il quale ha disegnato una simpaticissima linea di borse chiamando in causa i suoi caratteristici personaggi superflat.

Che dire poi del recente doodle disegnato per Google il 21 giugno del 2011. Insomma, il buon Takashi sa bene come trarre profitto dal suo genio anche al di fuori del patinato mondo dell’arte contemporanea. Eppure anche Murakami sa dire di no quando c’è di mezzo una situazione poco chiara creata da un’iniziativa governativa. Ci riferiamo alla famigerata Cool Japan, una campagna lanciata dal governo giapponese con l’obbiettivo di esportare all’estero la cultura nazionale. In questi ultimi anni Cool Japan è stata duramente criticata da più parti, nel 2010 ad esempio il quotidiano Yomiuru Shimbun ha definito l’intera iniziativa come: “una spesa inutile che non sta aiutando gli interessi commerciali del nostro Paese ed anzi rischia di far emergere la Corea del Sud al nostro posto”.

Montaggio delle Attrazioni

Il 13 gennaio inaugura alla Galleria L’Attico di Roma la mostra Montaggio delle Attrazioni. Dal comunicato stampa: “Trovare il titolo a una mostra o a uno spettacolo è un’incombenza che mi tocca, piacevole rovello, alcune volte l’anno. Il giusto titolo, calzante, vuole i suoi tempi per rivelarsi. Può darsi che venga alla luce di getto, vena carsica snidata dal mio bastone appuntito di rabdomante. Più spesso, però, l’idea buona non sgorga subito. E’ stato questo il caso di Montaggio delle attrazioni. Così definì il cineasta russo Sergej Ėjzenštejn il suo processo di assemblaggio delle immagini filmiche disposte in sequenza. E per l’appunto cos’è questa mostra, fatta salva la diversità strutturale del cinema, se non una ricerca di relazione tra le immagini, nella fattispecie dipinti e sculture? “Ecco, la mostra è montata” ho come sempre mormorato tra me e me alla fine dell’allestimento. In quel momento, sgominando gli altri titoli in lizza, mi è scattata l’associazione con Ėjzenštejn.

È pur vero che il modo di allestire le mostre non può essere più lo stesso dopo il consolidamento dell’installazione come nuova forma d’arte. Essa è sì la provvidenziale foglia di fico, il comodo escamotage cui ricorrono tanti sedicenti artisti. Ma non si può negare che abbia nobilitato l’idea di spazio, elevato da mero contenitore a rango di opera d’arte, fondata sull’equilibrio d’insieme dei singoli elementi in gioco. In linea di principio è con questo spirito che allestisco spettacoli e mostre. Ed ora inoltriamoci nelle cinque sale espositive. Quella di Di Stasio è una vera e propria scatola ottica dove due pitture si fronteggiano: un gigantesco viandante nudo provvisto di bastone che sovrasta la città notturna, e lo stesso gigante divenuto lillipuziano, visto come attraverso un cannocchiale rovesciato. Il lavoro maniacalmente figurativo di Di Stasio è perfetto per gli illusionismi.

Da Hopper a Warhol. Pittura americana del XX secolo a San Marino

Da Hopper a Warhol. Pittura americana del XX secolo a San Marino, curata da Marco Goldin, è proposta a Palazzo SUMS dal 21 gennaio al 3 giugno (in parallelo alla grande mostra riminese “Da Vermeer a Kandinsky. Capolavori dai musei del mondo a Rimini”). L’esposizione prende in considerazione tutti i momenti fondamentali, a partire dal realismo di Edward Hopper da un lato e di Thomas Hart Benton dall’altro, fino all’esperienza così particolare di Giorgia O’Keeffe. Già da questi primi nomi si comprende come la partenza della rassegna sammarinese sia straordinaria, con il realismo adamantino e stordente di Hopper, la cosiddetta visione regionale di Benton e la secchezza in cui si mescolano descrizione e metafisica della O’Keeffe.

A questa prima fase succede quella, indimenticabile, della grande astrazione americana. Divisa in mostra tra una parte più gestuale e una in cui il colore pare distendersi libero e indicare anche il senso della costruzione e della forma. Tutti i nomi più celebri vi sono compresi, a cominciare ovviamente da quello di Jackson Pollock, presente con due grandi tele, la prima del 1949 e la seconda del 1952. Poi ancora Franz Kline, con un grandi dipinto del 1960, dunque il momento migliore del suo lavoro.  Su un registro intermedio si giocano i quadri inclusi in mostra di un autore straordinario che lavora sul segno declinato nella grande superficie spesso quasi monocroma. E’ dunque il caso di Arshile Gorky che più di altri ha saputo rendere il fascino di una scrittura che si mescola alla materia di un colore rappreso.