L’Italia e le troppe scene dell’arte emergente

La scena dell’arte emergente italiana. In verità sarebbe più corretto parlare di scene della giovane arte, poiché le divisioni presenti all’interno del nostro paese sono ancor più evidenti quando si parla di creatività. Tali sottoinsiemi di un grande insieme appaiono slegati da quest’ultimo e questo inutile frazionamento rappresenta il punto debole dell’arte emergente del tricolore. Unendo tutte queste diversità l’Italia potrebbe sfruttare al meglio la sua forza creativa, inserendosi nel gruppetto delle nazioni che “contano”. Unità e collaborazione è quindi l’auspicio e l’esortazione che ci sentiamo di rivolgere a tutti gli addetti del settore, all’insegna di un 2011 proficuo per la giovane arte italiana. Ecco quindi l’analisi delle varie scene presenti sul nostro territorio:

La scena delle fondazioni, associazioni ed altre organizzazioni che hanno come obiettivo la  promozione dell’arte emergente gioca un ruolo importante nel nostro paese. Questi organismi generalmente si propongono come piattaforme per la sperimentazione ma spesso e volentieri supportano nomi già noti al mainstream. Si gioca sul sicuro con meno rischi e si punta su artisti con buoni dealers alle spalle. Ogni fondazione ha il suo gruppo di giovani artisti ben distinto.

Ma che ce frega, ma che ce importa della Project Room

Eccoci giunti all’inizio del nuovo anno, molti di voi avranno già stilato una lista di buoni propositi per il 2011 ma tra lo smettere di fumare ed il mettersi a dieta c’è anche una lunga lista di sogni e desideri che ognuno vorrebbe veder realizzati. La scrivente ne ha ben due nel cassetto. Ambedue sono legati al territorio romano e allo sviluppo della giovane arte contemporanea ed anche se al momento sembrano irrealizzabili è giusto lottare per tentare di renderli un poco più concreti.

Parliamo del primo, sarebbe giunto il momento di istituire una Project Room legata alla scena locale in almeno uno dei poli museali della capitale dedicati all’arte contemporanea. Disporre di meravigliosi centri culturali come il MAXXI o il MACRO è un vanto, ma non è salutare rendere queste due istituzioni delle isole barricate nel loro splendore. Il MACRO lo scorso anno ha lanciato il pregevole progetto Roommates ma siamo ancora ben lontani da una solida programmazione legata alla giovane arte. Stiamo parlando di un museo che dispone di un vasto bacino di spazi espositivi, non sarebbe quindi un peccato dedicare una piccolissima parte di questi spazi all’arte locale, non ci vogliono grandi investimenti, solo un poco di impegno.

Ci vieni alla mostra? C’è l’Industrialminimalism che ti piace tanto

Avete mai assistito ad una mostra di Industrialminimalism? Parliamo della nuova avanguardia artistica che va tanto di moda tra gli spazi più cool del momento. Anche nella vostra città ne stanno organizzando una proprio oggi e se uscite di casa potrete vederla, o forse non vederla. Mi riferisco ad una tendenza sconcertante che ha ormai preso alla gola l’intera scena dell’arte nazionale. Il tremendo processo irreversibile dell’Industrialminimalism comincia più o meno così:

Vi recate in una galleria che sembra in bilico tra un magazzino in disuso ed una segheria dei prestigiosi mobilifici della brianza. Il titolo della mostra in programma suona tipo Floating Structures o magari qualche altra paroletta in tedesco che fa molto figo. All’interno della galleria il pubblico, con in mano dei magazine d’arte italiani (rigorosamente scritti in inglese e con articoli sovrasensibili), pilucca ibridazioni gastronomiche in bilico tra il sushi e il caciucco mentre si aggira con aria finto-annoiata-impegnata per tutto lo spazio espositivo. 

Censura e arte, intervista esclusiva a Michael Iacovone e Mike Blasenstein sul “caso David Wojnarowicz”

Una mostra sulle diversità organizzata dalla Smithsonian Portrait Gallery di Washnigton DC (per saperne di più leggete il nostro articolo e questo secondo approfondimento). Un video dell’artista David Wojnarowicz che viene censurato e rimosso dal museo. Due coraggiosi manifestanti/artisti Michael Iacovone e Mike Blasenstein tentano di riproiettare il video all’interno degli spazi tramite un iPad ma vengono allontanati e banditi dal museo. Si tratta della cronaca di uno dei più gravi casi di censura all’arte ed alla libertà di espressione degli ultimi anni. Globartmag vi offre oggi un’intervista esclusiva a Iacovone e Blasenstein per far luce su questa vergognosa vicenda:

1 Potete dirci cosa è realmente successo alla Smithsonian National Portrait Gallery e spiegarci l’importanza della vostra azione?

Michael Iacovone: Abbiamo deciso che il video doveva essere rimesso in galleria e nessun’altro aveva intenzione di farlo. Abbiamo quindi pensato che non sarebbe stato difficile mostrare il video su di un iPad ed in seguito filmare le interazioni del pubblico, inoltre non c’era ragione per non farlo. Dopo circa 10 minuti dall’inizio della nostra azione la sicurezza del museo ha sentito il bisogno di fermarci. Io sono stato ammanettato e siamo rimasti in consegna sino all’arrivo della polizia.  Come artista penso che l’azione sia stata importante poichè se non ti schieri contro le decisioni istituzionali allora non puoi far altro che accettarle. Non sto parlando della maggioranza delle persone o delle persone che aiutano altri ad essere eletti, sto parlando di tutti. E sono ancor più preoccupato perchè non vedo più dissenso in giro. Le persone sembrano arrabbiate ma accettano ogni decisione istituzionale, solo pochi hanno il coraggio di aprire un confronto.

Mike Blasenstein: Abbiamo semplicemente riportato l’arte in un posto dedicato all’arte, parliamo di un’opera che si trovava nel museo fino a pochi giorni prima del misfatto. La sicurezza ci ha fintamente accusati di volantinaggio e di fare riprese non ammesse, ma si tratta di scuse per buttarci fuori.

Gli anni d’oro della Street Art all’italiana

Joe, Pane Trv, Sugo, Tuff, Koma, Heko, Game. Chi sono costoro vi chiederete voi, ebbene stiamo parlando di una scena lontana lontana, quella della street art alla romana per intenderci. In pieni anni ’90, quando gli eroi del contemporaneo come Banksy non erano ancora coccolati dalle grandi istituzioni internazionali, le metro e le mura della capitale si riempivano di tags e murales compiuti dagli street artists appena citati.

Se siete di Roma e vi è capitato di prendere la metro od il famigerato trenino per Ostia, avrete sicuramente visto le opere di Pane e compagnia cantante sui vagoni e sui sottopassi nei pressi dei binari. Molti di quei tags sono ancora li e nel bene e nel male hanno scandito le giornate (soprattutto gli spostamenti) di centinaia di migliaia di romani. Reperti archeologici di una Roma che sognava a stelle e strisce senza disdegnare un bel piatto di carbonara. Ma era comunque una street art battagliera, notturna e suburbana come è possibile leggere dalle pagine del blog pezzate: “Dipingere a Laurentina, il capolinea della metro B a Roma sud, non era cosa facile durante il servizio, perche bisognava farlo col conducente dentro al treno che aspettava di partire. In piu c’erano pulitori e treni che andavano e venivano sulle altre banchine, e la guardia di stazione che di tanto in tanto si faceva un giretto. Una volta partito il treno tutti dietro ai cespugi a bordo banchina ad aspettare il convoglio successivo e così via finche non esaurivi gli spray o eri costretto a scappare…”.

I soldi del museo? Se li prende l’iPhone

Leggevo ieri un’intervista di Exibart ad Achille Bonito Oliva sullo spauracchio dei tagli alla cultura. Mi sembra che il celebre e stimato curatore e critico d’arte abbia ben fotografato le cause e gli effetti di questa terribile situazione-Italia, ma (prendendo in esame solo le istituzioni museali ed affini) quali potrebbero essere le soluzioni a questo problema? Come portare soldi alle casse dello stato ed al contempo evitare lo sfacelo totale delle istituzioni museali e culturali in genere? Difficile a dirsi. Il governo inglese ad esempio, tramite il ministro della cultura Jeremy Hunt, sta tentando di incoraggiare i ricchi del paese a finanziare le operazioni culturali dell’intera nazione.

Fino ad ora sono stati raccolti circa 120 milioni di dollari che potrebbero servire a finanziare tante iniziative o comunque a sorreggere ciò che esiste già. Il privato dunque rimane un’importante carta da giocare per non far andare tutto in rovina. Musei e monumenti gestiti dai privati, questa potrebbe essere una buona soluzione ma è ovvio che lo stato dovrebbe comunque vigilare su tutto.

Alcune riflessioni su Wojnarowicz e l’oscurantismo made in U.S.A.

Devo dire che la scelta della Smithsonian National Portrait Gallery di Washington D.C. di rimuovere l’opera A Fire in My Belly di David Wojnarowicz dalla mostra Hide/Seek mi ha lasciata decisamente stupefatta ed indispettita. Stiamo parlando di un artista (deceduto a soli 37 anni nel 1992) tra i più importanti e sensibili della sua generazione nonché di un uomo che usava l’arte come antidoto nei confronti delle costrizioni sociali e come traccia per testimoniare la sua esperienza umana.

Un ribelle proveniente dalla cultura popolare che aveva una sua poesia visiva fatta di sogni e immagini lisergiche. Per questo mi chiedo, non è compito del mondo dell’arte quello di combattere contro chi etichetta le opere come offensive e degenerate? Evidentemente no, evidentemente tutto ciò è solamente frutto di un discorso di facciata che va bene solo per mostrare alla gente un impegno sociale oggettivamente inesistente.

Per essere giovani artisti…un commento di Alessandro Facente

Vorrei postare su questa pagina il commento del curatore Alessandro Facente alla notizia Per essere giovani artisti bisogna darsi da fare apparsa sul nostro blog alcuni giorni fa. Mi sembrava doveroso pubblicare questa risposta sotto forma di articolo (pur mantenendo la veste spontanea e diretta dello scritto) poichè essa è talmente strutturata da non poter rimaner “chiusa” in un semplice commento:

Cara Micol, all’estero gli italiani sono assolutamente considerati, e sono daccordo con te che siano decisivi gli spostamenti, però, differentemente dal nostro, il sistema straniero investe sugli artisti autoctoni. Per loro è più sensato sp…endere soldi per pubblicità e produzione piuttosto che in spedizione di opere. Il problema però è anche legato al fatto che agli artisti non bisogna chiedere di spostarsi perchè già pensano alle opere, chiediamo invece ai collezionisti di comprare, alle riviste di scrivere e alle gallerie di produrre il lavoro, partecipare alle fiere e tessere contatti per sviluppare il loro percorso.

Per essere giovani artisti bisogna darsi da fare

Pensate forse che i nostri giovani artisti stiano perdendo terreno in ambito internazionale? Niente di più sbagliato, anzi si potrebbe senza ombra di dubbio affermare che essi hanno tutte le carte in regola per sfondare all’estero. Negli ultimi anni abbiamo subito l’ondata della YBA inglese, l’eterno ritorno degli statunitensi, l’arrembaggio dei cinesi e quello della nuova scuola di Lipsia. Ora stiamo assistendo ad una grande ascesa dell’est europeo e del Medio Oriente.

Eppure anche noi possiamo farcela, possiamo imporre il nostro stile, le nostre estetiche ed i nostri concetti all’attenzione della scena internazionale. Quello che manca è un poco di organizzazione e più volontà da parte non solo delle istituzioni e delle gallerie private ma anche da parte degli artisti stessi che dovrebbero in qualche modo porsi in uno stato di continuo movimento.

MAXXI contro MoMa, due programmazioni a confronto

Vorremmo oggi porvi di fronte ad una realtà che noi di Globartmag avevamo già subodorato. Senza troppi preamboli vorremmo fare un piccolo esperimento: prendere in esame le mostre organizzate al MAXXI di Roma dalla sua apertura ufficiale fino al prossimo dicembre e confrontarle con quelle del MoMa di New York. Qualcuno sicuramente salirà in cattedra e dichiarerà che non si possono fare confronti di questo tipo, che il MoMa gode delle sovvenzioni dei privati e quanto altro.

Noi invece pensiamo che il Maxxi sia un edificio che può reggere (se non vincere) il confronto con altre prestigiose istituzioni internazionali e se si concepisce un’architettura del genere bisogna anche valorizzarla al meglio. Parlando però di contenuti le cose cambiano, ma lasciamo parlare i fatti. Il MAXXI fino ad ora è stato in grado di offrire questo:

30.05.2010 – 12.09.2010 Kutlug Ataman. Mesopotamian Dramaturgies.

Alcune note sparse sulla crisi di governo e sul declino della cultura

Con il bipolarismo in lento disfacimento e con lo spettro delle elezioni anticipate mi viene da pensare ad altri 12 mesi di totale agonia per il mondo della cultura (e non solo). Ci vorranno nuove iniezioni di fondi e tutte le forze dello stato saranno concentrate sulla macchina elettorale. Da li in poi bisognerà cominciare a ricostruire la nostra cultura ma intanto salteranno cordate, cambieranno vertici dei musei, spariranno manifestazioni che saranno rimpiazzate da altre (di parte), gli stanziamenti per eventi e quanto altro dovranno essere ridistribuiti. Praticamente si verificherà ciò a cui stiamo assistendo da ormai diverso tempo: l’immobilità.

La nostra parabola non è  discendente, essa è in perfetta stasi e non è peccato definire la situazione della cultura italiana come una grande parentesi di vita di ciò che è morto, muoventesi in se stessa. Non ci vuole un genio per comprendere che se questa strada sarà perseguita anche da un futuro governo, l’immobilismo verrà ricostituito dalla posizione stessa che pretende di combatterlo.

Il crollo di Pompei anticipa il crollo dell’Italia

In questi giorni un tremendo lutto ha colpito il mondo dell’arte e della cultura nazionale. Ovviamente non stiamo parlando della dipartita di una persona fisica ma della scomparsa della Schola Armatorum di Pompei, la palestra utilizzata dai gladiatori crollata miseramente a causa delle intese piogge tra le 5.30 e le 6 dello scorso 6 novembre. Quindi converrete con noi che per il mondo dell’arte si tratta di un vero e proprio lutto. Il crollo dell’inestimabile architettura ha ovviamente generato il consueto treatrino dello scarica barile all’italiana, tra il Presidente Napolitano che esprime come di consueto la sua indignazione, il sindaco di Pompei Claudio D’alessio che esprime rammarico per un disastro annunciato ed il ministro dei Beni Culturali, Sandro Bondi che dichiara “Se avessi la certezza di avere delle responsabilita’ sul crollo della Domus dei gladiatori mi dimetterei senza aspettare un minuto di piu'” e contemporaneamente annuncia altri crolli in tutta l’area degli scavi archeologici.

L’imperfezione salverà il mondo (dell’arte)

Anche se probabilmente la pellicola è ancora superiore o quantomeno con le sue imperfezioni riesce a ricreare un vasto spettro di ricordi in ognuno di noi, il digitale ha praticamente invaso il mondo della fotografia. L’arte contemporanea, da par suo, si è letteralmente aperta a questo dirompente assalto ed anche se questa trasformazione ha spalancato le porte a nuove e meravigliose visioni, negli ultimi tempi le cose sono un tantino cambiate e tutto è divenuto un poco noiosetto.

Questo forse perchè tra gli artisti c’è troppa ossessione per il lato tecnico, per la perfezione delle luci e dei soggetti. C’è troppo lavoro su Photoshop, ci sono troppi trucchetti che ormai tutti conoscono, ed infine troppi plugins sviluppati da terze parti che livellano ogni immagine, rendendola identica ad un milione di altre. Mancano le idee ma soprattutto manca la spontaneità, abbondano i pixel, le lenti speciali e le luci fluo.

Ornamento, Artigianale, Arredativo: le parole da non dire (mai?)

I nostri lettori sapranno benissimo quanto certe parole siano un vero e proprio tabù per il mondo dell’arte, un sacrilegio o una sorta di bestemmia che non dovrebbe mai essere proferita. Ornamento ad esempio sembra uno di quei termini da evitare tassativamente se si vuole affrontare una corretta esegesi di una data opera.

Eppure l’ornamento è una caratteristica ancestrale all’interno della quale si è sviluppato il senso dell’astratto. Nulla di grave quindi se all’interno di un dipinto o di qualsiasi altra manifestazione creativa, un artista scelga di innestare alcuni motivi ornamentali. D’altronde non vedo come altro si potrebbero definire i segni dell’opera vincitrice del Turner Prize 2009, creata dall’acclamato artista Richard Wright.