
Quando si parla di scena dell’arte contemporanea bisogna senza ombra di dubbio affermare che Londra ha una marcia in più rispetto alle altre grandi metropoli d’Europa. Una delle lodevoli capacità del sistema londinese è infatti quella di creare dal nulla degli art districts in zone urbane depresse o comunque poco frequentate, trasformandole in veri e propri punti nevralgici della cultura cittadina e riqualificandone così l’estetica ed il valore economico.
La presenza di un blasonato polo museale nelle vicinanze è sempre il primo passo verso la creazione di un nuovo art district ma gran parte dell’opera viene compiuta dagli artisti che scelgono di insediare i loro studi in un quartiere meno dispendioso e le gallerie private che vi stabiliscono la loro sede. Per Mayfair e l’East End le cose sono andate più o meno così ma in questi ultimi tempi Londra ha dato i natali ad un terzo polo culturale nel quartiere di Bermondsey. La zona in questione è abbastanza centrale e non molto distante dal Tate Modern e dal Design Museum. Il quartiere è inoltre dotato di spazi industriali e post industriali che ben si adattano alla trasformazione in edifici adibiti all’arte contemporanea.


Quella del supermaket dell’arte contemporanea è oramai divenuta una vera e propria moda all’interno di un sistema sempre più alla disperata ricerca di soluzioni per un mercato stitico. Teorizzato da Charles Saatchi e messo in pratica da Larry Gagosian, l’art supermarket è il nomignolo attribuibile alle attività di dealers internazionali che decidono di aprire numerose sedi in tutte le parti del globo, colonizzandolo alla stregua di una partita a Risiko.





