Il collettivo URTO occupa il PAN di Napoli

Il polo museale napoletano sprofonda nell’abisso, PAN e MADRE sono ormai vittime dei brogli politici e delle gestioni scellerate che hanno di fatto chiuso le porte in faccia ai talenti emergenti del territorio. Ed allora che fare? Una risposta certa è arrivata lo scorso 7 marzo da parte del collettivo URTO, agguerrito gruppo di 270 artisti partenopei in cerca di una piattaforma reale, un laboratorio di ricerca dove poter far rinascere l’arte contemporanea made in naples.

Se leistituzioni non rispondono alle disperate richieste del popolo creativo non resta altro da fare che costringere le stesse ad una reazione tramite un’azione risolutiva e così hanno fatto i giovani del collettivo, occupando simbolicamente il PAN, Palazzo delle arti di Napoli. “Insieme con altri protagonisti del movimento – hanno spiegato i coordinatori del movimento Sebastiano Deva e Walter Picardi – proponiamo di rendere il PAN motore propulsivo delle attività del collettivo ed oltre, dando vita ad una sorta di laboratorio dove si renda possibile far confluire le proposte ispirate provenienti dalla scena artistica napoletana.”

Adalberto Abbate – Tutto da rifare

Un nuovo appuntamento con gli artisti di S.A.C.S., l’archivio creato da Riso, Museo d’Arte Contemporanea della Sicilia, per valorizzare gli artisti siciliani. Venerdì 11 marzo alle 18 nella sede catanese della Galleria S.A.C.S., presso la Fondazione Brodbeck, si inaugura infatti “Tutto da rifare”, personale di Adalberto Abbate che raccoglie foto, sculture e installazioni dalla forte connotazione politica.

“Tutto da rifare” (2011) testimonia proprio lo stato cronico di immobilità per il quale ognuno di noi preferisce rifugiarsi nel proprio mondo interiore piuttosto che imbattersi nelle complesse questioni collettive. Fisiologico sviluppo del precedente “Rivolta” (2010), anche questo nuovo progetto si rivolge cinicamente alle coscienze assopite, partendo dalla disamina di un quotidiano sempre più avvilente.

Il MADRE, la Biennale e la sindrome del rifiuto


C’è stato un tempo, politicizzato almeno quanto questo, in cui era d’obbligo la corsa all’istituzione. Tutti gli artisti ambivano ad entrare in Biennale come tutti avrebbero fatto carte false per piazzare un’opera all’interno di un museo qualunque, foss’anco ubicato in una miserrima cittadina di provincia. Oggi le cose non stanno più così e la moda del momento sembra anzi esser quella della retromarcia. Dalle pagine del la Repubblica di Napoli apprendiamo infatti che su 104 opere in esposizione permanente al MADRE, 86 sono state chieste indietro dai loro rispettivi creatori e collezionisti, stiamo parlando di artisti come Jasper Johns, Robert Rauschenberg, Jannis Kounellis, Michelangelo Pistoletto, Giulio Paolini e Jeff Koons.

Tutto questo accade dopo le dimissioni del cda, vicepresidente Achille Bonito Oliva compreso, per ovvie ragioni di coerenza e dignità di ruolo. La decisione è infatti scaturita dopo l’ipotesi di far entrare galleristi privati nella stanza dei bottoni dell’istituzione, scelta  poco etica ed in pieno conflitto di interessi. C’è inoltre da aggiungere che in questi giorni il MADRE morente è aperto per sole quattro ore al giorno e senza alcuna manutenzione. Sul fronte Biennale va invece sottolineato il sonoro dietrofront di moltissimi giovani artisti che in questi giorni vorrebbero essere chiamati all’interno di un minestrone senza precedenti, cucinato da Vittorio Sgarbi assieme ad Arthemisia Group.

MATTEO RUBBI – Bounty nello spazio

Dal 23 marzo al 15 maggio 2011, la GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo ospita la prima personale in un’istituzione pubblica italiana di Matteo Rubbi (Bergamo, 1980) giovane artista, tra più interessanti del panorama nazionale, recente vincitore dell’edizione 2011 del Premio Furla.

L’esposizione, dal titolo Bounty nello spazio, curata da Alessandro Rabottini, è parte del programma espositivo Eldorado, che la GAMeC dedica alle personalità emergenti più interessanti sulla scena internazionale, invitati a concepire un progetto inedito per gli spazi del museo. Per l’occasione, Matteo Rubbi svilupperà dei progetti inediti fortemente legati contesto locale, sia dal punto umano e sociale che storico.

Verge e il caos delle fiere dell’arte emergente

Si parla tanto di fiere dell’arte italiane mal organizzate e si decantano le imprese delle altre manifestazioni all’estero, con la certezza di trovare oltre confine professionisti più preparati, strutture più agibili e stand pieni di opere seminali. Questa volta però da Artinfo ci giunge notizia di una fiera all’estero che ha lasciato vagamente confusi non pochi addetti del settore. Stiamo parlando di Verge Art Brooklyn, manifestazione di mercato tenutasi dal 3 al 6 marzo in quel di New York.

Verge è una fiera dedicata all’arte emergente, anzi l’unica piattaforma di mercato newyorchese dedita ai nuovi talenti. Dette così le cose sembrano alquanto interessanti ma le news ci parlano di un mezzo disastro. La pianta della fiera ad esempio è apparsa caotica e dispersiva con molti stand assenti dalla lista ed eventi collaterali passati in cavalleria: “Ci sono stati parecchi problemi di organizzazione” ha dichiarato in merito Ryan Thomas della galleria Cue Art Foundation.

Perchè la Biennale di Sgarbi è una guerra persa in partenza

La Bunga Biennale sta entrando nel vivo ed in molti hanno preso le giuste posizioni per opporsi alla totalitaria offensiva lanciata da Vittorio Sgarbi. Tra artisti che rifiutano di partecipare e curatori che già proclamano il fallimento di un Padiglione Italia allargato, c’è anche chi difende l’operato del Vittorione Nazionale® e forse costoro avranno le loro buone ragioni. In questa ressa si rischia però di tralasciare un fattore assai importante che in sostanza ha già minato le fondamenta di questa Biennale.

Andiamo per gradi, sappiamo tutti che Vittorione ha intenzione di esporre un ricco drappello di giovani artisti provenienti da ogni regione d’Italia, i quali verranno collocati in sedi prestigiose eccetera eccetera. Ad affiancare Sgarbi in questo duro lavoro son presenti alcuni curatori, giornalisti ed altri addetti del settore, come anticipato da Exibart. Va detto però che queste personalità non sono le uniche a collaborare con Sgarbi, visto che anche Arthemisia Group in questi giorni sta contattando moltissime gallerie private di tutta Italia, a caccia di artisti da sottoporre all’attenzione del celebre storico. Tutto questo meccanismo a me sembra un poco bizzarro e confusionario ma non è questo il punto.

Carloaberto Treccani – In google we trust

La galleria Fabio Paris Art Gallery di Brescia inaugura oggi la mosta In Google We Trust, la prima personale dell’artista italiano Carloalberto Treccani (Brescia 1984), a cura di Domenico Quaranta. La mostra raccoglie gli esiti recenti di due progetti distinti, ma accomunati da un’analoga riflessione su come i mezzi di comunicazione stiano cambiando in maniera irreversibile la nostra percezione del territorio e della sua rappresentazione simbolica.

La “democratizzazione” della visione satellitare, fino a pochi anni fa privilegio di enti e autorità politiche, attraverso servizi come Google Earth, non ha solo normalizzato la rappresentazione simbolica – sovrapponendo perfettamente mappa e territorio – e tolto al nostro pianeta ogni aura di mistero; ha anche offerto a chiunque un punto di vista nuovo sul mondo e sulla realtà. Il ciclo “Alfabeto per l’edilizia” (2006 – in corso), rappresentato in mostra da tre lavori, raccoglie i frutti di una paziente esplorazione di Google Earth alla ricerca di edifici che, osservati dal satellite, rivelino analogie con le lettere dell’alfabeto. Questa pratica, ormai condivisa da un ampio numero di persone, serve a Treccani per mettere a punto un linguaggio poi utilizzato per comporre frasi che sono, di volta in volta, delle ambigue allusioni al proprio lavoro di esplorazione, scoperta e di composizione (come In Google We Trust, 2010 o Inaspettatamente. Omaggio a Boetti, 2010) o delle tautologiche descrizioni dello spazio reale in cui questo spazio simbolico si ricompone (come Travel Around the World in 324 Centimeters, 2011).

Il cut up del curatore alla moda

L’alchimia che rende eccezionale ed unico un testo curatoriale è senz’altro dura da trovare. Occorre leggere, studiare e documentarsi con un occhio sempre attento alle altre discipline artistiche ed alla filosofia. Ci vuole impegno, ma soprattutto passione. A volte però è possibile imbattersi in testi  che sembrano tutti uguali, quel termine è decisamente inflazionato e quel periodo l’abbiamo sentito un milione di volte. Stai a vedere che ad unirli assieme alcuni testi curatoriali possono fondersi a perfezione?

Già, questo esperimento di cut up alla William Burroughs noi l’abbiamo provato ed abbiamo constatato con discreto disgusto che unendo una ventina di testi in poco tempo si ottiene un bel prodotto uniformato, proprio come centinaia di altri testi senz’anima tanto apprezzati dagli addetti ai lavori very cool. Mancano ovviamente passione e sentimento ma tanto chisseneimporta, basta buttar giù due frasi d’effetto e tutto gira a perfezione.

Il Giovane artista eterno ed il Giovane artista premio

Giovane artista, talento emergente. Etichette sempre più abusate dal sistema, lame a doppio taglio che in molti casi possono ritorcersi contro chi le impugna come luccicanti trofei da offrire al mercato. Il nostro paese è pieno di giovani artisti e gallerie, fondazioni e quanto altro li coccolano per un periodo limitato, nella speranza di trovare al più presto una gallina dalle uova d’oro da spremere a dovere. Essere giovani artisti di talento è però cosa assai ardua, anche se va detto che l’Italia abbonda di figure interessanti destinate a “sfondare”, prima o poi. A far da cornice a questi veraci ed impegnati ricercatori dell’arte vi è però un nucleo di “soliti noti” che tenta di confondere le acque per continuare a vivacchiare all’interno della scena. Questo nucleo è suddiviso in varie categorie che noi prontamente vi offriamo qui di seguito:

Giovane artista premio – si tratta di una categoria che solitamente vince prestigiosi concorsi e residenze messe in palio da blasonate fondazioni. Per qualche tempo il giovane artista premio riesce ad accaparrarsi allori multipli in diverse discipline e nello stesso anno. Trascorso il termine del suo “mandato” è destinato ad infoltire la schiera dei dimenticati ma continuerà a vincere qualche premio  ogni tanto, per sbarcare il lunario.

Street art made in U.K., non solo Banksy

Ben Eine

In questi ultimi giorni il celebre art magazine Artinfo ha stilato una lista di 5 protagonisti della street art del Regno Unito, i quali molte volte finiscono per far da comparse a nomi ben più noti ma che non hanno nulla da invidiare ai loro colleghi in quanto a tecnica e visionarietà . Vorremmo riproporvi questa lista nella speranza di ricordarvi dei nomi che sicuramente lasceranno un segno all’interno della storia di questa meravigliosa tecnica artistica. Si parte con Ben Eine, classe 1970, autore di enormi lettere che solitamente campeggiano sulle saracinesche dei negozi di Londra, uno stile deciso e variopinto quanto essenziale che non manca mai di stupire i cittadini della capitale britannica.

Citato anche Paul Insect, classe 1971, celebre per le sue Baby Heads, facce di bambolotti con la testa squarciata da innumerevoli figure che sembrano rappresentare i loro pensieri o comunque un reticolo di simboli decisamente affascinanti.

MICHAEL FLIRI | 0O°°°oo°0Oo°O0

Dal 13 marzo al 30 aprile 2011 il Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato presenta 0O°°°oo°0Oo°O0, l’ultima opera di Michael Fliri, considerato uno dei migliori talenti della nuova scena artistica italiana, vincitore nel 2008-2009 del Premio d’artista bandito dal Museion di Bolzano in collaborazione con la Dena Foundation for Contemporary Art.

L’opera inedita presentata nella Project Room del Centro Pecci è un’azione ripresa in video che, come in altri lavori di Fliri, parte da una complessa costruzione e preparazione fisica per sviluppare con semplicità narrativa un’intensa visione immaginativa, in grado di trasportare situazioni e pratiche apparentemente consuete in una dimensione poetica.

Cory Arcangel, datemi un Nintendo e vi solleverò il mondo

Avete mai sentito parlare di Cory Arcangel? beh siamo sicuri che i nostri lettori, sempre informati, lo conosceranno di sicuro. Per tutti quelli che non lo hanno mai sentito nominare possiamo solo aggiungere che il giovane artista newyirchese è un vero e proprio astro nascente della New Media Art. Solitamente le sperimentazioni di Arcangel vertono sulle strette connessioni tra la tecnologia e la cultura con una speciale predilezione verso l’indagine sull’appropriazione dei nuovi mezzi digitali.

Arcangel è celebre per le sue modifiche alle celebri cartucce di videogames Nintendo ed ha persino collaborato con il collettivo Paper Rad con cui ha esposto al MACRO di Roma nel 2009 nel corso della ormai storica mostra New York Minute, panoramica su 60 artisti della nuova generazione newyorchese curata da Kathy Grayson. Una delle opere più chiacchierate del giovane artista è Super Mario Clouds, cartuccia dell’amato Super Mario dove l’unica grafica lasciata integra è rappresentata dalle nuvole.

Il principio di realtà di Enrico Vezzi al Progetto Reload Roma

Il 28 febbraio 2011 il Progetto Reload Roma presenta Il principio di Realtà, un intervento spaziale di Enrico Vezzi curato da Angel Moya Garcia. Una ricerca sulla identità e la traccia di un tentativo di relazione confluiscono attraverso la divisione visiva dello spazio esattamente a metà, sollevando l’urgenza di riformulare la concettualizzazione della soggettività ed evidenziando le caratteristiche fisiche e mentali del luogo e anche di questo momento storico, diviso tra il rinnovamento e la conservazione.

L’invito a Enrico Vezzi (San Miniato, 1979) nasce dalla opportunità di analizzare la congiunzione di due ricerche parallele, un’indagine sulla identità e un tentativo di relazione, il cui punto di incontro si trova per la prima volta all’interno di “Reload”. L’idea è quella di dividere visivamente lo spazio esattamente a metà evidenziando le caratteristiche fisiche e mentali del luogo e anche di questo momento storico, diviso tra il rinnovamento e la conservazione. Questa distinzione si intreccia con un discorso più ampio in cui il sé e l’altro si contrappongono e si confrontano, l’essere-in-se-stesso si mette in questo modo in diretto rapporto non solo con l’essere-gli-uni-con-gli-altri ma anche con la realtà esterna attraverso un confine labile che si dilegua o si rafforza lungo lo spazio.

Arte e nudo, un binomio immortale ma su Facebook…

Torniamo oggi a parlare di Facebook una piattaforma estremamente popolare ed amata anche dagli artisti del contemporaneo. Sempre più giovani leve usano infatti questo potente mezzo per pubblicizzare al meglio il proprio lavoro. Ormai è all’ordine del giorno creare eventi per invitare quanta più gente possibile alle mostre o semplicemente mostrare agli altri le foto delle nuove opere come se si trattasse di una forma di portfolio online che può essere apprezzato o criticato da tutti. Oggi però vorremmo parlarvi di una questione assai bizzarra che in qualche modo ostacola la normale fruizione dell’arte su Facebook.

Già perchè il nostro social network preferito odia il corpo umano o se preferite ne ha una paura fottuta. Tutto nasce dal tentativo di arginare la nudità ed il fenomeno del porno ma negli ultimi tempi la situazione è degenerata a tal punto che esporre sulla propria pagina un semplice disegno con un nudo di donna (o di uomo) può scatenare le ire di Mark Zuckerberg e soci. Le contromisure sono sempre le stesse, ammonire formalmente l’utente o cacciarlo direttamente dalla piattaforma.