Straziami, ma di baci saziami – Franko B al Pac

di Redazione Commenta

In questa società  dove pullman di turisti vanno in pellegrinaggio ad Avetrana non capisco proprio chi punta il dito contro Franko B tacciandolo di sadomasochismo. La violenza è capace di forme così diverse che il vero problema è, come sempre, non avere i termini linguistici adatti a descriverle. E così se la violenza è un fatto lontano, che fondamentalmente non ci riguarda, allora si può sovraesporre, si può parlarne al bar, diventa di interesse pubblico.

Quando invece qualcuno, putacaso un artista, mette in mostra la violenza insita in ognuno di noi, quell’ombra che nessuno può scrollarsi di dosso, allora è meglio censurare, meglio nascondere. Al Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano va in mostra qualcosa che non interessa a Vespa, ma dovrebbe interessare ognuno di noi: la violenza vera è quella dell’amore. Quelle forme di sofferenza a cui nessuno ci educa, ma che sono vitali. Oggi nessuno ne parla, la dignità dei sentimenti si è mischiata con le immagini patinate e le vicende umane da reality. Franko B è andato via dall’Italia tanti anni fa e in fondo a lui non gliene frega nulla di come siamo messi male. Lui per primo è messo male, ma ha la fortuna di aver trovato il modo di stare a galla: fare arte. È un personaggio controverso poco aiutato da madre natura con quella faccia un po’ così, ma come disse durante un’intervista: “Non è a proposito del diventare macellaio oppure macho, piuttosto sul non volersi arrendere”. Ce lo insegnassero a scuola a non arrenderci.

Facciamo un passo indietro: l’amore, dicevamo, è il punto di partenza e di arrivo. Chi conosce un po’ il lavoro di Franko B saprà che nelle performance utilizzava i propri fluidi corporei: il sangue, come elemento vitale che accomuna tutti gli esseri animali, era il simbolo del tutto. Ora invece è passato all’uso di cadaveri di animali impagliati. Sono le vittime di questa società, il cui sangue è stato tolto. A queste vittime viene data la possibilità di rivivere, di riscattarsi dal mondo, di rinascere a dispetto di quegli uomini che per propria vanità le avevano imbalsamate.

Franko B ha raccolto in mercatini e negozi centinaia di animali impagliati e li ha ricoperti di vernice nera. Erroneamente si è parlato di critica ambientale legata alla tragedia del petrolio in Messico, ma il suo è un discorso molto più ampio. È un atto di amore incondizionato. L’errore, nel leggere le sue opere, sta proprio nel cercare sovrastrutture che a lui non interessano. Il suo modo di fare arte è talmente diretto che spiazza.

Le tele per esempio, che siano dipinte o ricamate, mostrano riproduzioni di immagini travate in gran parte su Google. Null’altro che realtà trasposta, eppure le dietrologie non mancano. Al piano superiore invece si raccontano proprio quelle performance che lo hanno reso famoso, fotografie e video decisamente strazianti. Quello che bisogna capire è che Franko ha donato alla ricerca il suo corpo, si è fatto cavia e oggetto. Il suo modo estremo di amare l’umanità dovrebbe farci piangere, non gridare allo scandalo.

Vorrei non raccontarvi altro, ma soppesate bene la vostra forza, la vostra integrità  prima di visitare il Pac. Se non sarete disposti a confrontarvi sarebbe inutile andarci, altrimenti potreste uscirne a pezzi, ma per amore ne vale sempre la pena.

PS: Menzione speciale per l’allestimento commovente di Fabio Novembre, che è riuscito a trasformare il Pac in una vera e propria camera di risonanza emozionale.

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