Multe salate per i writers?

Dopo Bristol e Boston lo stretto giro di vite contro i writers imbrattamuri è in procinto di conquistare anche l’Italia ed in particolare la città di Roma. Lo scorso martedì il sindaco Gianni Alemanno aveva già annunciato possibili contromisure per arginare il sempre più crescente e deprecabile proliferare di tags e scarabocchi che nulla hanno a che vedere con le vere e proprie opere di street art a cui ci hanno abituato artisti italiani del calibro di Sten, Lex e Lucamaleonte.

L’amministrazione cittadina non esclude la possibilità di sguinzagliare degli agenti accertatori dell’Ama i quali sarebbero appunto autorizzati a comminare pesanti sanzioni. L’iniziativa potrebbe però essere affiancata da un’altra pena che suonerebbe come uno smacco per i giovani writers cittadini. Il Campidoglio ha infatti avuto l’idea di punire i writers colpevoli di aver imbrattato i muri ripagandoli con la loro stessa moneta, gli incauti contravventori saranno costretti quindi a pulire una superficie grande tre volte tanto quella insudiciata.

Molly Crabapple, regina della Burlesque Art

 come forse molti di voi avranno notato negli ultimi anni la società si è lasciata catturare dai languidi richiami del Burlesque. In sostanza il Burlesque è una tipologia di spettacolo parodistico nato in Inghilterra nella seconda metà dell’Ottocento e successivamente migrato con successo negli Stati Uniti. Lo spettacolo consiste in danze perlopiù a sfondo satirico e furbescamente sexy eseguite da ballerine corredate da corsetti,guepierre, giarrettiere, boa ed altri tipi di lingerie in un turbinio di colori vistosi ed acconciature sapientemente ricercate.

Dagli anni novanta ad oggi il burlesque è stato protagonista di un prepotente ritorno, è nato quindi il new burlesque che ha proiettato nello star system nomi come Dita Von Teese,Miss Dirty Martini, Julie Atlas Muz, le Pontani Sisters e Cecilia Bravo. Anche numerose star dello spettacolo come Madonna, Christina Aguilera, Gwen Stefani e Marilyn Manson si sono lasciate affascinare dal ritorno di questo movimento.

Il futuro dell’arte è il concettuale? vedremo

Nel 1965 Joseph Kosuth realizzò l’opera Una e tre sedie che comprendeva una vera sedia, una sua riproduzione fotografica ed un pannello su cui era stampata la definizione della parola sedia. Con tale azione l’artista voleva far riflettere lo spettatore  sulla relazione tra immagine e parola, in termini logici e semiotici. Prima di Kosuth, Marcel Duchamp con la sua celebre opera Fontana del 1917 aveva già gettato le basi per il futuro sviluppo dell’arte concettuale.

Chissà però se Duchamp prima e Kosuth poi si saranno mai fermati a pensare all’enorme influenza della loro creatività nel mondo dell’arte strettamente contemporanea. L’escalation dell’arte concettuale infatti sembra divenuta inarrestabile, è oramai cosa consona recarsi ad una mostra in galleria, ad una fiera o ad una biennale d’arte e trovarci dentro un enorme quantitativo di opere costituite da oggetti assemblati a caso e installazioni ermetiche ed alquanto pretestuose. L’escalation del concettuale ha però perso per strada la spinta provocatoria e rivoluzionaria degli inizi oltre che una certa dose di filosofia dettata da una ricchezza culturale ed in certi casi spirituale.

La pittura ha ancora un senso

Le possibilità espressive e creative delle arti visive hanno subito una rapida espansione durante il corso del ventesimo secolo, Marcel Duchamp ha inventato il ready made e successivamente nel corso degli anni sessanta e settanta il proliferare di nuove tecniche come l’installazione, la performance, la land art, la body art, la video arte e la fotografia (non ultima quella digitale) sembravano aver dichiarato a morte la pittura.

Eppure negli scorsi anni la pittura ha incominciato un lento ma inesorabile cammino di ritorno riguadagnando prestigio tra collezionisti ed istituzioni e riconfermandosi regina di aste e compravendite di mercato. Ne aveva avuto il sentore il Centre Pompidou di Parigi nel 2002, presentando la mostra Cher Peintre, Lieber Maler, Dear Painter e profetizzando il ritorno ad una certa forma di pittura figurativa. Successivamente tra il 2004 ed il 2005 Charles Saatchi presentò a Londra una serie di tre mostre intitolate The Triumph of Painting.

Siamo solo noi i responsabili…

Ci siamo messi in un bel guaio ma non possiamo darne la colpa a nessuno, siamo noi responsabili di ciò che abbiamo generato negli ultimi tempi all’interno della nostra scena artistica. Problema: il nostro sistema dell’arte ha fagocitato se stesso cannibalizzando centinaia di giovani promesse, mandandole allo sbaraglio come carne da macello e perdendo attendibilità nei confronti dei collezionisti e del pubblico.

La figura dell’artista in Italia è persa in una densa nebbia in cui non si riesce nemmeno ad intuire i contorni ed il senso delle cose, si intravedono sempre più nuovi talenti (dal discutibile valore) sbandierati come maestri indiscussi che scompaiono senza lasciar traccia del loro passaggio. Il fatto ancor più stravagante è che alcuni fra i più promettenti di loro riescono a partecipare a prestigiose manifestazioni nazionali, vincendo ambiti premi per l’arte contemporanea per poi ripiombare in un’oscura girandola di concorsetti provinciali e mostre in gallerie aperte da poco che si lasciano affascinare dal prestigio dei bei tempi che furono. Ed allora viene da chiedersi chi mai comprerebbe le opere di una cometa destinata a bruciare?

John Seward Johnson Jr. e l’arte per tutti

 Forse il nome John Seward Johnson Jr. non vi dice nulla, eppure questo non più giovane artista americano da diversi anni riempie le piazze delle città di tutto il mondo con statue in bronzo raffiguranti gente comune indaffarata nelle attività quotidiane come un padre che insegna al figlio ad andare in bicicletta ed un uomo seduto sulla panchina di un parco intento a leggere il giornale.

Tali opere sono eseguite tramite un elaborato software che trasforma le immagini bidimensionali in modelli, i quali vengono poi letteralmente stampati in tre dimensioni da una macchina collegata al computer. A dispetto della sua celebrità negli Stati Uniti (la sua mostra alla Corcoran Gallery of Art del 2003 ha attirato una folla oceanica di persone) l’arte di Seward Johnson Jr. non è molto amata dalla critica, questo perchè l’artista solitamente riproduce statue di dipinti celebri come Déjeuner Déjá Vu, copia tridimensionale dell’opera di Édouard Manet, Le déjeuner sur l’herbe.

Perchè andare al museo? ve lo dice l’università di Roma

La domanda vi sembrerà bizzarra ed alquanto scontata, forse alcuni di voi non se la sono mai posta e forse qualcuno tentennerà nel dare una risposta certa. Perchè la gente visita i musei d’arte? Secondo gli studi dell’Università di Roma ammirare un’opera d’arte impegna le nostre emozioni ed il nostro intelletto ovviamente quale attività sia preponderante è un criterio che varia a seconda della tipologia di opere esposte nel museo.

La ricerca pubblicata sul Psychology of Aesthetics, Creativity and the Arts e portata a termine dal team capitanato Stefano Mastandrea indica infatti che i musei di arte antica rappresentano per i visitatori un’esperienza cognitiva mentre i musei di arte moderna e contemporanea mettono in gioco le nostre emozioni.

L’arte contemporanea sul banco degli imputati

Il mercato dell’arte contemporanea internazionale non è sempre tutto rose e fiori ed oltre alle strette di mano per compravendite riuscite o le gioiose felicitazioni per opere meravigliose e mostre riuscite, ogni tanto qualche litigio con annesso strascico legale salta fuori a movimentare l’intero scenario.

Si parte con la pluriblasonata Gagosian Gallery che ha citato in giudizio la compagnia aerea Lufthansa. La divisione cargo avrebbe infatti danneggiato irreparabilmente durante il trasporto un dipinto dell’artista americano Brice Marden. Il dipinto dal titolo Au Centre (1969), opera in due pannelli, durante il volo si è liberato dalle imbracature che lo assicuravano alle paratie della stiva e successivamente è stato sballottato con conseguente distacco di alcune grandi parti dipinte. Secondo Gagosian il danno ammonterebbe a 3 milioni di dollari.

Mamma posso comprarmi la mostra?

Globartmag è sempre alla ricerca di notizie con opportunità espositive dedicate ai giovani artisti alle prime esperienze, sin dai nostri primi articoli abbiamo selezionato per voi concorsi, festival e quanto altro ritenevamo più consono alle vostre esigenze ed affidabile sul piano della serietà d’intenti.

A questo punto molti lettori hanno scritto in redazione chiedendoci di stilare una lista di gallerie disposte ad esporre opere di artisti alla loro prima mostra, portando esempi di numerosi spazi espositivi nazionali ed internazionali che organizzano eventi in cambio di un contributo in denaro. In merito alla lista si potrebbe senza ombra di dubbio affermare che di gallerie disposte a promuovere arte emergente ve ne sono a centinaia. Ovviamente bisogna cercare, muoversi, presentarsi e soprattutto presentare in maniera professionale qualcosa di veramente interessante, inutile lamentarsi di ricevere troppi “le faremo sapere” o  “abbiamo la programmazione piena fino al prossimo anno” se si creano opere scolastiche, prive del benché minimo carattere estetico o sperimentale.

Che fine ha fatto il design italiano?

La Brionvega ha rilanciato sul mercato due storici prodotti degli anni ’60, si tratta del televisore Algol e della radio Cubo, due capolavori di design creati dal nostro Marco Zanuso in tandem con Richard Sapper. Dal canto suo anche la Fiat ha rilanciato la gloriosa 500 rielaborando le linee create nel 1957 da Dante Giacosa. Che dire poi delle meraviglie di design create negli anni ’60 da Cesare “Joe” Colombo, inventore di meravigliosi complementi d’arredo le cui linee effervescenti riecheggiano ancora dalle odierne produzioni industriali fin dentro le nostre case.

Ed ancora chi non ricorda la storica macchina per scrivere Olivetti Lettera 22, capolavoro di tecnica e stile creato nel 1950 da Marcello Nizzoli e strumento inseparabile di scrittori e giornalisti come Cesare Marchi, Enzo Biagi e Indro Montanelli. Infine come dimenticare maestri del calibro di Bruno Munari, Gae Aulenti, Achille Castiglioni, Enzo Mari e Gio Ponti, veri e propri pionieri che hanno rivoluzionato il modo di pensare e vivere gli oggetti che circondano la nostra vita.

Libri fotografici, la nuova frontiera dell’investimento?


Anche in tempi di recessione economica il mercato dell’arte sembra tenere seppur con una leggera flessione dei prezzi. C’è però una categoria di oggetti artistici che sembra aver guadagnato molto terreno raddoppiando le proprie quotazioni. Si tratta dei Libri fotografici ad edizione limitata, la nuova moda del mercato dell’arte assieme alle onnipresenti stampe artistiche.

Prendiamo ad esempio Benedikt Taschen dell’omonima e celebre casa editrice. Nel 1999 Taschen pubblicò Sumo, una retrospettiva del famoso fotografo Helmut Netwon, la monografia comprendeva inoltre un espositore disegnato da Philippe Starck il libro fu inoltre il più grande del 20 secolo, le sue dimensioni erano infatti 50 cm per 70 cm e l’editore tedesco si fece aiutare dal rilegatore di bibbie del Vaticano.

Lo spettacolo dell’arte e l’arte dello spettacolo

 Le poco confortanti notizie circa i reality show dell’arte contemporanea ci avevano già messo in guardia sulla preoccupante atrofia del sistema dell’arte contemporanea internazionale. Per muovere le acque ed aggiungere un poco di energia galleristi ed istituzioni stanno vagliando ogni possibile ipotesi, sconfinando paurosamente verso le brulle e sconnesse terre dello spettacolo.

D’altronde il caro vecchio Guy Debord ci aveva già messo in guardia sulla deriva della società e dell’arte verso i lidi della mercificazione. Oggi volenti o nolenti ci troviamo di fronte ad un’arte contemporanea tesa al bisogno del cambiamento e della novità che realizza in termini l’espressione pura del cambiamento impossibile, un’arte che pur non riuscendoci deve essere necessariamente d’avanguardia mentre la sua vera avanguardia è la sua scomparsa. Così in Italia si tramutano i musei in cocktail bar ed in discoteche dove le opere svolgono il loro rassicurante ruolo d’arredo a corollario di una massa di parvenu danzerecci amanti del radical chic pensiero. Ed ancora si organizzano e si chiedono vernissage collettivi in modo da fare quadrato attorno ad un evento, come se l’evento stesso sia il fulcro della creatività artistica.