
MIA è una neonata che ha fatto parlar di se fin dai primi vagiti. Effettivamente il fatto che nel 2011 in Italia non avessimo una vera e propria fiera sulla fotografia artistica può far notizia. Si potrebbe ribattere, così per dire, che in ogni fiera d’arte sono presenti artisti che utilizzano il mezzo fotografico e forse una fiera solo per la fotografia la ghettizza piuttosto che elevarla. Un altro elemento su cui si è discusso è che a Milano pare facciano una fiera al mese: è un disperdere denaro e anche collezionisti, che mica possono venire a Milano ogni due per tre. All’estero ha preso piede da tempo la mania degli agglomerati di fiere, una importante e tante piccole intorno, io da questo punto di vista preferisco avere eventi separati, ma forse lo dico solo perché non sono collezionista e vivo a Milano.
Insomma dopo tanto clamore MIA è arrivata, e passata, e non potevo esimermi dal commentare l’evento. Per quanto la fotografia sia istituzionalizzata come parte dell’arte, in alcune sue forme almeno (oppure, parafrasando Man Ray, quando a farla è un artista), da ormai cent’anni sembra davvero ancora reclusa in una storia a sé. Per questo ben venga MIA a mostrare la forza artistica di tale linguaggio e forse, proprio per questo, mi sento in dovere di dare qualche consiglio per la prossima edizione. Considerando la sede scelta adatta e ben posizionata bisognerà pensare ad una riduzione dei contenuti, che il problema maggiore è quello dello spazio. Stretti corridoi, stretti stand, mancava lo spazio necessario per poter godere delle opere, per non parlare di allestimenti in alcuni casi caotici e in generale della sensazione di trovarsi dentro al Programma Ludovico (la famosa tortura video di Arancia meccanica).









