La performance va di moda alla Tate

La performance art non è più un semplice documento, un video o una fotografia, uno slideshow o il rinforzino di una qualsivoglia mostra museale, da ammirare a “bocce ferme”. La performance art è oggi una delle tecniche creative più corteggiate da istituzioni pubbliche e private ed è sempre più supportata da strutture e manifestazioni che ne facilitano la fruizione “live”.

La Tate Modern di Londra, ad esempio, lancerà ben presto una nuova programmazione denominata The Tanks, una sorta di festival della performance che si protrarrà per ben 15 settimane e a cui parteciperanno artisti quali  Anne Teresa De Keersmaeker, Eddie Peake, Anthony McCall, Ei Arakawa, Tania Bruguera, Undercurrent, Haegue Yang, Jeff Keen, Boris Charmatz, Performance Year Zero, Aldo Tambellini, Filmaktion e Juan Downey.

Performance o Teatro? (non) ce lo spiega James Franco

Di articoli riguardanti le mirabolanti imprese dell’attore James Franco ne abbiamo scritti parecchi. Ebbene, non vogliatecene perché proprio in questo momento ne state leggendo un altro. Il problema è che il celebre divo di Hollywood sembra esser divenuto una sorta di esempio principe per illustrare lo sconfinamento del teatro all’interno del vasto mondo della performance e viceversa.

Del resto agli albori della performance art troviamo proprio le prime forme di happenings (che hanno dato vita alla performance art) partorite dalla mente del geniale Allan Kaprow prendevano le mosse proprio dal teatro per sviluppare in seguito elementi ancor più sperimentali. Il problema è che queste indagini sono nate cinquant’anni fa ma molti artisti dei nostri giorni cercano di spacciarle per ricerche odierne e soprattutto fresche. Quando la performance art non aggiunge nulla di più al teatro sperimentale, allora il senso stesso di questa disciplina si perde definitivamente.

Performa 11, la Biennale della Performance sceglie i suoi protagonisti

Parlando di Biennali, a New York come forse molti di voi sapranno esiste l’unica biennale dedicata alla performance art, vale a dire Performa. La storia di questa prestigiosa manifestazione è relativamente breve, Performa è infatti nata nel 2004 per volere di RoseLee Goldberg, curatrice e pioniera degli studi sulla performance art.

Nel 2005 è stata quindi organizzata la prima edizione, sin da subito impreziosita dalla presenza di protagonisti d’eccezione come Marina Abramovic che per l’occasione presentò la sua ormai storica performance Seven Easy Pieces, dedicata a tutte quelle opere performative che di fatto influenzarono la sua creatività. In Seven Easy Pieces, Marina Abramovic eseguì delle re-performance di Body Pressure di Bruce Nauman, Seedbed di Vito Acconci, Action Pants:Genital Panic di Valie Export, The Conditioning di Gina Pane, How To Explain Pictures to a Dead Hare di Joseph Beuys e due sue opere: Lips of Thomas e Entering The Other Side.

Arriva Jennifer Rubell con la sua prova del cuoco per l’artocrazia internazionale

La scena dell’arte contemporanea statunitense ha lanciato un nuovo protagonista ma questa volta sinceramente non è certo una figura di cui si sentiva il bisogno. Si tratta di Jennifer Rubell, autodefinitasi pioniera della conceptual food art. Va detto che bisognerebbe spiegare alla Rubell che gli interventi artistici che prevedono l’uso di materiali edibili sono stati sperimentati già decine e decine di anni fa, quindi queste ricerche non hanno nulla di pionieristico. Alcuni giorni fa Jennifer Rubell ha portato alcune delle sue stravaganti creazioni al Brooklyn Museum di New York in occasione del Brooklyn Ball 2010.

La stravagante cuoca (ci piace definirla così più che artista) ha presentato alcune installazioni edibili ispirate ad opere di grandi protagonisti del ventesimo secolo. Tra le opere riprodotte dalla Rubell figuravano Seedbed di Vito Acconci (1972), Fountain di Marcel Duchamp (1917), Ten Heads Circle/Up and Down di Bruce Nauman (1990) Painter di Paul McCarthy (1995),  One: Number 31 di Jackson Pollock (1950) e How to Explain Pictures to a Dead Hare di Joseph Beuys (1965). Ovviamente ogni opera per essere mangiata deve essere distrutta e secondo la Rubell questa pratica catartica e partecipativa è il punto forte della sua arte.

Maximum Perception, arriva l’anti-Performa

L’incredibile successo della performance sta trainando una serie di nuovi eventi legati a questo affascinante media. Forse tale appeal è legato all’unicità ed alla possibilità di fruire in prima persona ad una forma di creatività attiva e coinvolgente. Sta di fatto che oltre a Performa, la biennale della performance, la città di New York ha pronto un altro grande evento dedicato alla performance. Si tratta del Maximum Perception Performance Festival, curato da Peter Dohill e Phoenix Lights ed ospitato dalla English Kills art gallery.

La galleria si prepara a mettere in scena più di 20 performance in due notti (venerdì 11 e sabato 12 novembre) dove si alterneranno un cospicuo numero di artisti nazionali ed internazionali. In realtà l’evento si contrappone duramente a Performa, gli organizzatori hanno infatti dichiarato di aver creato il Maximum Perception proprio per “creare una valida alternativa ad un evento sovrastimato e basato sul dilettantismo che sta praticamente rovinando l’immagine della performance art a New York City”. Certo l’accusa è decisamente pesante ma c’è da dire che lo scorso anno il debutto del Maximum Perception è stato decisamente di alto livello ed è ora giunto il momento di confermare l’alta qualità dell’evento.