Video arte, grande assente della rete

Difficile scorgere brandelli di video arte in rete. Già, sembrerà strano ai più ma le cose stanno esattamente così, nell’epoca dei social network multimediali, degli scambi di informazioni alla velocità della luce e del trionfo dell’immagine sul verbo, le opere di video arte sembrano voler fare le timide. Sempre più artisti scelgono di non pubblicare le loro creazioni video su Youtube o su Vimeo, la paura è quella di sminuire il proprio lavoro mostrandolo in sedi diverse da quelle museali o quanto altro.

Evitare di inflazionare un’opera è un modo come un altro per salvaguardare la propria creatività ma va detto non sempre le precauzioni giovano ed a nascondersi troppo c’è il rischio di sparire per sempre.Questa tendenza o tattica comportamentale che dir si voglia, è diffusa a livello internazionale, ed anche a visitare il web site dell’artista di turno si riuscirà a trovare ben poco.

Youtube Play o Youtube Pay? lo sponsor si compra la mostra

Strane cose succedono al Guggenheim di New York. Pochi giorni fa sono stati infatti annunciati i nomi dei 25 video finalisti del celebre concorso Youtube Play che sono stati poi esposti fino a ieri al museo, trasformato in un enorme videowall. Ora voi direte è che male c’è? dopotutto sembrerebbe un passo verso l’arte democratica, verso l’abolizione dei curriculum e delle spintarelle all’insegna di un “apriamo i luoghi deputati all’arte a chi ne ha le giuste qualità”.

Tutto ciò potrebbe essere anche vero ma il giornalista Tyler Green ci fa giustamente notare qualcosa di limaccioso in tutto ciò. I comportamenti poco chiari del Guggenheim sono iniziati quando nel 2000 Giorgio Armani (si, il famoso stilista) ha deciso di donare 5 milioni di dollari alla fondazione Guggenheim. Come per magia dopo quella donazione il museo ha organizzato una grande retrospettiva al celebre stilista zittendo tutte le critiche con un: “L’idea di una mostra sul percorso stilistico di Giorgio Armani è nata molto tempo prima che si parlasse di una donazione al Guggenheim”, già prima si pensa ad una mostra e dopo come per magia arriva un’ingente donazione, proprio dal protagonista della retrospettiva pensata.

Un cubo di anidride carbonica invade Copenhagen

 L’arte contemporanea trae molte volte spunto da tematiche politiche e la spigolosa questione del riscaldamento globale non fa certamente eccezione a questa regola. A riprova del fatto l’architetto di Los Angeles Cristophe Cornubert ha deciso di installare il suo CO2 Cube a Copenhagen dove sta avendo luogo il summit delle Nazioni Unite sul riscaldamento globale.  La struttura e alta come tre piani di un normale edificio ed è stata collocata sul lago St. Jørgens, vicino al planetario Tycho Brahe. Secondo il suo creatore il cubo rappresenta lo spazio che occuperebbe una tonnellata di anidride carbonica se fosse immagazzinata in uno spazio con pressione atmosferica standard.

La dimensione dell’installazione ( circa 3 metri quadrati) è altamente simbolica poichè una tonnellata di anidride carbonica rappresenta la quantità prodotta dalla popolazione di una nazione industrializzata al mese. A causa delle attività umane, la quantità di CO2 scaricata nell’atmosfera sta aumentando intensamente durante gli ultimi 150 anni. Va detto che Insieme all’idrogeno, l’anidride carbonica è il principale gas serra (responsabile dell’effetto serra). Mia Hanak, direttore della Millenium Art ( una delle organizzazioni che ha supportato la costruzione del CO2 Cube) ha recentemente dichiarato ai microfoni della stampa: “La maggior parte della conferenza sul riscaldamento globale si svolgerà a porte chiuse. Volevamo quindi far in modo di portare questa importante tematica all’esterno dei palazzi e di avvicinarla alla gente”.