Federico Lupo, 120’’ before the last snow

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La continuità temporale in cui ci illudiamo d’esistere non è meno artificiale di quella che un proiettore produce attraverso il rapido scorrere dei fotogrammi, i quali ciò nonostante permangono simultaneamente e parallelamente agli altri anche quando non sono illuminati.
120’’ before the last snow, mostra personale del giovane artista siciliano Federico Lupo che si terrà a partire dal 5 dicembre presso la galleria 41zero30 di Modena, ci consente di leggere l’azione solo da ciò su cui si ripercuote, analizzando il luogo di formazione dell’immagine come fosse il luogo di formazione della vita, rincorrendo la morte con la passione mai sopita dei desideri infantili.

Pochi secondi che odorano d’eterno. Poi, l’epilogo, le maglie del tempo si sgretolano ad ogni passo, l’atto finale è scandito dalla breve corsa di un cervo dal manto candido e abbagliante, un filmato amatoriale dalla grana grossa in cui l’animale sembra agire da assoluto protagonista, entrando in relazione dialettica con lo sguardo dello spettatore. I cervi bianchi, animali leggendari descritti come messaggeri dall’aldilà, in grado di accelerare il cammino degli spiriti dei morti, sono in molti casi, animali affetti da leucismo, condizione generata da un gene recessivo che traduce la normale pigmentazione bruna di pelliccia e cute in un bianco abbacinante dall’elevata riflessione di radiazione incidente.
Un’albedo elevata proprio come quella dell’ultima neve, atto conclusivo di un processo in cui l’antimateria a contatto con la materia ordinaria si annulla si distrugge, convertendosi in energia.
Energia che è una triste e inconclusa parabola della pura illusione di movimento, singhiozzi di durata che non saranno mai tempo, segni organici di una presenza restituita soltanto a tratti, un eterno ralenti in bilico tra la visibilità percettiva del non-più-vita e del non-ancora-morte.

Una terribile e sublime dichiarazione d’impotenza. Un “vuoto perfetto”, ancorato tra la consapevolezza della propria finitezza e la dismisura degli universi raccontati, ove la dissonanza s’innesta sovvertendo così la perfezione ritmica del mondo. Ed è il dettaglio a fungere da collante, citando Billy Wider “il piccolo dettaglio che fa sembrare vero”, quello capace di stimolare il senso d’appartenenza alle vicende narrate, uno degli infinitesimi micro elementi destinati a dissolversi, così che la parola fine coincida con la cessazione delle loro funzioni.

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