Giuseppe Stampone trasforma la Prometeogallery in una sala da gioco

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La Prometeogallery di Milano presenta la prima personale di Giuseppe Stampone presso i propri spazi. La mostra dal titolo The Rules of the Game aprirà giovedì 21 gennaio con un progetto complesso realizzato per l’occasione.

Più direttamente di altri suoi interventi, la personale milanese di Giuseppe Stampone dichiara quale principio di base del proprio lavoro il rapporto tra fiction e realtà sociale. Un rapporto inverso, una dissimmetria costitutiva che si serve dell’elemento fittizio e della scena per smascherare le strategie di cattura nelle quali concretamente siamo presi. C’è sempre la volontà di rivelare il lato oscuro della società civile dietro il keep smiling di matrice americana. Oppure, più in generale, la necessità di denunciare le forme di sovranità ed egemonia dietro l’attuale idea di democrazia.
I set che Stampone realizza cercano di inficiare, ogni volta, le sicurezze psicologiche collettive, i ruoli sociali perseguiti, l’efficacia dei dispositivi di cui ci serviamo. A Venezia recentemente ha messo in scena una reale casa prefabbricata appena ultimata e circondata ancora dall’impalcatura. Il pubblico invitato a salire sul ponteggio poteva vedere che al suo interno scorrevano immagini televisive di macerie e rovine: quelle del terremoto d’Abruzzo, che è il luogo di origine di Stampone.

Ma le realtà parallele che Stampone costruisce non sono così realistiche e perfettamente convincenti: non hanno la pretesa di illudere nessuno. Non sono così spaesanti per lo spettatore che pure è invitato ad intervenirvi. Al contrario, queste installazioni lasciano trasparire la manifattura artigianale di cui sono fatte, mostrano il carattere temporaneo e precario proprio della scena. Dichiarano il carattere di copia e di simulacro che rappresentano. Stampone è infatti una sorta di fabbricatore di giocattoli, si serve degli stessi meccanismi dell’intrattenimento per mettere a nudo i nostri immaginari mediatici.

Alla fine c’è sempre la figura di Joker che salta in scena, il sorriso del clown criminale di Tim Burton.
Per questa occasione milanese ha deciso di trasformare la galleria in una sala da gioco. E il soggetto è il gioco d’azzardo. Slot machines, chemin de fer e altri ordigni ludici sono presenti per mettere alla prova uno o più giocatori, per invitarli a sfidare la sorte. Ma il numero che esce dal colpo di dadi non è quello scaturito dal caso ma quello guidato dal banco che gestisce il gioco. L’ufficio della galleria è trasformato in una torretta di controllo e monitoraggio sui giocatori mentre un video ispirato al Salò di Pasolini funziona da elemento di rispecchiamento della scena: delle regole che la governano. Il gioco come meccanismo di sfruttamento dell’idea di fortuna e come agente di dipendenza crescente non è solo l’ultimo sogno possibile delle democrazie del tardo capitalismo. È anche l’ultima forma del nostro rapporto con ciò che chiamiamo arte.

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