Alcune considerazioni su Elisa Sighicelli e la critica italiana

di Redazione Commenta

Finalmente l’arte italiana riesce a varcare i confini del nostro stato, approdando nientemeno che nel dorato tempio dell’arte contemporanea, vale a dire New York City. Portabandiera della nostra creatività è Elisa Sighicelli che ha inoltre partecipato al  discusso Padiglione Italia alla scorsa Biennale Di Venezia. L’artista in questi giorni (fino al 27 febbraio) è in mostra alla Gagosian Gallery di Madison Avenue con un progetto dal titolo The Party Is Over che consta di due video e nove fotografie montate su light boxes. Tra le opere presentate figura anche il video Untitled (The Party is Over), per intenderci quello con i fuochi d’artificio che vanno al contrario.

Ora è da sottolineare il fatto che la mostra da Gagosian sta raccogliendo numerose critiche positive tanto che il celebre magazine d’arte The Brooklyn Rail ha persino dedicato un’ampia ed interessante intervista all’artista redatta dal noto critico John Yau. Tra le domande interessanti poste da John Yau ve n’è una che mi ha letteralmente colpito, Yau avvicina il lavoro sulla luce di Elisa Sighicelli alle ricerche del filmaker sperimentale Stan Brakhage, noto tra l’altro per aver introdotto il concetto di film without a camera (film girati senza cinepresa). Brakhage ha infatti realizzato numerosi films dipingendo la pellicola a mano o graffiato direttamente l’emulsione (il confronto di Yau si riferisce nello specifico al video Mothlight dove Brakhage ha applicato ali di insetti sulla pellicola).

Questo processo oltre a creare meravigliose masse di colore in movimento è un elogio alla luce come generatrice di opere d’arte.   Insomma sembrerebbe che negli States, la particolare indagine sulla luce di Elisa Sighicelli abbia trovato la sua giusta collocazione e questo non può che far piacere. Eppure (come già anticipato) girando per il Padiglione Italia alla Biennale ho raccolto numerose opinioni negative sia da parte del pubblico che dagli addetti del settore riguardo alla proposta di Elisa Sighicelli, anche le critiche su giornali e riviste d’arte si sono rivelate abbastanza fredde riguardo gli artisti italiani presenti in Biennale. L’interessante intervista di Yau ed il successo della mostra sono due elementi che mi hanno  portato alle seguenti riflessioni e/o interrogativi che, lungi dal far polemica, vorrei rigirare ai nostri lettori:

Gli artisti nostrani vengono sistematicamente fraintesi finchè si trovano nel nostro territorio. Successivamente, al di fuori dei nostri confini, si scopre la loro bravura e la loro profonda poetica.

Luca Beatrice e Beatrice Buscaroli non hanno valorizzato l’operato degli artisti proposti con un valido supporto critico/didattico, riassumendo frettolosamente il loro padiglione come un tributo al Futurismo.

L’invidia porta il pubblico ed in special modo gli artisti a giudicare in maniera negativa i successi ottenuti dai loro colleghi più fortunati.

Si guarda troppo spesso all’opera di un determinato artista secondo canoni estetici e non si prende in considerazione l’aspetto concettuale e sperimentale.

Elisa Sighicelli fa parte della scuderia Gagosian. Questo fatto provoca un’automatica sudditanza psicologica legata anche alle leggi ed agli equilibri di mercato, nessuno quindi osa parlar male di un artista rappresentato da uno dei più potenti mercanti d’arte del mondo.

– Elisa Sighicelli fa parte della scuderia Gagosian proprio perchè è un’artista di talento ed il pubblico ed i critici nazionali non hanno i mezzi culturali per poter meglio comprendere l’opera dell’artista.

Sta a voi scegliere quale riflessione si adatta meglio all’intera vicenda.

Micol Di Veroli

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