Le pagelle di Start Milano – Parte 1

di Redazione 1

Ciò che segue è  un’operazione brutale e un po’ masochista, vi assicuro che ogni riferimento a fatto o persona è assolutamente vero, ma resta un mio personalissimo punto di vista, per cui deprecabile. L’esperimento a cui mi sono auto-sottoposta consisteva nel visitare le 37 mostre ospitate dalla gallerie d’arte contemporanea di Milano, in occasione del weekend di apertura straordinaria che l’associazione Start organizza ogni anno per l’inizio della stagione. Ad ogni esposizione ho dato poi un voto, da 0 a 10 spiegandovi brevemente il perché. L’idea è, da una parte aiutarvi magari a scegliere dove passare un pomeriggio alternativo, dall’altra fare un po’ un quadro su cosa succede nella città italiana del contemporaneo (!?).

Ovviamente se lo scorso anno l’organizzazione metteva al servizio dei visitatori comodi pulmini per spostarsi da una zona all’altra, quest’anno ha deciso di optare per le ecologiche biciclette, per questo ha piovuto. Lungi da me dal tediarvi con le innumerevoli avventure e sfide che ho dovuto affrontare per portare a termine la missione, quello che invece mi renderebbe felice sarebbe una vostra reazione; quindi sentitevi educatamente liberi di esprimervi a riguardo.

Marco Rossi arte contemporanea – ON THE PAPER |  Michael Ajerman, Gianfranco Asveri, Valerio Berruti, Giosetta Fioroni, Giovanni Frangi, Alex Katz VOTO 4

Capisco l’importanza della prossima mostra di Valerio Berruti alla Fondazione Stelline e capisco che possa sembrare una buona scusa per giustificare la mancanza di una nuova proposta per l’inizio di stagione, ma in realtà credo sia solo controproducente. Soprattutto se la proposta vecchia è debole come “On the paper”: un mix di artisti completamente differenti tra loro accomunati soltanto dall’utilizzo del supporto cartaceo. Manca la coesione tra i lavori esposti e l’allestimento è senza originalità.

Studio Giangaleazzo Visconti -IDOLUM | Boo Saville– VOTO 6

Boo Saville, al contrario della sorella Jenny, è capace di leggerezza e poesia, pur senza celare un certo cinismo. Le opere esposte da Visconti però non convincono appieno, con una veloce ricerca su internet si trovano lavori ben più significativi e d’impatto. A Milano espone per la prima volta, ma senza guizzi assomigliando ora a Bacon, ora a quelle stampe cupe dei Pierrot anni Ottanta. Il tema dell’esposizione: gli idoli, e in generale l’interesse della Saville per l’occulto e le religioni, è mal raccontato; forse proprio a causa del tentativo di mostrare diversi aspetti del suo operato per farla conoscere al pubblico italiano. Lo stile di questa trentenne inglese è decisamente…inglese, non a caso è legata anche lei alla Saatchi Gallery. Sicuramente da tenere d’occhio nelle prossime occasioni espositive.

Lorenzelli Arte – Ronnie Cutrone | Pop Off the Rack, Bite a Slice, Mix & Match VOTO 5

“Come artista pop sono ossessionato dai fenomeni culturali  e dalle tendenze che nel bene e nel male alimentano e trasformano una società.” Ha dichiarato Ronnie Cutrone, che con un nome del genere vedrei bene in un film sulla mafia. Invece questo arzillo signore abitava dietro ai Velvet Undergrounds e faceva da assistente a Andy Warhol, ahimè. In mostra da Lorenzelli, che vanta uno spazio espositivo davvero bello e grande, bandiere con disegnati Topolino & Co., donne velate con bandierine che coprono la bocca (avanguardistico messaggio politico) e copertine di album musicali riprodotte e stilizzate. Giusto per non farci mancare nulla, anche qualche super eroe, è questa l’America di cui ha bisogno l’arte?

Corso Veneziaotto – Davide La Rocca | Ritratti VOTO 4

Davide La Rocca lavora sulla decostruzione dell’immagine, ingrandendola e riconducendo il coloro a punti di colore puro, ma, appunto, si chiama La Rocca e viene da Catania e non Roy Fox Lichtenstein da New York. E con questo direi che diventa chiaro il motivo del voto basso, ma se non basta aggiungo che lo spazio era decisamente ridotto rispetto alle grandi tele, che hanno velleità museali, ma mancano di spirito. I ritratti delle dive in bianco e nero sono banali e l’omaggio a Caravaggio è da corso accelerato di disegno, quelli con i contorni e i numerini che indicano il colore.

Fondazione Marconi – Bruno Di Bello | Antologia – VOTO 6+

Giò Marconi presta gli spazi alla Fondazione per questa grande antologia difficilmente paragonabile ad una mostra di galleria. Decisione per lo meno strana per un inizio di stagione, e decisamente didattica nella scelta dell’artista da esporre. Di Bello espone da Marconi dal 1971 e se il suo nome non è tra quello dei grandi dell’arte italiana per lo meno viene la curiosità di scoprire il perché. Il percorso sui quattro piani procede tra alti e bassi. Le opere nuove sono agghiaccianti stampe a laser con capezzoli e vagine in primo piano, mentre le opere più datate mostrano una ricerca forse un po’ superata, ma con spunti interessanti. Principalmente si tratta di giochi di scomposizioni e lettering ipnotici che inducono alla vertigine e allo sfocato. Molto coinvolgente la grande installazione nel sotterraneo.

Galleria Nicoletta Rusconi – Los vigilantes de la playa | David Renngli – Franz Schmidt – Kelly Tippsman – VOTO 7+

Forse se le proposte degli “avversari” fossero state più corpose avrei dato un voto minore a questa mostra, ma come succede spesso, se la gara non c’è si premia il coraggio. Nicoletta Rusconi, con Milovan Farronato, ha deciso di osare un po’, non solo con una proposta fresca e tre nomi giovani, ma soprattutto ha deciso di giocare con lo spazio e lo spettatore si trova immerso fin da subito in un universo parallelo. La scultura di Kelly tippsman costringe chi entra nella galleria ad adeguarsi agli spazi proposti, e le altre opere disegnano scenari ambigui ed assolati tutti da decifrare. Molto bella l’idea del curatore di accompagnare il tutto con una raccolta di immagini d’ispirazione, piuttosto che con il solito testo critico, una conferma alla mia sensazione: siamo di fronte ad una mostra cinematografica.

Studio Guenzani – Matteo Rubbi – VOTO 5

Matteo Rubbi è un trentenne bergamasco pieno di vita. È un godimento osservarlo mentre spiega a qualche collezionista come leggere la sua opera, un folletto cresciuto troppo che saltella elencando gli elementi della tavola periodica, che glissa e ironizza incitando a correggere il grande disegno della nascita dell’universo riportato su lastre di ardesia. Ma, perché c’è sempre un ma, sembra di essere in uno di quei bei laboratori didattici dei musei della Scienza e della Tecnica di tutto il mondo: “Vedete bambini l’universo si basa su queste cose che sembrano irraggiungibili e invece sono in questi oggetti comuni, vediamo assieme quali sono…” Una mostra che colma l’ignoranza, ma…

Studio d’arte Cannaviello – Anni ‘70 – VOTO 8

Lasciamo perdere per un momento il dubbio che sia ancora oggi, nel 2010, considerabile contemporanea l’arte degli anni Settanta, perché a leggere l’elenco degli artisti presenti da Cannaviello sembra di essere di fronte a una mostra da museo statale (estero). Appesi alle pareti in un organico disegno quasi grafico, come fossero alle pareti di un appartamento, troviamo: Acconci, Agnetti, Andzia, Askevold, Attalai, Baselitz, Baechler, Baldessari, Beckley, Benati, Beuys, Boetti, Brus, Burgin, Buthe, Boltanski, Calderara, Chaimovicz, Chia, Chiari, Ciam, Clemente, Costa, Cutforth, De Maria, Denes, Disler, Dweyer, Esposito, Garouste, Garutti, Graham, Gerz, Germanà, Gravier, Hutchinson, Faggiano, Fortuna, Klein, Kolar, Kounellis, Le Gac, Lewitt, Locci, Longo, Longobardi, Lundberg, Luthi, Mainolfi, Mariani, Mattiacci, Mauri, Mc Ever, Merz, Nitsch, Oppenheim, Mac Adams, Paladino, Parmiggiani, Patella, Paolini, Penck, Plessi, Pettibone, Pignotti, Pistoletto, Polke, Notargiacomo, Rainer, Richter, Rytka, Salvadori, Salvo, Stalder, Schweizer, Sieverding, Sosnowsky, Spoldi, Struth, Testa, Tremlet, Vaccari, Vostell, Welch, Winnewisser, Wojciehowski, Zaza. Che l’arte un po’ passata abbia ancora tanto da dire lo dimostrano la qualità delle opere e i diversi bollini rossi messi in bella vista vicino alle opere vendute. Una scommessa, una mostra storica complessa, ma bel orchestrata, anche nel esporre uno accanto all’altro autori e tecniche così diverse, sarebbe da vedere con un bel libro di storia dell’arte in mano.

Zero… – Victor Man | the dust of others – VOTO np

Sul comunicato stampa si legge: “Ciò che Victor Man percepisce è in costante trasformazione e dà vita ad un universo infinitamente esplorabile, dove dipinti e installazioni si originano vicendevolmente attraverso forme, livelli di percezione e chiavi di comprensione differenti.” Credo di essermi persa qualcosa, dovendo vedere molte gallerie in poco tempo ho portato con me un quadernetto dove segnarmi subito le impressioni e non perderle o mischiarle durante la giornata. Nella pagina relativa a Zero… ho scritto solo queste tre parole: vai a capirla. Nei grandi spazi abbandonati e ruvidi della galleria ho osservato opere perse nel nulla senza che mi arrivasse nessuna chiave di lettura, figurarsi più d’una… Di solito in queste situazioni si dice che ci si trova di fronte o a un genio oppure a un pazzo, se qualcuno mi può illuminare sarò più che felice di ascoltare, nel frattempo non riesco a dare un giudizio.

The Flat – Massimo Carasi – An intelligent design | Paolo Cavinato – The limbo collection | group show- VOTO 8

Da The Flat c’è di bello che hanno due spazi separati e quindi ad ogni giro di boa propongono un progetto nuovo, o nuovissimo, come in questo caso, ed una collettiva in cui vengono esposti più o meno tutti gli artisti della galleria. The limbo collection quindi è un insieme di opere opposte che si attraggono, di indefiniti dai contorni chiari, di pezzi di storie una dentro l’altra. Così chi è assiduo frequentatore ritrova le opere già viste, ma cambiando prospettiva, mentre chi è nuovo può scovare diversi spunti e, perché no, motivi per ritornare.

Al piano superiore invece la stagione apre con un nuovo artista. Le opere esposte non sono molte perché hanno bisogno di un respiro largo, sono lavori spaziali, geometrici e misurati. La grande scultura centrale “Annunciazione” è il punto di partenza per un percorso intimo e personale verso un assoluto inespresso. È un gioco di spazi e di vuoti, soprattutto di vuoti. È un quaderno bianco con le parole scritte con l’inchiostro simpatico. Una mostra non leggera nei contenuti, ma che riesce a togliere dalle spalle dello spettatore il peso della ricerca, Cavinato trasforma la tensione in traccia, in immagine sospesa tra la bi- e la tri- dimensione, sta a noi trovare il giusto punto di fuga.

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