VETTOR PISANI – Theatrum mundi

di Redazione Commenta


Un omaggio sentito e dovuto a un amico di sempre scomparso recentemente, Vettor Pisani. Graziano e Fabrizio Vigato aprono la nuova sede milanese dello Studio Vigato in via Santa Marta 19 (presente già in Alessandria e Bergamo) con la mostra “Theatrum mundi” (13 ottobre – 1 dicembre 2011), che propone una serie di lavori a muro, e tre sculture, riferite agli ultimi 10 anni vita dell’artista nato a Ischia nel 1934: un “Theatrum mundi” raccontato attraverso immagini simboliche – immagazzinate in un suo enorme spazio mentale – molto forti e di clima barocco, le quali hanno, quasi sempre, la donna (vergine-madre) come interprete principale, centro motore di un suo universo grottesco, sensuale, e giocoso, distante da quello precedente.

I collage, i disegni colorati, le sculture fatte di immagini e cose trovate, che magari ostendono un pupazzo (alter ego di sé stesso ) riposante nella tazza di un bidet, o magari una serie di citazioni prese dalla Storia dell’Arte, (la famosissima immagine dell’ ”Isola dei morti” di Bocklin, la Santa Teresa di Bernini posata su un frigorifero, la “Ruota di bicicletta” di Duchamp, la testa di Hermes trapassata dal suo stesso nome scritto col neon, ecc.) sono l’esempio eloquente di un mondo visionario, ma critico verso il presente. Come ha scritto tempo fa, Maurizio Calvesi, Pisani è stato il primo a contrapporre la sua “arte critica” all’arte concettuale e mentale degli artisti americani, ma anche europei; l’artista nato a Ischia ha quindi contestato giustamente l’atto mentale dell’autore che considera l’idea, come superiore e privilegiata, rispetto a una cultura che propone l’esoterismo, l’utopia, la tensione ideale, l’umorismo, il gioco, il mito, la psicanalisi. Non è dunque difficile avvicinare la dottrina dei Rosacroce, i riti alchemici, la filosofia, ai riferimenti culturali, che hanno accompagnato tutto l’excursus del lavoro di Pisani, come, ad esempio, la poetica dei tre maestri, che ha amato tutta la vita, e a cui si sentiva fratello: Duchamp, Beuys, Klein, coi quali formava un quartetto.
A voler inquadrare Pisani, in termini di alchimia, ci rendiamo conto che egli ci ha dato una straordinaria immagine della fase nera, cioè della fase di angoscia e di meditazione pessimistica, intrisa di dureriana “Melencolia”, piena di oggetti disseminati, di animali e materiali simbolo di lentezza e infelicità, ma ogni cosa porta ancora in sé segni di evoluzione.

L’impulso dell’artista è quello di infrangere, retrocedendo la fissità degli oggetti, di non opporsi al trascinamento temporale, con un’ inversione del presente verso il passato. Ci troviamo davanti lavori che, come uno specchio deformante, fanno rimbalzare verso di noi le ideologie culturali di Pisani, da Freud, a Nietzsche, all’alchimia. Le opere sottendono un bisogno di “teatro” che non può non servirsi di codici e significati “segreti”, di regole comportamentali insensate, poiché non facili alla decifrazione razionale. Ma come negare l’ineludibilità di un approccio magico all’esistenza? L’artista ribadisce col suo lavoro, che l’umorismo è una componente essenziale della religione, il sentimento della buffa piccolezza dell’individuo davanti all’infinito del cosmo e del divino. Come Leopardi, Pisani sa bene che il paradosso comico – la cui potenza permette di guardare bene in faccia la crudele assurdità della vita e della morte – nasce spesso dalla disperazione, dalla sconsolata e ferma consapevolezza del male, dalla volontà di affondare nell’ebbrezza dionisiaca.

 

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