Occupiamoci di Contemporaneo riscrive la storia dell’arte contemporanea

Il 28 giugno 2011, contro mille pronostici e tanti detrattori ma a favore di tutta la comunità delle arti, Occupiamoci di Contemporaneo (collettività aggregata per prendersi cura della cultura e delle arti contemporanee) ha scritto un importante capitolo all’interno della travagliata storia della cultura del nostro paese. Va detto che l’impresa di chi ha animato queste giornate di grande impegno sociale non è certamente passata inosservata, visto che oltre alle testate nazionali anche il New York Times ha parlato dell’intera vicenda, riportando il MACRO sulle pagine di un quotidiano statunitense dopo un lunghissimo periodo di assenza.

Il potere della comunità ha sovvertito quindi l’immobilismo politico e l’insipienza delle parrocchiette della scena dell’arte locale, unendo mondi che difficilmente si sfiorano all’insegna di un bene comune. Occupiamoci di Contemporaneo ha restituito il MACRO alla città di Roma, nel corso di giornate dove si sono succedute molteplici assemblee in cui tutto il popolo creativo ha avuto la possibilità di esprimere il proprio parere e le proprie preoccupazioni circa il futuro del museo ed il futuro dell’arte contemporanea nazionale.

Ai Weiwei, la strada per la vera libertà è ancora lunga

Photo: Peter Parks

Come già scritto in un nostro precedente articolo, Ai Weiwei è stato finalmente liberato ed il mondo dell’arte può finalmente tirare un mezzo sospiro di sollievo. Parlo di mezzo sospiro poiché la situazione del coraggioso artista cinese è ancora molto complessa. Weiwei ha infatti parlato brevemente con la stampa internazionale ma le sue poche parole sono state queste: “Vista la situazione in cui mi trovo in questo momento. non posso rilasciare dichiarazioni agli organi di stampa. Per favore cercate di capirmi”.

Eppure il coraggioso artista ci aveva abituato ad interviste-fiume contro l’oscurantismo del regime cinese, è dunque chiaro che nelle sue secche parole si cela la tensione di un uomo che si sente ancora braccato da un governo che di fatto non lo lascia respirare. La polizia cinese ha rilasciato Weiwei per chiudere la bocca alle decine di manifestazioni internazionali a sostegno dell’artista, spuntate come funghi in questi ultimi giorni.

Ammar Al-Hameedi, giovani talenti crescono

Permettetemi oggi di dare una notizia un poco diversa dal solito, questo perché riguarda una soddisfazione personale che di riflesso interessa anche la giovane scena dell’arte contemporanea. Ho da diverso tempo iniziato una sorta di attenta ricognizione sulle giovani leve dell’arte, visitando studi e facendomi consigliare da altri artisti, già mid-career, quali nuovi talenti ritenevano degni di particolare attenzione.

Ho quindi iniziato ad inserire gli artisti che mi sembravano più “freschi” in alcuni eventi, con l’obiettivo di dargli nuove possibilità all’interno di un circuito fin troppo  prono su sé stesso e poco avvezzo alle novità.  Agli inizi di quest’anno, sotto consiglio dell’artista Davide Orlandi Dormino, ho visionato le opere di Ammar Al-Hameedi un giovane e promettente artista di origini irachene. Quella visita si è poi trasformata in una meravigliosa mostra  all’Ambasciata della Repubblica dell’Iraq di Roma nel marzo di quest’anno.

Quando l’arte non è cosa

Le “mafiette” e le relative guerre fra “bande” sono il nostro sport nazionale, una pratica tanto antica quanto diffusa che generalmente mette a confronto vari gruppetti (più o meno coesi) di amici che hanno l’intento comune di spartirsi una torta, sia essa piccola o grande. Questo modus operandi è largamente diffuso all’interno della scena dell’arte contemporanea nostrana e forse il Padiglione Minestrone Italia del Vittorione Nazionale ®, nel tentativo di opporsi alle mafiette, ha di fatto portato alla luce un ennesimo gruppetto di amichetti, vale a dire quello degli artisti che si trovano al di fuori della scena ufficiale ma godono comunque della stima di una parte della borghesia costituita da intellettuali, registi e compagnia cantante.

Il gruppetto messo in luce da Vittorione persegue gli stessi intenti delle altre “bande” vale a dire piazzare artisti in luoghi istituzionali, crearsi una cerchia di collezionisti, stringere rapporti con i galleristi e via dicendo.

Arte contemporanea italiana, una scena senza regole

Chi sono i curatori d’arte contemporanea attivi in Italia? Quali sono i loro compensi base e che contratti hanno? Gli assistenti di galleria hanno ferie e malattie pagate? Quale contratto nazionale stabilisce i loro diritti ed i loro doveri? Al di là delle liste create da magazine del settore, esiste un albo degli addetti ai lavori del settore del contemporaneo?

Quali sindacati esistono, quali associazioni, quali tariffari? Al di là di qualche sparuta unione nazionale, tutte queste figure professionali di fatto non hanno nessuna regolamentazione. Nessuna legge significa che alcuni professionisti o presunti tali (pochi a dire il vero ma ve ne sono) possono chiedere compensi astronomici, magari anche gabbando le tasse.

Eva Hesse, minimalismo con sentimento

Tra le fredde emozioni offerte dalla grandi stagioni del minimalismo e del post-minimalismo vi è forse un recondito anfratto empio di rovente sentimento, di lirismo ed introspezione che se si oppone all’asetticità ed alla rigidità plastica delle forme. Questo delicato involucro interno è costituito dalle opere di Eva Hesse, grande protagonista del contemporaneo scomparsa a soli 34 anni nel 1970 ma capace di influenzare le nuove leve creative.

Eva Hesse nel corso della sua breve carriera artistica ha contribuito a cambiare per sempre il modo di approcciarsi alla pratica scultorea avvalendosi di materie all’epoca poco utilizzate e sperimentate come la gomma, le resine, il poliestere, il lattice ed altre materie plastiche. L’estrema duttilità degli elementi utilizzati, assieme ad un ferreo e pragmatico controllo degli stessi, permisero all’artista di realizzare installazioni in bilico tra forme organiche e presenze eteree, opere ibride che evocano tensioni tra contrari: caos e ordine, materiale ed immateriale, spazio positivo e negativo.

Douglas Huebler, il Grande Correttore

Il mondo è pieno di oggetti, più o meno interessanti; Io non voglio aggiungerne altri”, una frase emblematica questa dell’artista statunitense Douglas Huebler (1924 – 1997), partito dall’espressionismo astratto ed approdato a seminali ricerche concettuali, basate su di una commistione tra fotografie ed interventi testuali provenienti da una mitologia squisitamente personale. La sua affermazione, citata all’inizio di questo articolo, risulta ancor più attuale in tempi di sistematica iperproduzione di immagini.

Anche Huebler produceva immagini ma il suo intento non era quello di aggiungerle alla massa pregressa, quanto quello di utilizzare la macchina fotografica come un crudo attrezzo che copia la realtà, che serve solo per documentare un qualsivoglia fenomeno gli si presenti davanti. Nel far questo Huebler ha evitato una scelta estetica focalizzando la sua attenzione sull’essenza dei fenomeni. Ed è così che l’artista ci spinge ad ammirare la realtà degli oggetti all’interno di uno specifico sistema, senza tentare di aggiungerne altri, sottraendo semmai gli stessi all’ambiente circostante.

Maurizio Cattelan in Biennale: una minestra (di piccioni) riscaldata

Non parla mai delle sue opere ma delega ogni esegesi ai suoi pupilli Massimiliano Gioni (prima) e Francesco Bonami (poi), ama divertire e stupire il pubblico con veri e propri tiri mancini che sovente riempiono le pagine dei tabloid di tutto il mondo. Ovviamente si parla di Maurizio Cattelan, quello dei bambini impiccati e del Papa travolto da un meteorite, per intenderci.

Personalmente ho seguito con interesse e meraviglia molte peripezie dell’ex enfant terrible dell’arte contemporanea, tanto da inserirlo in un capitolo del mio libro Oltre Ogni Limite, descrivendo in tal guisa la sua poetica: “Cattelan ha sin dagli esordi proposto una linea creativa beffarda, mirata non a sovvertire il sistema di cui ogni artista fa parte bensì ad evidenziarne gli aspetti più popolari, patetici ed imbarazzanti, scatenando così velenose polemiche ma anche profonde riflessioni. Grazie alla sua inesauribile carica ironica, il mondo dell’arte ha improvvisamente scoperto di essere chino su se stesso, avviluppato in un simbolismo ermetico e pretestuoso da cui è però possibile fuggire per brevi momenti, saltando oltre la staccionata e canzonando chi vi rimane all’interno”.

Pubblicità e arte contemporanea

Avete mai pensato che anche la pubblicità potrebbe trasformarsi in arte contemporanea? Beh siamo certi che molti puristi a sentir queste parole storceranno la bocca. Eppure nel corso della storia, l’arte contemporanea ha più volte incrociato (o per meglio dire sfruttato ed evidenziato le ossessioni de) le meccaniche pubblicitarie per giungere al fruitore con inalterata potenza creativa. L’Independent Group capitanato da Eduardo Paolozzi e Richard Hamilton ad esempio, ha di fatto anticipato le ricerche Pop, utilizzando soggetti presi in prestito dalla cultura dei mass media.

Inutile poi citare gli universalmente celebri décollage di Mimmo Rotella che con la pubblicità ed i suoi manifesti strinse un rapporto indissolubile. Ma il mondo della pubblicità e dei grandi brands è stato anche il motore centrale della Pictures Generation, basti citare i cowboy della Marlboro di Richard Prince ed il leone ruggente del video Metro-Goldwyn-Mayer di Jack Goldstein, opera in loop che mostra il brand della nota casa di produzione cinematografica come metafora assoluta del potere dei media.

Anche la Digital Art ha bisogno del…restauro

Sembra una barzelletta ma purtroppo le cose stanno proprio così, nell’era del digitale la Digital Art sta affrontando un duro periodo per quanto riguarda la conservazione delle opere. Tutta colpa della tecnologia che con i suoi rapidi cambiamenti rende praticamente illeggibili le opere più datate. Proprio così, con l’avanzamento della tecnologia le scoperte passate divengono irrimediabilmente obsolete ed anche i supporti o i files devono essere trasformati in qualcosa di leggibile per le nuove macchine.

E’ chiaro però che non tutto può essere aggiornato senza perdere qualcosa in termini di qualità. Pensate ad esempio ad un’opera digitale creata mediante l’utilizzo di un floppy disk da 8 pollici, nessun computer odierno potrebbe leggerla. L’opera dovrebbe essere quindi passata su altri supporti e letta tramite speciali emulatori presenti sui moderni pc, ma a quel punto l’emulatore dovrebbe essere talmente preciso da non corrompere l’estetica dell’opera. Inoltre, spesso sono proprio le macchine utilizzate dall’artista per dare corpo all’opera ad esser superate da altre tecnologie che non permettono più di ottenere un effetto simile all’originale.

Padiglione Italia Vuoto!

Dopo gli abbandoni ed i successivi ritorni del Vittorione Nazionale™ al Padiglione Italia alla Biennale di Venezia, (noi avevamo già predetto tali e tante tarantelle molti mesi fa con questo articolo-provocazione) il mondo dell’arte del nostro martoriato stivale ha subito lanciato un toto-padiglione per scegliere un nuovo paladino in grado di traghettare la nostra arte fuori dalle acque oscure all’interno delle quali ci ha portato Sgarbi. Artribune ha sollevato il nome del bravo Andrea Bruciati. Comunque sia l’allarme è rientrato.

Secondo il mio modesto parere sarebbe stato meglio lasciare il Padiglione Italia vuoto, non per anarchia, nichilismo, sandinismo o quello che volete ma semplicemente per chiudere con il passato e per mostrare al mondo intero la nostra reazione. Non una presa di posizione o un chinare la testa passivamente quindi ma una vera e propria tabula rasa contro comportamenti che devono finire. Se non vi bastano queste parole, ecco altre ragioni per lasciare vuoto questo Padiglione:

Una giovane arte pesante come una pila di mattoni

Vi dice niente il titolo Equivalent VIII? Ebbene stiamo parlando di un’opera comunemente nota come The Bricks (I mattoni), prodotta dal mitico Carl Andre nel 1966 ed acquisita in seguito dalla Tate Gallery nel 1972 per 2.297 sterline, una bella somma per l’epoca. Quando fu esposta per la prima volta nel 1976, The Bricks non mancò di scatenare le ire di pubblico e critica, furono in molti infatti ad asserire che la Tate aveva dilapidato una preziosa somma proveniente dalle tasche dei contribuenti per acquistare un’inutile ed anonima pila di mattoni.

L’opera di Andre fu comunque un’operazione decisiva che può aiutarci oggi a tracciare la traiettoria della storia dell’arte contemporanea sempre in bilico tra echi duchampiani e minimal. Inutile dire che Equivalent VIII riesca ancora a sollevar polemiche a circa 30 anni dalla sua prima uscita al Tate.

La Dinamica della Pizza©, ovvero una mostra per l’Italia senza italiani

Proprio ieri ho pubblicato un comunicato stampa relativo alla mostra Un’Espressione Geografica, organizzata dalla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo con l’obiettivo di celebrare i 150 anni dell’Unità d’Italia. Come è possibile leggere nel comunicato: “la mostra racconterà la varietà del territorio italiano, esaltando le ricchezze e la specificità di ciascuna Regione“. A questo punto però vorrei far notare un particolare alquanto bizzarro.

Con la scusa di riproporre una sorta di viaggio in Italia alla Goethe, la Fondazione ha chiamato ventuno artisti stranieri a produrre un personale “ritratto” delle altrettante regioni italiane, il tutto sovvenzionato dalla Fondazione e da un’importante istituto bancario. La curatela di Francesco Bonami è la ciliegina sulla torta di un evento che di fatto si offre al pubblico come un vero e proprio affronto alla nostra scena artistica.

Cosa succede nel museo d’arte contemporanea della tua città?

Attenzione, segue dialogo fittizio ma molto probabile:

“Ed il vernissage al museo quando lo facciamo, di Giovedì come di consueto? No meglio il venerdi, anzi meglio il sabato. Anzi no scusate, facciamolo di martedì che fa più radical chic. E poi fatemi il piacere di non chiamarlo vernissage ma opening. Potremmo anche organizzare una sorta di brunch e magari piazzarlo all’interno di una preview per collezionisti e giornalisti.

Poi verso la primavera organizziamo un appuntamento con aperitivo e musica electro, così vengono i giovani. Una bella situazione tipo discoteca avant-garde così facciamo 4000 presenze in un sol colpo e quando mandiamo i comunicati stampa possiamo dichiarare di esser l’istituzione con più visitatori in assoluto.