Perchè la Biennale di Sgarbi è una guerra persa in partenza

La Bunga Biennale sta entrando nel vivo ed in molti hanno preso le giuste posizioni per opporsi alla totalitaria offensiva lanciata da Vittorio Sgarbi. Tra artisti che rifiutano di partecipare e curatori che già proclamano il fallimento di un Padiglione Italia allargato, c’è anche chi difende l’operato del Vittorione Nazionale® e forse costoro avranno le loro buone ragioni. In questa ressa si rischia però di tralasciare un fattore assai importante che in sostanza ha già minato le fondamenta di questa Biennale.

Andiamo per gradi, sappiamo tutti che Vittorione ha intenzione di esporre un ricco drappello di giovani artisti provenienti da ogni regione d’Italia, i quali verranno collocati in sedi prestigiose eccetera eccetera. Ad affiancare Sgarbi in questo duro lavoro son presenti alcuni curatori, giornalisti ed altri addetti del settore, come anticipato da Exibart. Va detto però che queste personalità non sono le uniche a collaborare con Sgarbi, visto che anche Arthemisia Group in questi giorni sta contattando moltissime gallerie private di tutta Italia, a caccia di artisti da sottoporre all’attenzione del celebre storico. Tutto questo meccanismo a me sembra un poco bizzarro e confusionario ma non è questo il punto.

Le previsioni per i prossimi venti anni

Come si evolverà l’arte contemporanea nei prossimi venti anni? sembrerebbe la domanda del secolo ma è sicuro che in molti vorrebbero avere la risposta giusta per imbrigliare il mercato o semplicemente per scrivere un illuminante trattato. Ovviamente l’arte cammina di pari passo con la tecnologia ed è innegabile che le nuove scoperte nel campo dell’elettronica potrebbero dar vita a nuove metodologie e nuove estetiche che noi neanche immaginiamo, non si parla di digital art ma di qualcosa di molto più articolato.

Possiamo però tirare alcune somme in base ai trend di questi ultimi anni e stilare un’ipotetica lista delle caratteristiche salienti dell’arte del futuro. La pittura figurativa ad esempio è in grande difficoltà, non è escluso quindi un sostanziale ritorno all’astratto da cui potrebbe partire in seguito una corrente, in netta contrapposizione, qualcosa che in sostanza miri a minare il concetto stesso di immagine. La struttura della galleria d’arte privata potrebbe ricalcare quella del franchising, come già lascia intendere l’invasione a tutto tondo dei grandi brands come Gagosian.

Danilo Bucchi al Mlac di Roma

Il segno, ossessione avanguardista, torna a popolare gli spazi del contemporaneo nella mostra personale di Danilo Bucchi al MLAC – Museo laboratorio di arte contemporanea di Roma a cura di Domenico Scudero e Giorgia Calò. L’esposizione, per l’appunto intitolata S I G N S. The Black Line, sarà inaugurata il 10 marzo e sarà visibile fino a fine mese.

Articolata in due sezioni: nella prima, quella che riguarda il piano superiore del museo, sarà possibile visionare gli ultimi lavori dell’artista connotati da una ricerca ossessiva sul segno in cui è possibile intravedere morfologie note, care alle esperienze di artisti quali Paul Klee. E a ben pensarci, Klee era stato un grande semiotico dell’arte visiva evidenziandone appunto la natura psichica, le sue opere, come quelle di Bucchi, erano denotate da segni semplici, ridotte all’essenziale, situate in quella zona franca dell’esperienza in cui la forma non è che un filtro attraverso cui rendere la natura sensibile.

Roberto Pugliese – Soniche Vibrazioni Computazionali

Sabato 19 marzo alle ore 19:00 Studio La Città di Verona (Lungadige Galtarossa, 21) inaugua la mostra Soniche Vibrazioni Computazionali, personale del giovane artista napoletano Roberto Pugliese a cura di Valentina Tanni.

Siamo abituati a vedere la tecnologia come il mezzo per raggiungere un fine. Tuttavia, se da un lato la consideriamo un semplice dispositivo per risolvere problemi, allo stesso tempo la carichiamo di simbologie, aspettative e paure. Ma mentre eravamo impegnati a cercare di definirla, è successo qualcosa che ha cambiato le carte in tavola, modificando per sempre lo scenario: tecnologie ed esseri umani sono diventati intimi. Con l’avvento dei personal computer, e poi con la miniaturizzazione dei circuiti elettronici – per non parlare di protesi e biotecnologie – abbiamo avuto la possibilità di confrontarci con le macchine a un livello diretto ed empatico: sono entrate a far parte della nostra vita quotidiana, modificando i pensieri, i gesti, le abitudini, mediando i rapporti interpersonali.

Rebecca Agnes – Urania

Il ciclo espositivo Lithium 1 (Napoli) prosegue l’11 marzo con l’inaugurazione della personale di Rebecca Agnes (Pavia,1978; vive e lavora a Berlino). L’universo visuale dell’artista si è formato sulla letteratura fantascientifica “classica” che visualizza l’alieno come qualcosa di vegetale. Dall’invasione degli ultracorpi ai pomodori assassini il genere è sempre stato ricco di esseri ispirati al mondo vegetale. Questa influenza ha fatto sì che gli esseri umani, nei suoi lavori, sono un’assenza, l’unica traccia che ne rimane sono architetture fantastiche e protagonisti sono baccelli (pod), funghi, fagioli e organismi monocellulari.

In Urania, video del 2009 che dà il titolo alla mostra , tutti questi esseri sono minuscoli o invasivi, lenti nei loro movimenti oppure velocissimi nell’apparire e scomparire chissà dove. La loro vitalità richiama la nostra attenzione, un invito a considerare in modo differente il reale di cui abbiamo esperienza. La natura, che ci sembra tanto vicina, è un universo impenetrabile al nostro sguardo. Come noi stessi siamo “universi” indipendenti l’uno dall’altro, coerenti con le nostre regole interne, ma non necessariamente aperti verso l’altro o capaci di comunicare con esso.

Come verrà distrutta Roma…

Sabato 12 marzo alle ore 18 sarà inaugurato il nuovo progetto editoriale ed espositivo della galleria romana CO2. L’intero progetto, ideato da Giorgio Galotti, Gianni Garrera, Giuseppe Garrera e Francesco Napolitano, possiede nel suo genere l’unicità di servirsi di contenuti e materiali selezionati su un tema dato per la composizione di una rivista che sia interamente e in modo pregnante di razza visuale. Il manifesto del progetto, riportato sulla copertina di ogni singola copia, serve a regolare e avviare un processo nuovo di creazione per l’artista, coinvolgendolo in un esercizio obbligato di elaborazione del tema proposto.

I contributi selezionati per la rivista, reperiti da fonti storiche ricontestualizzate, convivono e sono messi in relazione con gli interventi sviluppati dagli artisti coinvolti. Il corpus che si viene a formare tende a scandire un dettato visivo che opera dalla prima all’ultima pagina. Durante il periodo espositivo tutti i contributi originali, rigorosamente realizzati o selezionati entro il formato massimo della rivista, ovvero 28×22 cm, saranno visionabili a parete.

A Genova l’arte da Taiwan

Il museo d’arte contemporanea di Villa Croce di Genova inaugura martedì 8 marzo la mostra Arte da Taiwan. La nuova generazione, realizzata in partnership con il Taiwan Cultural Center of the National Council for Cultural Affaire di Parigi e il Kaohsiung City Museum of Fine Arts.

La mostra, a cura di Chen Chih-Cheng, direttore del Taiwan Cultural Center, si propone di analizzare, attraverso la ricerca e le opere di 14 artisti della nuova generazione – la maggior parte al di sotto dei 30 anni – l’evoluzione dell’arte taiwanese. Facendo seguito a Taiwanpic.doc-art contemporain taiwanais, anche questa progettata e curata dal Taiwan Cultural Center e tenutasi all’École nationale supérieure des Beaux-Arts di Parigi nel 2009 – una sorta di archivio della ricerca artistica taiwanese – e a Taiwan Calling, conclusasi recentemente al Műcsarnok – Kunsthalle di Budapest, Arte da Taiwan. La nuova generazione è stata concepita come un’occasione per scoprire e avvicinarsi al panorama della creatività contemporanea di Taiwan, per comprendere come, a poco a poco, si è costituita l’identità dell’isola e si sono delineate le sue principali tendenze.
Tutti i 14 artisti che occuperanno le sale del piano nobile e del piano mansarda della villa appartengono alla nuova generazione degli anni ’80, e cinque di loro sono stati invitati a Genova per allestire direttamente i loro lavori in rapporto agli spazi del museo.

Carloaberto Treccani – In google we trust

La galleria Fabio Paris Art Gallery di Brescia inaugura oggi la mosta In Google We Trust, la prima personale dell’artista italiano Carloalberto Treccani (Brescia 1984), a cura di Domenico Quaranta. La mostra raccoglie gli esiti recenti di due progetti distinti, ma accomunati da un’analoga riflessione su come i mezzi di comunicazione stiano cambiando in maniera irreversibile la nostra percezione del territorio e della sua rappresentazione simbolica.

La “democratizzazione” della visione satellitare, fino a pochi anni fa privilegio di enti e autorità politiche, attraverso servizi come Google Earth, non ha solo normalizzato la rappresentazione simbolica – sovrapponendo perfettamente mappa e territorio – e tolto al nostro pianeta ogni aura di mistero; ha anche offerto a chiunque un punto di vista nuovo sul mondo e sulla realtà. Il ciclo “Alfabeto per l’edilizia” (2006 – in corso), rappresentato in mostra da tre lavori, raccoglie i frutti di una paziente esplorazione di Google Earth alla ricerca di edifici che, osservati dal satellite, rivelino analogie con le lettere dell’alfabeto. Questa pratica, ormai condivisa da un ampio numero di persone, serve a Treccani per mettere a punto un linguaggio poi utilizzato per comporre frasi che sono, di volta in volta, delle ambigue allusioni al proprio lavoro di esplorazione, scoperta e di composizione (come In Google We Trust, 2010 o Inaspettatamente. Omaggio a Boetti, 2010) o delle tautologiche descrizioni dello spazio reale in cui questo spazio simbolico si ricompone (come Travel Around the World in 324 Centimeters, 2011).

Giuseppe Penone: nuova opera per la GAM

In occasione delle celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia, la Fondazione De Fornaris ha commissionato a Giuseppe Penone, artista torinese affermato nel mondo,  un’opera monumentale che sorgerà davanti alla GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino, in corso Galileo Ferraris angolo via Magenta, a futura memoria dell’evento. Sarà inaugurata il prossimo 18 marzo.

Proprio in questi giorni sono iniziati i lavori di scavo che permetteranno l’installazione dell’opera, nel luogo oggi occupato da aiuole che lasceranno il posto alla scultura. Questa – una sorta di “portale” formato da una struttura orizzontale con un tronco fuso in bronzo e da una base in marmo, mentre il terzo elemento sarà costituito da un albero vero e proprio – fungerà simbolicamente da nuovo ingresso al museo.

Secondo dialogo sul sistema dell’arte con Luca Rossi

Luca Rossi: Recentemente ho letto un tuo articolo relativo alla situazione del sistema italiano dell’arte contemporanea. Parlo di sistema per identificare: istituzioni, artisti, riviste, nuove riviste, gallerie giovani international, gallerie italiane, gallerie che ci provano, gallerie storiche, musei, fondazioni, artisti che inviano application, artisti che girano per mercatini alla ricerca di libri e foto usate, opening con apertitivi e relazioni tra l’amichevole e l’interessato, associazioni no profit, spazi no profit, tanti spazi, tante opere, tanti progetti, assegnazione di studi d’artista, scuole d’arte, istituti d’arte, accademie con vecchi programmi, programmi di formazione, collegamenti tra curatori italiani e curatori esteri, acquisizioni di opere che sono passate in biennale, premi, premi ogni giorno, residenze all’estero, residenza in italia, workshop e mostre collettive, assenza di un pubblico vero, critici poco critici ma molto artisti, fanzine giovanilistiche come Mousse e Kaleidoscope che sono più che altro progetti artistici più attenti al contenitore che al contenuto, Flash Art, Exibart, i commenti di Exibart, collegamenti tra scuole e istituzioni.

Tutto questo pensando che il giovane operatore di oggi sarà l’operatore professionista di domani. Tutto questo avendo ben chiaro che l’italia ha un ruolo marginale rispetto al sistema internazionale, ma che può essere considerata una caso di studio unico al mondo per via di alcune congiunture e specificità culturali, politiche e sociali. “Toccare il fondo” potrebbe e dovrebbe essere propulsivo per la definizione di giovane artista che ci piace di più. Non godere di economie forti rispetto Inghilterra, Germania, Svizzera o Stati Uniti può diventare un elemento propulsivo sul piano del linguaggio. Esattamente come potrebbe essere utile non avere istituzioni troppo strutturate e rigide, sempre rispetto la definizione che ci piace di più di arte contemporanea. In fondo quest’ Italia costringe ad una messa in discussione quotidiana, e questo può essere utile per tutti; anzi forse dovrebbe essere una principio cardine del contemporaneo. Io credo che in questa fase storica l’Italia sia, nel bene e nel male, estremamente contemporanea. Cosa ne pensi?

Londra 2012, altro che Italia ’90

Londra come ben sapete ospiterà i giochi olimpici del 2012 ed è inutile negare che in questi giorni la city è in gran fermento per programmare una degna offerta culturale. Rispetto agli inglesi, noi italiani abbiamo sempre usato questi grandi eventi sportivi per lucrare e realizzare nuovi impianti, sia sportivi che civili, per poi abbandonali in tutta fretta, lasciandoli  marcire indecorosamente. Basti pensare allo scandalo dei mondiali di calcio Italia ’90 ed agli ampliamenti dello stadio Meazza, al nuovo impianto San Nicola di Bari, le varie stazioni ferroviarie come il Terminal Ostiense a Roma è così via, tutte opere costate un occhio della testa e decisamente inutili, di mostre d’arte neanche a parlarne.

Gli inglesi invece pensano anche alla cultura, magari non saranno un popolo perfetto ma hanno compreso  l’importanza ed il ritorno d’immagine ed economico che la cultura offre. Il Tate ad esempio partirà con una grande retrospettiva su Damien Hirst, controverso artista-fenomeno della generazione YBA. Ovviamente saranno presenti alla mostra pezzi forti come The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living (lo squalo in formaldeide) e A Thousand Years (la testa di mucca putrescente).

Reload giunge al termine ma con altre novità

Dopo l’inaugurazione di lunedì 28 febbraio, che ha restituito una delle immagini più vitali e sensate dell’intero progetto, RELOAD ha esaurito il suo programma. Dopo otto settimane gli organizzatori sono convinti che non solo tutti i risultati siano stati raggiunti, ma che essi abbiano superato le aspettative. Il concetto di ricarica di spazi improduttivi ha dimostrato le sue applicazioni.

I quattro progetti Share, Tunnel, Perform, e Windows, hanno sviluppato e dimostrato pienamente le possibilità di ciascuna ipotesi. Il monitoraggio ampio compiuto sulla scena artistica romana attraverso il coinvolgimento di molte realtà ha iniziato a definire un «panorama con contrasto». E tutto questo ha avuto ancor più valore perché si è svolto di fronte ad un pubblico molto ampio che ha potuto registrare i dati emersi ogni lunedì e nei giorni successivi raggiungendo con un interesse continuativo un luogo periferico rispetto agli art-districts della capitale, e superando quota 4000 visitatori in due mesi.

Giovedì Difesa: Day break

Continuando sulle serie televisive mi va di andare completamente controcorrente e di spezzare una lancia in favore di una serie che è stata in verità un mezzo flop. Sospesa sia in Usa sia in Italia a causa del deludentissimo audience, Day Break, a dirla tutta, aveva a mio avviso dei punti di fascino e di sperimentazione.

Della serie ideata da Paul Zbyszewski sono andati in onda negli Stati Uniti sul canale ABC solo i primi sei dei tredici episodi. È stata in seguito riproposta sul network TV One nel 2008. In Italia gli è toccata sorte simile: trasmessa dapprima dal canale pay Steel e quindi da Rai 4 è infine approdata dal 29 gennaio 2009 a Rai 3 che ha visto passare del tutto inosservata la sua messa in onda interrotta dopo i primi 8 episodi.

Il cut up del curatore alla moda

L’alchimia che rende eccezionale ed unico un testo curatoriale è senz’altro dura da trovare. Occorre leggere, studiare e documentarsi con un occhio sempre attento alle altre discipline artistiche ed alla filosofia. Ci vuole impegno, ma soprattutto passione. A volte però è possibile imbattersi in testi  che sembrano tutti uguali, quel termine è decisamente inflazionato e quel periodo l’abbiamo sentito un milione di volte. Stai a vedere che ad unirli assieme alcuni testi curatoriali possono fondersi a perfezione?

Già, questo esperimento di cut up alla William Burroughs noi l’abbiamo provato ed abbiamo constatato con discreto disgusto che unendo una ventina di testi in poco tempo si ottiene un bel prodotto uniformato, proprio come centinaia di altri testi senz’anima tanto apprezzati dagli addetti ai lavori very cool. Mancano ovviamente passione e sentimento ma tanto chisseneimporta, basta buttar giù due frasi d’effetto e tutto gira a perfezione.