Archana Hande – All is fair in Magic White

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Nel terzo appuntamento con l’arte contemporanea indiana il 21 gennaio la galleria romana Z2O presenta – per la prima volta in Europa – “All is fair in Magic White”, il lavoro dell’artista Archana Hande (Bangalore, 1970) a cura di Maria Teresa Capacchione.

All is fair in Magic White è una sorta di compendio dei lavori e delle idee su cui l’artista ha lavorato negli ultimi dieci anni. Archana Hande ha sviluppato infatti la sua ricerca creativa sul tema dell’”identità”: identità di razza, di classe, di cultura, di religione nell’India post-coloniale e questa ricerca trova in “All is fair in Magic White” una perfetta sintesi narrativa e stilistica.
Archana Hande – che nel suo lavoro si avvale di tutti i media: video, pittura, fotografia e “new media” come Internet (suo il progetto: www.arrangeurownmarriage.com) – in “All is fair in Magic White” narra una storia utilizzando una tecnica di incisione molto diffusa in Asia, quella del “block print”.
Con questa tecnica – usata con l’intento di creare una sorta di continuità con il lavoro artigianale di cui si parla nel racconto – la Hande ha inciso su 120 singoli “stampi” di legno le scene della storia, imprimendole poi su 18 tele su cui è infine intervenuta dipingendo a mano.
Alle tele si unisce una video-animazione di dieci minuti nella quale vengono delineate, con ironia, le caratteristiche dei singoli personaggi che compongono la storia: tre donne appartenenti alla classe sociale alta della Bombay contemporanea e un uomo, un artigiano dello slum di Dharavi, lo slum che, con il suo milione circa di abitanti, è il più grande di tutta l’Asia. Le tre donne rappresentano le principali religioni del Paese: Maya la donna induista il cui elemento è il cielo e il cui potere è rappresentato dall’animale con cui si accompagna, l’aquila Black Scarf; Mumtaz la donna musulmana il cui elemento è l’acqua ed il cui animale è il serpente Grey Bond ed infine Mary, cristiana, il cui elemento è la terra ed è accompagnata dalla tigre White Streak. Ali Bhai – anche lui possessore di un animale, la tartaruga Suzuki – è l’uomo che le tre donne incontrano nello slum di Dharavi, un artigiano che nel tempo è diventato proprietario di un piccolo impero, la Ali Leather Industry. Il quesito che pone Ali alle tre donne è la chiave del racconto.

“All is fair in Magic White”, pieno com’è di simbologie e di particolari, è un lavoro che ha impegnato la Hande per un anno: dalla scelta degli animali – che nella tradizione induista sono i veicoli su cui si muovono le diverse divinità e sono simbolo di potere – a quella dei vestiti dei protagonisti, fino agli elementi che compongono l’arredamento della casa di Ali, tutto fa riferimento all’”identità” culturale, razziale, di classe e religiosa dell’India contemporanea.

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