Ma è davvero terribile come si vocifera la Biennale del 2011?

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Ma è davvero terribile come si vocifera la Biennale del 2011?Questa domanda ancora circola tra gli indecisi che vorrebbero utilizzare gli ultimi strascichi di vacanze per dar sfogo alla curiosità ma che temono i “te lo avevo detto” di turno, ora poi figuriamoci con la tassa sul turismo!

Il padiglione Italia raggiunge livelli sconcertanti. Ne abbiamo sentito parlare tanto, certo, ma una volta lì, nonostante tutte le anticipazioni, il senso di sconforto aumenta vertiginosamente soprattutto al culmine di un percorso già non troppo esaltante.

Avrei voluto lasciare un commento al caro Sgarbi, ma la sua “arte contro le lobby” non contempla questa passibilità. Ed è davvero debole il tentativo di appigliarsi ad un approccio anti-elitario che risultata quanto mai arrangiato, scenari da mercatino delle pulci, quadri accatastati l’un l’altro, installazioni deboli e il tacito assenso dei grandi che si limitano alla presenza.

Per non parlare poi della melassosa retrospettiva dedicata alla mafia che, piuttosto che andare al nocciolo del problema, ci presenta i suoi protagonisti quali icone mediatiche senza nessun particolare connotato critico.

C’è però chi si chiede anche quanto efficace sia, al contrario, il consolidato “stile biennale”, installazioni minimali, video dall’impatto fortemente emotivo, documentazioni, ambienti perturbanti, tutte cose a cui ormai siamo avvezzi.

E laddove la qualità non manca (non può mancare), siamo in presenza di grandi artisti, figure del calibro di Boltanski, Hirschhorn, Fischer, Sherman

Sembra dunque che anche quando la competenza non può essere messa in discussione, prevalga comunque l’accontentarsi.

Tra i padiglioni più interessanti a parte quelli degli artistoni sopra citati, mi sembra doveroso menzionare quello britannico di Mike Nelson, un’installazione ambientale che ripropone un vecchio edificio abbandonato dai risvolti implicitamente inquetanti.

Qualcuno lo ha paragonato  ad un parco giochi, ma senza dubbio l’esperienza che popone risulta efficace contrariamente ad altri ambienti presenti specialmente nell’arsenale.

Interessante anche il padiglione austriaco di Markus Schinwald, quello egiziano del defunto Ahmed Basiouny, morto durante i disordini dei mesi scorsi e quello del giapponese Tabaimo che ci immerge in un’esperienza delicata e sublime.

Niente male anche il padiglione Ungherese dell’artista Hajnal Németh dove si riflette sul confine sottile tra la vita e la morte.

Il Leone d’oro alla carriera, il tedesco Christoph Schingensief, anch’esso morto da qualche mese, ha ricostruito una chiesa in cui numerosi elementi, video, sculture, scritte sui muri che  alludono alle passate esperienze Fluxus del suo protagonista.

Estremamente raffinato ed anche interessante dal punto di vista della riflessione proposta è anche il padiglione coreano in cui Lee Yongbaek propone immagini evanescenti: seppellite da un tappeto floreale, appaiono ad uno sguardo attento, sagome di soldati intenti a puntare le proprie armi, un’allegoria dell’indifferenza in cui la società contemporanea è immersa e del pericolo a cui essa costantemente si espone.

Insomma la biennale, con le sue luci e le sue ombre, ci offre sempre e comunque un’occasione critica di confronto. Per chi poi proprio non potesse reggere la delusione consiglio di ripiegare sui numerosi eventi collaterali e sulle bellezze

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