A noi piace la ICA

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ICA è uno degli istituti di arte contemporanea più prestigiosi dell’intero globo. Il centro fu istituito nel 1946, con l’obiettivo di creare uno spazio di dibattito al di fuori della Royal Academy per artisti, musicisti e scrittori. Nel corso degli anni l’ICA ha contribuito a generare diversi miti dell’arte contemporanea come ad esempio la nascita della Pop Art con l’Independent Group e le mostre di Damien Hirst (che proprio all’ICA inaugurò la sua prima mostra in uno spazio pubblico), Jake & Dinos Chapman, Vanessa Beecroft e tantissimi altri.

Tra gli eventi storici ospitati dall’ICA va inoltre ricordata la prima proiezione del film Hurlements en Faveur de Sade di Guy Debord che causò non poche rivolte nel mondo dell’arte. Insomma questo polo culturale sito nei pressi di Trafalgar Square funziona come punto di congiunzione tra l’arte emergente e la scena vera e propria. L’ICA è inoltre teatro dell’exhibition annuale New Contemporaries, dove i neolaureati possono stupire il pubblico con le loro creazioni. Charles Saatchi negli ultimi venti anni ha pescato a piene mani dall’ICA e da questa mostra in particolare, fu lui infatti il primo a convincersi e a convincere pubblico e collezionisti che i giovani laureati potevano essere considerati dei professionisti a tutti gli effetti, degli artisti in piena regola pronti ad essere immessi nel mercato. Ed allora viene da chiedersi perché le accademie artistiche italiane non riescono a mettere in piedi un simil meccanismo.

All’interno dei nostri istituti sussistono programmi vetusti e completamente fuori dalla realtà, i giovani non vengono adeguatamente formati sul funzionamento del mercato e della professione di artista, le mostre annuali sono poco più che un misero saggio di fine anno. Anche qui il problema non sono i soldi ma la mentalità bacata dei docenti burocrati e fermi nel tempo. Del resto il nostro sistema sembra orientato a mantenere l’establishment piuttosto che a cercare di inserire i giovani talenti all’interno di esso. I meccanismi vincenti possono essere creati a tavolino e questo Saatchi lo sa benissimo. Noi ancora no.

Micol Di Veroli

 

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