Se l’opera d’arte rimane dentro al computer

 L’ingresso degli home computers, per usare un’espressione vagamente nostalgica, all’interno del mondo dell’arte contemporanea ha senz’altro aperto nuove prospettive agli artisti e ridefinito il concetto stesso di produzione dell’opera. Software altamente sofisticati come Final Cut e Avid hanno velocizzato il processo di montaggio video, riducendo drammaticamente l’ingombro dei macchinari e la complessità di tale operazione. Per quanto riguarda la fotografia, i programmi di fotoelaborazione come Photoshop hanno dato vita ad una nuova era creativa, rilanciando il concetto di manipolazione dell’immagine.

Anche le tecniche installative hanno subito un radicale cambiamento, tutto questo grazie a piattaforme come AutoCad che permettono la realizzazione tridimensionale del progetto ideato, rendendo così possibile la visione anticipata di architetture complesse all’interno dello spazio. La tecnologia, oltre alle nuove possibilità ed alla riduzione di tempi e costi ha inoltre avvicinato l’artista a determinate pratiche che fino a poco tempo fa erano appannaggio esclusivo dei tecnici e dei laboratori altamente specializzati.

Zombie della pittura, unitevi!

Per molti la pittura è definitivamente morta, per altri è ancora viva. Questa strana condizione in cui versa uno dei medium più vecchi del mondo è quindi simile a quella di uno Zombie, un’entità che ancora non ha ben chiaro il suo futuro mentre a stento intravede il suo presente. Effettivamente un caso-pittura esiste e ne danno prova le ormai sistematiche assenze alle manifestazioni internazionali.

Anche alla scorsa Biennale di Venezia, tranne il Padiglione Minestrone Italia di Vittorione Nazionale© in cui si è assistito ad una sorta di trionfo/tragedia, la pittura è stata soppiantata dall’installazione che ormai sembra farla da padrone. Tutti i curatori vogliono un bel progetto invasivo, con oggetti ammassati dappertutto e sopratutto sparsi dappertutto.

Whitney Houston, Schettino e le mutande di Belen. La Metainformazione divora tutto

L’impazienza sembra essere divenuta l’ossessione dei nostri tempi. Il mondo di internet ad esempio viaggia ad una velocità talmente smodata che ogni nuova notizia viene letteralmente sepolta dalla successiva, senza una reale soluzione di continuità. Twitter ne è la prova provata, milioni di aggiornamenti di stato al secondo, tutti “cinguettano” ma nessuno realmente legge. La televisione, fino ad oggi mezzo supremo di informazione, sta oggettivamente cedendo sotto i colpi della nuova Metainformazione ed ecco quindi che ogni telegiornale che si rispetti, per poter campare, si è ridotto a guardare cosa succede su Facebook, a rilanciare i Tweets che parlano di Schettino e a pubblicare i video di Youtube dell’ondata di neve sulla penisola.

Tutto ciò accade poiché i nuovi smartphones, con le loro infinite possibilità, hanno trasformato la popolazione in un esercito di reporter, cronisti e quanto altro. Una notizia viene riportata sulla rete e successivamente amplificata in tutto il mondo nel momento stesso in cui il fatto si sta verificando, una condizione di sovranità assoluta nei confronti dei poveri notiziari Tv. Tale condizione, apparentemente democratica poiché ognuno è libero di aggiungere ciò che vuole ad un dato accadimento, rischia però di appiattire tutto su di un’unica superficie e soprattutto di lasciare troppo spazio ad informazioni non esatte.

La neve congela l’Italia e l’arte contemporanea

Ed anche questa settimana la neve ha deciso di stazionare sul nostro ridente belpaese, creando non pochi disagi alla popolazione tutta. Tra la disorganizzazione imperante svetta senz’altro quella di Roma guidata dal sindaco Gianni Alemanno che ha praticamente tenuto banco su tutti i media, alimentando l’ironia della rete e vari sketch televisivi, non ultimo quello del grande Corrado Guzzanti. Tra drammi e risa la situazione dovrebbe tornare presto alla normalità ma quello che più ha colpito la nostra attenzione è la situazione maltempo legata al nostro caleidoscopico mondo dell’arte contemporanea.

La neve è riuscita a bloccare molti ingranaggi del nostro sistema culturale, costringendo moltissime gallerie sparse per l’italico stivale a rimandare opening ed altri eventi. Ai musei non è andata meglio, Sempre per parlare di Roma il solito Alemanno  ha praticamente sigillato la capitale per ben due week end di seguito, chiudendo anche le istituzioni museali comunali.

L’Homo Sapiens Sapiens con la sua arte contemporanea

Con l’arte non si mangia, l’arte è un bene di lusso, l’arte non è necessaria. Chissà quante volte avrete sentito queste parole negli ultimi tempi. La classe politica le ripete come una litania e via di corsa a tagliare i fondi dedicati alla nostra beneamata cultura. In Italia la situazione in cui versano i beni culturali è oramai tristemente nota ai più ma anche negli altri stati europei, come la Gran Bretagna ad esempio, quando si tratta di far cassa si guarda sempre a limitare il budget dedicato ad arte e affini.

Anche negli States però le cose non cambiano ed il candidato repubblicano per la presidenza Mitt Romney ha già annunciato di voler eliminare ogni programma governativo per le arti che non sia strettamente necessario. E dire che il National Endowment for the Arts ha già ricevuto un bel taglio netto al 6% per un totale di 146 milioni di dollari. Insomma l’arte non è un buon affare.

La pioggia nel pineto del sistema dell’arte

“Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.”
Perdonatemi l’attacco dannunziano ma questo stralcio rubato da La Pioggia Nel Pineto ben si adatta non solo alla furia degli elementi che in questi ultimi giorni ha bloccato il nostro italico Stivale ma anche al nostro dorato mondo dell’arte contemporanea.

Questo invito al silenzio, all’estraniamento momentaneo per ascoltare i suoni prodotti dalla natura dovrebbe essere preso in considerazione anche da noi addetti ai lavori, sempre pronti a saturare la scena con la nostra cacofonia ideologica. Si parla e si straparla sempre di più e si ascolta sempre di meno, ecco allora che il naturale suono prodotto dall’arte non viene affatto colto.

Giovani street artists, solo sulla carta


La street art non è più una novità, ormai questa meravigliosa tecnica artistica comincia a mostrare i suoi anni e le prime opere prodotte fanno già parte della storia dell’arte contemporanea. Va inoltre precisato che la street art è attualmente regina del mercato e delle aste, un successo che ha trasformato in veri e propri eroi gli artisti che hanno scelto la strada come teatro principale della loro creatività.

Certo, riuscire a conciliare la vita di artista mainstream con quella di anonimo guerrafondaio della strada. Ed è proprio questo il nocciolo della questione, il dibatto aperto riguarda infatti  la reale spontaneità di tutti quagli artisti che si sono lasciati affascinare dal canto delle sirene del mercato dell’arte o espongono regolarmente nelle gallerie di tutto il mondo. Va detto che alcuni street artists come Banksy, Blek le Rat ed Invader sono riusciti a conciliare le loro attività “istituzionali” con le ben più avventurose e soprattutto pericolose in termini legali, attività “metropolitane”.

L’Italia dell’arte si organizza

 

Un cambiamento, un’inversione di rotta, la promessa di un nuovo ordine sociale fondato sulla giustizia e sulla legalità senza più sofferenze e carestie. Il cambiamento (e la conseguente lotta per ottenerlo) è il vero motore centrale che ha alimentato le rivoluzioni della Primavera Araba, le rivolte degli indignados, la pacifica invasione del popolo delle tende d’Israele e le azioni di massa di Occupy Wall Street, sino a giungere agli attacchi digitali di Anonymous.

In questo clima di grande agitazione ma soprattutto di trasformazioni sociali, anche il popolo della creatività ha deciso di darsi da fare per far parte del cambiamento e non lasciarsi sopraffare da esso. In Italia ad esempio sono sorti spontaneamente diversi gruppi d’azione, mirati a fare chiarezza sulle vicende museali. Se le istituzioni falliscono o comunque non hanno i fondi necessari per tirar avanti la baracca, significa che questi ultimi nella maggior parte dei casi vengono sperperati inutilmente.

Mostri da Mostre

 

L’opening, o se preferite il vernissage, è l’evento principe di ogni mostra d’arte . Impossibile mancare ad un’inaugurazione, specialmente si si tratta di un grande evento in una prestigiosa galleria e gli artisti invitati a partecipare rappresentano quanto di meglio offra la scena del contemporaneo. Eppure l’opening, almeno dalle nostre parti, è spesso il momento meno opportuno per fruire l’arte, vuoi per la ressa di persone che si interpone tra l’occhio e l’opera, vuoi per la presenza di vino e salatini che finiscono sempre col trasportare tutti al di fuori della galleria, ad animare i più disparati chiacchiericci da bar dello sport. E poi durante il vernissage i galleristi tentano giustamente di vendere le opere o crearsi nuovi contatti. Ne consegue che il vernissage è un evento mondano costruito dal mercato per il mercato. Oltre questi insoliti meccanismi, l’opening è riuscito in questi ultimi tempi a produrre una serie di personaggi ancor più bizzarri che la scrivente va ora ad elencare:

Il Non-Salutatore. Solitamente si tratta di un collega/artista/critico/gallerista/giornalista che conoscete bene e con cui vi siete più volte fermati a parlare. All’opening di prestigio questi diviene un completo estraneo, vi guarda e non vi riconosce, se distolto da una personalità importante il Non-Salutatore vi darà sempre le spalle anche se gli ruotate attorno a 360 gradi.

Perché è impossibile amare Damien Hirst ed i suoi Spot Paintings

Così Damien Hirst ha monopolizzato questo lungo inverno dell’arte contemporanea. Il suo faraonico progetto Damien Hirst The Complete Spot Paintings 1986-2011 è finalmente partito e tutte le Gagosian Gallery sparse per il globo sono state prese d’assalto da exhibition-goers, vips, esperti del settore, collezionisti, artisti e semplici appassionati. Tuttavia, dietro le luccicanti paillettes di un sistema sempre pronto al sensazionalismo ed al colpo d’effetto, l’impresa di Hirst può aiutarci a riflettere su alcuni meccanismi che regolano la produzione ed il mercato dell’arte contemporanea.

Hirst ha dichiarato di lasciare ai suoi assistenti la realizzazione degli spot paintings: “mettere mano a questo tipo di dipinti mi annoia parecchio” avrebbe dichiarato l’artista alla stampa internazionale. Ciò ha fatto infuriare i puristi e la critica, persino David Hockney si è scagliato duramente contro Hirst, che tra l’altro avrebbe eseguito solo 5 dei 1.400 dipinti attualmente in mostra. Parlare di “artigianato” e manualità può far sorridere nel 2012, specie se si prendono ad esempio la Factory di Andy Warhol, l’arte concettuale o i murales di Sol LeWitt inviati tramite Fax ed eseguiti dagli assistenti a migliaia di chilometri di distanza.

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Quando la crisi cura il curatore

C’è la crisi, c’è la crisi. I grandi colossi bancari perdono colpi in borsa, le casse governative sono sempre più misere, le amministrazioni brancolano nel buio e tagliano i fondi alla cultura. Il bello è che le istituzioni i fondi per la cultura non li vogliono nemmeno, basti pensare a ciò che sta accadendo in queste ultime ore con i soldi promessi da Diego Della Valle per il restauro del Colosseo romano. Il patron della Tod’s avrebbe già versato una prima tranche da 10 milioni a garanzia del pagamento ma la burocrazia ha fermato tutto. Secondo quanto riferisce il Codacons l’Antitrust avrebbe evidenziato una serie di distorsioni della concorrenza nell’affidamento dei lavori a Tod’s. Insomma la situazione di riflesso rischia di guastare la festa anche al nostro beneamato mondo dell’arte contemporanea ed in special modo al settore curatoriale, che notoriamente di fondi ha un disperato bisogno per l’organizzazione di eventi e mostre.

Ed allora, come fare per risolvere questa spigolosa situazione? Niente, poiché la crisi rappresenta un vero e proprio toccasana per il curatore dell’arte contemporanea. Già, la scrivente non è mancante di qualche rotella e non ha nemmeno sviluppato una particolare affezione per il sadismo. Finalmente la “nostra” categoria è giunta ad un’importante banco di prova, finalmente è giunta l’ora di rimboccarsi le maniche e fare quello che da tempo andava fatto.

Artefiera vuole essere Artefiera

Torna Bologna con la sua Artefiera edizione 2012, i motori si accenderanno il prossimo 27 gennaio e la kermesse rimarrà aperta sino al 30. Tra crisi e preoccupazioni contrapposte a sogni e speranze, una delle più grandi e prestigiose fiere dell’arte contemporanea del nostro Belpaese avrà il difficile compito di rinverdire una scena di mercato che nel corso del 2011 è scesa in pista con le marce basse. Bologna è sempre Bologna l’abbiamo detto lo scorso anno e lo ribadiamo anche oggi, ma la concorrenza internazionale  (e nazionale) è sempre più spietata, le fiere si moltiplicano e le selezioni divengono sempre più severe.

Artefiera, tra le tante proposte, si è sempre distinta per la sua versatilità, per la voglia di abbracciare varie realtà multivello e raggiungere così un sempre più vasto bacino di pubblico. Ma la formula vincente al botteghino non sempre si trasforma in un successo di vendite, la massa di pubblico fa contenti gli organizzatori ma sono i collezionisti a render felici i veri protagonisti della fiera vale a dire gli artisti ed i galleristi.

I buoni propositi per il 2012

Il 2011 è ormai giunto al termine e molti di voi staranno già pensando ai buoni propositi per l’anno che verrà. Nel 2012 c’è chi ha intenzione di smettere di fumare, chi vuol mettersi a dieta e chi ha deciso di iscriversi in palestra. Tutti questi piccoli fioretti hanno ovviamente l’obiettivo di migliorare una situazione personale, di accrescere le singole abilità e di proiettarsi in avanti, nel futuro. A pensarci bene anche la nostra scena dell’arte dovrebbe pensare a qualche proposito per il 2012.

I curatori ad esempio potrebbero pensare alla promozione degli artisti e a non ideare progetti curatoriali che seppelliscono le visioni creative degli stessi, I musei alle programmazioni ed a un metodo per far riavvicinare il pubblico all’interno dei loro spazi. Per quanto riguarda le gallerie private, si potrebbe tentare una collaborazione diffusa invece che dichiarar guerra ai colleghi o peggio ancora ignorarli del tutto. Il trucco è far girare gli artisti su tutto il territorio nazionale in modo da non lasciarli morire una volta immessi nel mercato come spesso accade.