C’è una sfida in corso, ma non conosciamo i contendenti

Giorni fa non si faceva altro che parlare di Roma “la nuova capitale del contemporaneo”. Poi la curiosità è scemata e mi è rimasta in punta di labbra la domanda: ma la vecchia capitale qual’era? Io auguro il meglio a Roma, ai nuovi musei romani e spero di cuore che trovino la formula giusta per funzionare, dialogare, emozionare, eccetera eccetera. Il problema è che io vivo a Milano, la città che dovrebbe essere l’altro polo del contemporaneo (o almeno così ho sempre sentito dire), quella più lanciata nel futuro e nella globalizzazione, no? Ebbene, io sono un po’ preoccupata per la mia città.

In un bel pomeriggio assolato ho voluto toccare con mano l’offerta cittadina, ormai sono poche le gallerie private che aprono nel fine settimana, quindi per un sabato alternativo devo affidarmi a Massimiliano Finazzer Flory, il nostro Assessore alla Cultura. Volendo si potrebbe semplicemente fare del sano shopping, in fondo Milano è pur sempre la città della moda, ma non ve lo consiglio, soprattutto ora che son finite le scuole.

La stampa contro Charles Saatchi e la sua nuova mostra

 Fioccano le critiche per l’ultima mostra organizzata da Charles Saatchi nella suo quartier generale di Londra. Come precedentemente accennato in un nostro articolo, il magnate ha tentato di bissare il successo della generazione Young British Artists, manipolo di artisti assemblati a mestiere negli anni ’90 per raggiungere le vette dell’arte. In quegli anni Tracey Emin, Steve McQueen, Tacita Dean, Liam Gillick, Damien Hirst e CHris Ofili, assieme a tante altre stars del contemporaneo hanno raggiunto quotazioni incredibili, catapultando Saatchi nel gotha del mercato dell’arte.

Oggi, dopo la crisi finanziaria, la fine della bolla speculativa dell’arte e l’avvento delle nuove generazioni artistiche, l’impresa del ricco mercante sembra decisamente ardua e come da copione la mostra dal titolo orwelliano Newspeak: British Art Now (in visione appunto alla Saatchi Gallery dal 30 maggio al 17 ottobre) ha mancato rovinosamente il bersaglio.  Il prestigioso quotidiano inglese The Guardian ha definito l’evento come un confuso assortimento di opere “alle volte buone, spesso cattive e per la maggior parte anonime”. Il quotidiano si è inoltre scagliato contro il catalogo della mostra apostrofandolo come “orrido ed incomprensibile”.

Collezionismo difficile per coppie senza figli

Sono una sognatrice e quando mi trovo di fronte ad un’opera d’arte non posso fare a meno di chiedermi se me la terrei in casa quella cosa li. Lasciando perdere costi e spazi, vorrei vederla tutti i giorni per il resto della mia vita? Me lo domandavo anche all’inaugurazione della seconda personale dell’artista svedese Nathalie Djurberg da Giò Marconi a Milano.

La risposta è contenuta nel titolo di questo articolo, astenersi perditempo, ma soprattutto: soggetti deboli di cuore, di spirito (in tutte le sue accezioni), chi è vulnerabile, i facilmente impressionabili, i puritani e i bacchettoni. Astenersi un pò tutti, Nathalie fa arte per se stessa, sul tavolo della sua cucina a Berlino e poco importa se ha vinto un Leone d’Argento per il più promettente giovane artista della Mostra Fare Mondi all’ultima Biennale di Venezia. Importa ancor meno se mentre guardi uno dei suoi video ti vengono su, direttamente dallo stomaco, una raffica di domande, che vorresti fare proprio a lei, perché credi di aver capito qualcosa, ma hai bisogno della conferma.

Apre il Maxxi e Roma si apre al mondo

Dopo mille peripezie il Maxxi di Roma ha finalmente aperto le sue porte durante le giornate di inaugurazione il 27, 28 ed il 29 maggio. Si è trattato di un tripudio in pompa magna che ha sinceramente iniettato un poco di ottimismo in una scena romana sino ad ora troppo mal criticata e sin troppo bolsa. 25 mila visitatori hanno tolto ogni ombra di dubbio sulle future sorti del museo ed anche il nostro scetticismo si è volatilizzato innanzi all’incredibile offerta artistica di questo nuovo polo culturale della città eterna.

Certo c’è ancora molto da fare, difficile dire se gli appassionati d’arte contemporanea sparsi per il mondo decideranno di recarsi a Roma solo per ammirare il Maxxi ma è certo che una volta giunti nella capitale sarà sicuramente d’obbligo una capatina a questo straordinario museo. La collezione permanente c’è ed è anche di ottimo livello, non si tratta certo di “pezzi” decisivi ma l’altisonante portata dei nomi ed il mirabile dialogo che la struttura è riuscita ad instaurare con le meravigliose opere è bastata a farci togliere il respiro.

Dalla poetica leggera di Tacita Dean al malcelato cinismo di Paul McCarthy

È dal lontano 2003 che la Fondazione Trussardi si è fatta baluardo dell’arte contemporanea sul territorio meneghino, ma soprattutto, si è fatta carico di riportare alla luce i tesori propri della città: i suoi palazzi. Da Palazzo Litta a quello della Ragione, il Circolo Filologico Milanese e l’Istituto dei Ciechi, luoghi di storia a cui la Fondazione diede nuovo lustro.

E con l’uscita di un libro che raccoglie la storia di queste gesta, la direzione artistica di Massimiliano Gioni riesce ad affondare un nuovo colpo, anzi molteplici colpi, considerando i fattori che decretano, già alla sua inaugurazione, il successo della mostra. Prendi uno degli artisti più quotati al mondo, sovvenziona la prima mostra istituzionale del suddetto artista su suolo italiano, mettilo in un palazzo storico chiuso al pubblico dagli anni ’80 e permettigli di portare un progetto monumentale inedito su cui lavora da sette anni e non ancora terminato. Diciamolo: è troppo facile così!

Takeshi Kitano stupisce alla Fondation Cartier di Parigi

Molti artisti sono in grado di trasformarsi in registi e girare film interessanti, Sam Taylor Wood e Julian Schnabel sono solo alcuni dei nomi di quelli che sono riusciti in questa ardua impresa. Raramente però registi e attori sono capaci di trasformarsi in artisti visivi. Basti guardare le terribili creazioni astratte di Dennis Hopper o i disgustosti interventi pittorici di Sylvester Stallone che sembra aver fatto a pugni con l’espressionismo astratto.

Lo scorso anno quindi l’annuncio di una prossima mostra alla Fondation Cartier ( in visione dall’ 11 marzo al 12 settembre 2010) di Parigi del grande regista Takeshi Kitano ha fatto suonare il campanello di allarme. Nei film di Kitano la Yakuza (mafia giapponese) è un elemento assolutamente ricorrente così come lo sono il mare, la disgrazia fisica ed il suicidio (a cui molto spesso i suoi protagonisti fanno ricorso). L’eroe di Kitano è molto spesso un invincibile vendicatore la cui giustizia cruda e discutibile è portata avanti in modo inesorabile. Il regista critica da vicino la società giapponese di cui spesso fornisce una parodia. Il 1997 è l’anno della svolta per Kitano, l’anno del successo internazionale, l’anno in cui esce Hana-bi – Fiori di fuoco (Hana-bi).

Jerry Saltz: “Ho avuto un contatto genitale alla mostra di Marina Abramovic”

 Lo statunitense Jerry Saltz è un critico ironico ed irriverente ma decisamente geniale. Il suo approccio all’arte contemporanea è troppo estroso da poter passare inosservato. Curiosando in giro per la rete abbiamo trovato un divertente articolo di Jerry Saltz sul recente opening della mostra The Artist is Present di Marina Abramovic al Moma di New York. Il critico si è trovato faccia a faccia con i performers nudi che ricreavano una storica opera della grande artista. Vediamo quali sono state le sue reazioni:

“Penso che lo scorso martedì un pene ciondolante si sia leggermente appoggiato alle mie parti basse. Questo non mi è mai successo o quanto meno non al Moma. Due figure nude, un uomo ed una donna, si trovano faccia a faccia davanti all’entrata dello spazio espositivo ed è normale che per continuare oltre ci si vede costretti a passare in mezzo ai due corpi. Così ho fatto io e proprio mentre pensavo di avercela fatta ho sentito una cosa, seguita da due rimbalzi, sfiorarmi la coscia. Benvenuti a The Artist Is Present, la prima grande retrospettiva dell’artista hard-core Marina Abramovic. Anche se trovo il lavoro dell’artista un poco melodrammatico e narcisista devo dire che questa retrospettiva che si affaccia su quaranta anni di carriera è decisamente affascinante oltre che oltraggiosa e coraggiosa.

The artist is present celebra la grandezza di Marina Abramovic

Per la sua retrospettiva al MoMa, Museum of Modern Art di New York, Marina Abramovic ha deciso di sedersi ad un tavolo nell’atrio del museo per ogni singolo giorno fino alla fine della mostra. Il tavolo è corredato da una sedia aggiuntiva, volutamente lasciata vuota ed a disposizione dei visitatori che sono invitati a sedersi su di essa. Questo generoso invito sfida ogni persona, dal rispettoso ammiratore al degenerato mitomane, a dominare la visione, il tempo e la psiche dell’artista.

Durante la preview dello show (che aprirà al pubblico dal 14 marzo al 31 maggio 2010), l’artista, fasciata da un bellissimo vestito color cremisi, si è seduta al tavolo di legno contornata da un quartetto di luci Klieg, quelle che si usano per illuminare i ring del pugilato per intenderci. La prima persona a sedersi di fronte a lei è stato Teching Hsieh, celebre artista che durante una sua performance si è chiuso in una prigione per 365 giorni.  In seguito il picco drammatico ed emozionale della serata è stato raggiunto quando al tavolo si è seduto Ulay, collaboratore ed ex compagno di Marina Abramovic.

New Museum, Jeff Koons e Dakis Joannou: cronache di un disastro annunciato

 Finalmente si è aperta Skin Fruit (in visione fino al 6 giugno 2010), la tanto attesa e criticata mostra del New Museum curata da Jeff Koons con opere provenienti direttamente dalla collezione del celebre dealer greco Dakis Joannou, il quale figura anche tra i benefattori del museo. Questo strano conflitto di interessi fu aspramente criticato lo scorso autunno, al momento della presentazione del progetto ed in molti furono concordi nel definirlo “una pessima idea“. Ed a giudicare da quello che possiamo vedere oggi nelle sale del New Museum non c’è che da confermare tale affermazione.

Le opere in mostra sono state selezionate ed installate in maniera del tutto caotica da Mr.Koons (vecchio amico di Joannou il quale possiede molte opere dell’artista), basti pensare al fatto che l’artista ha riempito gli spazi espositivi con ben 80 opere tra dipinti, sculture, disegni, video e performances creati da 50 artisti diversi. Ovviamente ci sono alcune opere decisamente interessanti ed alcune sorprese ma la stragrande maggioranza degli artisti sono grandi nomi come Mike Kelley e Cindy Sherman o nuove ma già celebri conoscenze come John Bock, Nathalie Djurberg e Dan Colen, insomma artisti che già fanno parte della scena dell’arte e le cui opere sono presenti in numerose collezioni private e museali.

Chris Burden e Gagosian, il re dentro la tenda è completamente nudo

Problema: ci troviamo alla mostra di Chris Burden alla Gagosian Gallery di Roma, (inaugurata il 13 febbraio 2010) con tanto di vips ed iperpresenzialisti della scena dell’arte. Secondo voi è possibile valutare negativamente il lavoro di un monumento della storia dell’arte contemporanea che espone all’interno di un tempio del mercato internazionale?

Soluzione: Si, è possibile e doveroso

Il 19 Novembre del 1971 alle 19:45, Chris Burden ha prodotto una delle opere più sconcertanti della storia dell’arte contemporanea. Si tratta di Shoot, performance in cui l‘artista ha inscenato una fucilazione fondendo l’arte con la realtà e subendo così il lacerante impatto di un proiettile calibro 22 sul suo braccio sinistro. Gli fu chiesto il perchè di tale gesto e Burden rispose semplicemente “Volevo essere preso sul serio circa il mio ruolo di artista“, ed ebbe ragione.  Le performance di Burden hanno sancito un nuovo modello artistico caratterizzato da una crudeltà passiva ed aggressiva in cui l’artista mette in gioco la sua creatività e la sua vita.

La vita di Burden è appesa ad una sottile linea rossa anche in Trans-Fixed, opera del 1974 in cui l’artista si crocifisse sul retro di un maggiolino della Volkswagen con tanto di mani inchiodate. La passività e l’alienazione affiorano nella sua performance Doomed del 1975 al Museum of Contemporary Art di Chicago, in cui l’artista stette immobile sul suolo sotto alcune lastre di vetro per ben 45 ore e 10 minuti. Impossibile riassumere in questa sede l’epica artistica di Burden, filtrata attraverso lenti duchampiane, che nel corso degli anni ha subito una costante evoluzione incrociandosi con land art ed installazioni site-specific.

Fuoriluogo XIV Interrelazionale

Anche quest’anno la galleria molisana Limiti Inchiusi rinnova l’appuntamento con la mostra Fuoriluogo, arrivata alla XIV edizione intitolata Fuoriluogo XIV Interrelazionale. Si sente ancor di più la voglia di rompere il silenzio che s’insinua sornione in questi luoghi e di trascinare l’osservatore verso ricerche e sperimentazioni in vari settori artistici (site specific, video, installazioni, performances, scultura..).

I fattori sostanziali sono la collaborazione di due curatrici: Emanuela De Notariis e Silvia Valente,  con l’intervento di due artisti concettuali: Cesare Pietroiusti ed Emilio Fantin, dando vita così ad una cooperazione stimolante.
Inoltre un duplice scenario nei due centri molisani crea la scenografia adatta alle due esposizioni in atto:  a Campobasso presso la Galleria Limiti Inchiusi e Termoli Galleria Civica d’arte Contemporanea, che per quest’occasione ospitano artisti e critici molisani. La mostra propone un percorso al fine di poter osservare con occhi diversi il mondo quotidiano, concede uno spunto per una riflessione sulla ri/lettura del mondo circostante e per se stessi. Vuole essere quasi una reazione per uscire fuori dagli schemi di oscurantismo che travolgono questo territorio ed un monito ad aprirsi al mondo.

L’ironico Urs Fischer un artista tutto da scoprire

 In questi giorni e fino al 7 febbraio 2010 il New Museum di New York ospita la mostra Marguerite de Ponty dell’acclamato artista Urs Fischer, la mostra è decisamente spiazzante a tal punto che alcuni visitatori hanno mosso alcune accuse contro l’artista, accusando le sue opere di superficialità, alcuni hanno affermato che Fischer in questa mostra non indaga a fondo nell’animo umano e non si è scervellato più di tanto a cercare un’idea pregna di contenuti ed emozioni. Eppure l’arte non è solamente fatta di indagini rigide e composte pervase dalla serietà assoluta, c’è molto nonsense ed ironia nell’arte anche perchè esse sono caratteristiche fondamentali dell’animo umano. Per chi ama un poco di sana ironia la mostra al di Fischer ha decisamente qualcosa da offrire.

Le sue scatole specchio dal titolo Service à la française (2009) sono sparse per tutto il secondo piano, ogni opera è formata da un cubo rettangolare coperto da una superficie specchiante. Su ogni faccia del cubo è riprodotta l’immagine realistica di un oggetto. In questo modo è possibile osservare la ripoduzione di un oggetto mentre la superficie specchiante trasmette brandelli di immagine di altre scatole circostanti, in un orgia visiva del tutto spaesante e divertente.  Al terzo piano è invece possibile ammirare la celebre lingua nel muro di Fischer (opera dal titolo Noisette, 2009) che sbuca fuori dal muro non appena il visitatore si avvicina. L’opera sembra coglierti sempre di sorpresa e muove ironicamente memorie legate all’infanzia riguardo il gioco del nascondino ed alla persistenza degli oggetti.

La Nuova Dolce Vita di Francesco Vezzoli è troppo simile alla vecchia

Al Jeu de Paume di Parigi è attualmente in mostra il nuovo progetto creativo di Francesco Vezzoli che ultimamente sembra lanciatissimo all’interno del sistema dell’arte internazionale. L’evento dal titolo À Chacun Sa Vérité è ispirato e dedicato al maestro del cinema italiano Federico Fellini. Vezzoli presenta due nuovi lavori che indagano sul concetto di illusione e finzione all’interno della percezione della nostra realtà quotidiana.

L’artista ha inoltre inserito alcuni temi propri della creatività di Fellini come il suo amore per le celebrità, l’incessante presenza del desiderio, il continuo riferimento ai mass media e tutti quei miti che solitamente si creano all’interno della vita politica e sociale. L’auditorium del Jeu de Paume proietterà inoltre una versione video della performance di Francesco Vezzoli al Guggenheim di New York presentato all’interno del programma della biennale della performance Performa 2007. L’opera dal titolo Right You Are (If you Think You Are) è una riedizione della celebre opera teatrale  Ciascuno a suo modo di Luigi Pirandello.

L’arte crudele di Artur Zmijewski

 Il Moma di New York ospita fino al 28 febbraio un’interessante mostra dal titolo Projects 91: Artur Zmijewski, retrospettiva sull’artista polacco Artur Zmijewski che da anni indaga sulle norme ed i comportamenti sociali in maniera del tutto provocatoria e brutale. Nel suo video 80064, l’artista convince un anziano sopravvissuto allo sterminio di Auschwitz a farsi cancellare il numero di deportato che reca sul braccio da un tattoo artist. In un primo momento l’uomo sembra accettare ma davanti la telecamera ha dei ripensamenti per poi cedere alle volontà di Artur Zmijewski e farsi cancellare definitivamente il numero.

Dopo questo atto l’uomo sembra interdetto, non si capisce se egli sia contento od infelice di aver perso un così terribile ricordo che lo ha accompagnato per tutta la vita. Per quanto sia un estremo atto di violenza tale intervento artistico vorrebbe far riflettere sulla memoria (in questo caso dell’Olocausto) e sulla sua persistenza nel tempo.Anche se il numero tatuato sul braccio sia portatore di infausti ricordi, l’uomo non vuole privarsene, questo perché ricordare è fondamentale per non ripetere.  Non approviamo la scelta artistica di Artur Zmijewski, è innegabile che l’azione susciti molte riflessioni ed il conetto di memoria è fondamentale per la storia ma il procedimento usato per sviscerare il tema ci sembra abbastanza ripugnante.