
Domenica 22 gennaio 2012, ore 17:00, una lunghissima fila di visitatori serpeggia ben oltre le cancellate del museo MACRO di Roma in quel di Testaccio. A memoria d’uomo una folla così nutrita non s’era mai vista all’interno dell’ex mattatoio, ed il bello è che gli astanti non si apprestano a presenziare ad un art aperitif o ad un vernissage, bensì ad una mostra che è stata inaugurata già da diverso tempo, esattamente dal 3 dicembre 2011. Parliamo ovviamente della nutrita retrospettiva dedicata a Steve McCurry, oltre duecento scatti che raccontano le storie e i viaggi del genio americano della fotografia documentaristica.
Un successo senza precedenti che apre una grande riflessione sul passato del MACRO e sul futuro di tutti i musei d’arte contemporanea dell’intera nazione. Steve McCurry non è propriamente un artista sperimentale, il suo lavoro è di grande impatto visivo e caratterizzato da una curatissima componente estetica. All’interno della sua visione fotografica non si nascondono significati altri, tutto è ben evidente e pronto ad esser fruito. Forse Steve McCurry è un fotografo “facile”, forse la sua retrospettiva è solamente un blockbuster ma è innegabile che questo evento segna il netto ricongiungimento tra il MACRO e la fotografia, tra il museo ed il suo pubblico.

Il passaggio dalla fotografia analogica a quella digitale ha generato, fino a poco tempo fa, centinaia di battaglie fra puristi ed innovatori. I fedelissimi della pellicola hanno tenuto duro fino all’ultimo ma con l’avvento delle reflex digitali e dei sensori di nuova generazione anche i più ostinati si sono dovuti arrendere alla realtà. La fotografia digitale (unita al fotoritocco al computer) rappresenta oramai il mezzo più pratico, economico e soprattutto professionale per produrre immagini.









