A New York la prima asta di Street Art

Il prossimo 16 ottobre 2012 sarà una data storica per la street art a stelle e strisce. La casa d’aste Doyle organizzerà infatti la prima asta di Street Art a New York. In Europa manifestazioni di questo tipo sono stata già organizzate più volte ma, per assurdo, la capitale ideale della Street Art non aveva mai dedicato un importante evento di mercato a questa meravigliosa tecnica creativa.

Sembra strano che ad organizzare un’asta di questo tipo non sia stato un colosso del settore come Sotheby’s o magari Phillips de Pury che da anni inserisce lotti di street art nelle sue vendite al pubblico. Eppure la scelta di Doyle manifesta una richiesta di mercato ben precisa: i collezionisti internazionali sono sempre più interessati ai capolavori di Bansky ed affini.

James Franco vende l’aria, Mark di Suvero modifica la sua altalena e Basquiat canta al New Museum

Il pazzo mondo dell’arte contemporanea ha sempre una notizia pronta per stupire il pubblico o confermare la sua sempre più imperante bizzarria. Il nostro prezzemolino James Franco, dopo aver minacciato di prender d’assalto la Biennale di Venezia ha ultimamente lanciato una nuova provocazione. Franco ha infatti istituito il Museum of Non-visible Art, praticamente un museo dove le opere d’arte sono invisibili. Un gesto a metà fra Duchamp e De Dominicis che arriva con diversi decenni di ritardo ma che non ha di certo scoraggiato i curiosi.

Come dice quel vecchio adagio: “Qualsiasi scempiaggine trova sempre qualcuno disposto a seguirla” e così anche questo museo dell’arte invisibile ha subito trovato un bel finanziatore. Secondo quanto apparso recentemente sulle pagine dell’Huffington Post, la giovane attrice, modella ed artista Aimee Davison si sarebbe aggiudicata la più costosa opera presente in questo insolito museo. Parliamo dell’opera invisibile intitolata Conceptual Fresh Air, ossia aria fresca concettuale ed il valore dell’opera è di circa 10.000 dollari.

Con Made in Italy Gagosian sfida il museo

Ci siamo trovati a volte in disaccordo con le passate proposte creative della Gagosian Gallery di Roma ma il nostro obiettivo è appunto quello di essere obiettivi e se avevamo stroncato la mostra di Chris Burden nel marzo del 2010 è anche vero che quella di Yayoi Kusama nel marzo del 2011 ci è decisamente piaciuta, ottimo allestimento e frizzanti e divertenti come sempre le opere di Kusama.

Stavolta torniamo a parlar bene di Gagosian anche se non abbiamo ancora visto la prossima mostra romana, ma gli intenti di questa nuova proposta sono degni di lode. Di certo quando si parla di una piattaforma di mercato non si possono pretendere mostre museali ma stavolta ci troviamo di fronte ad un evento capace di unire l’utile al dilettevole. Stiamo parlando di Made in Italy, mostra collettiva per i 150 anni dall’Unità d’Italia curata da Mario Codognato (in visione dal prossimo 27 maggio fino al 29 luglio 2011). Di eventi commemorativi per il 150esimo anniversario ve ne sono anche troppi ma questo si preannuncia decisamente gustoso. La mostra infatti è strutturata in modo da far ammirare al pubblico l’influenza creativa esercitata dall’Italia nei confronti dei grandi protagonisti internazionali del ‘900.

Una mostra tutta “Made in Italy” da Gagosian

In occasione dei 150 anni dall’Unità d’Italia, Gagosian Gallery il 27 maggio inaugura Made in Italy, un’importante mostra collettiva nel suo spazio romano di Via Francesco Crispi 16. Curata da Mario Codognato, la mostra intende tracciare un inedito percorso italiano attraverso l’opera di alcuni tra i maggiori artisti degli ultimi 60 anni: Georg Baselitz, Jean Michel Basquiat, Joseph Beuys, Marcel Duchamp, Alberto Giacometti, Douglas Gordon, Andreas Gursky, Damien Hirst, Howard Hodgkin, Mike Kelley, Jeff Koons, Louise Lawler, Roy Lichtenstein, Richard Prince, Robert Rauschenberg, Gerhard Richter, Richard Serra, Cindy Sherman, David Smith, Thomas Struth, Cy Twombly, Andy Warhol, Lawrence Weiner.

L’irresistibile attrazione esercitata dal “Bel Paese” nei confronti degli artisti del resto del mondo affonda le radici nel passato profondo e, com’é noto, conosce il momento di splendore a cavallo tra Settecento e Ottocento, all’epoca del cosiddetto Grand Tour, quando artisti-viaggiatori inglesi, americani, francesi e tedeschi varcano le Alpi per sperimentare da vicino la grande tradizione classica conosciuta solo sui libri, i capolavori di un passato idealizzato, ma anche il brivido provocato da uno stile di vita diverso e alternativo rispetto a quello che conoscono in patria.

Apre il MONA, un nuovo museo in Australia che promette sesso e pazzie

Che il tycoon australiano David Walsh fosse un tipo sopra le righe lo si sapeva già ed è anche nota la sua passione per le esperienze non convenzionali. D’altro canto stiamo parlando di un uomo che ha costruito la sua fortuna tramite il gioco d’azzardo e che ha sviluppato un software per la predizione delle vincite ai cavalli. Walsh è però anche un grande appassionato di arte contemporanea e negli ultimi anni ha ammassato una cospicua collezione. C’è da dire che Walsh alcuni anni fa comprò un dipinto John Brack, artista australiano, pagandolo 2 milioni di dollari ad un’asta di Sotheby’s per poi rivenderlo alla stessa cifra.

Cose da pazzi direte voi, comunque il simpatico multimilionario , tre anni or sono, ha deciso di supportare attivamente l’arte contemporanea ma invece di sborsare fondi alle istituzioni ha cominciato a costruirsi un museo tutto suo. Ebbene il Museum of Old and New Art, abbreviato in MONA (termine che nel Triveneto potrebbe assumere significati irripetibili) aprirà le porte agli amanti dell’arte il prossimo 21 gennaio a Hobart, in Tasmania.

La dura legge della street art colpisce anche Basquiat

La street art è arte che proviene dal popolo per il popolo. Derive sociali a parte, ogni street artist è conscio del fatto che confrontandosi con la strada, deve sottostare alle leggi della strada. Molto spesso però la strada è senza regole ed ecco che graffiti e murales vengono cancellati, vengono coperti da altre opere o da un nugolo di tags. Noi vi avevamo già parlato di Underbelly Project, la mostra definitiva sulla street art  alloggiata in una fermata della metropolitana dismessa di New York. Alla mostra, tuttora segreta, hanno partecipato celebri nomi della street art internazionale come Ron English , Swoon, Gaia, Faile, Jeff Soto, Dan Witz e Revok.

Ebbene, questi altisonanti nomi non hanno certo spaventato l’esercito degli street artists senza regole e lontani dalle gallerie d’arte che hanno prontamente reagito imbrattando i murales presenti alla mostra. Forse molti si sono sentiti esclusi, forse è così che deve andare, fatto sta che due persone hanno trovato la mostra ed hanno portato a termine la loro operazione di bombing. A migliaia di chilometri di distanza nel frattempo, un altro storico protagonista della street art newyorchese è stato vittima di una simile azione.

Jeffrey Deitch: “Organizzerò la più grande mostra di street art della storia”

Era da qualche tempo che non parlavamo di Jeffrey Deitch, novello direttore del MoCa di Los Angeles, nonché ex proprietario della celebre galleria Deitch Projects. Ebbene molti di voi si staranno sicuramente chiedendo quali saranno le prossime mosse del direttore all’interno della sua nuova istituzione museale, il mistero è presto svelato: Deitch punterà tutto sulla street art.

Alcuni artisti di Los Angeles, assieme a galleristi del luogo avevano già da qualche tempo messo in giro voci su una possibile mostra di street art all’interno delle mura del MoCa ma in settimana Deitch ha rotto ogni indugio ed ha presentato il programma per una mostra che si terrà nel 2011: ” Nel corso delle prossime settimane daremo il via ai comunicati stampa, per adesso stiamo ancora definendo alcuni particolari con i nostri sponsors. Comunque sia la mostra in questione sarà la più grande retrospettiva sulla storia del graffiti e della street art mai presentata in tutti gli Stati Uniti” e queste affermazioni non possono che ravvivare il nostro interesse su quello che si preannuncia come la consacrazione definitiva della street art in ambito istituzionale, se ancora se ne sentiva l’urgenza.

Premio Vasto – Memoria e creativita’. I mille occhi della Sfinge

Dalla seconda metà del Novecento l’arte figurativa, come quella che più fortemente esprime l’impulso umano a creare, non e’ soltanto uno dei possibili, ma il solo processo possibile per riconoscere, nel conflitto storico della società, la prevalenza delle forze creative sulle distruttive.

Non vale risalire alle origini, ricercare la spontaneità, la naturalità, l’originalità di quell’impulso: il problema non e’ in una preistoria che coinvolge miti remoti ed antichi complessi che possono riemergere al livello del precedente, ma nella storia della memoria e della creatività, che apre, nella riflessione del Nietzsche de La gaia scienza, al profondo e attuale tema di arte e verità.

A New York: Un documentario su Basquiat e l’ultima mostra della Deitch Projects

L’azienda di beni di lusso LVMH ha già collaborato in passato con diversi protagonisti del sistema dell’arte internazionale come Richard Prince e Takashi Murakami. Oggi il celebre marchio può fregiarsi della collaborazione, ovviamente postuma, di Jean-Michel Basquiat. LVMH ha infatti organizzato una grande proiezione del nuovo documentario sul celebre artista diretto da Tamra Davis dal titolo Jean-Michel Basquiat: Radiant Child.

La prima dell’interessante pellicola si è tenuta lo scorso martedì al MoMa di New York. Va da se che la proiezione ha attirato un nutrito gruppo di vips che non hanno mancato la ghiotta occasione a metà tra il patinato ed il culturale. Tra gli ospiti anche l’artista e regista Julian Schnabel che nel 1996 diresse la celebre pellicola Basquiat, presente anche il collezionista Peter Brant che all’epoca finanziò il film.

Negli anni ’70 l’arte era più vicina alla gente

Alcuni giorni fa il noto gallerista americano Jeffrey Deitch ha rilasciato un’intervista in cui si parlava dei cambiamenti occorsi all’interno del mondo dell’arte negli ultimi quaranta anni. Le dichiarazioni di Deitch potrebbero farci comprendere quanto questi cambiamenti hanno in qualche modo de-umanizzato ed allontanato I protagonisti della scena dal loro pubblico, ma vediamo cosa ha detto Deitch:

Il mondo dell’arte è senz’altro meno aperto di quanto lo era nel 1970. In quegli anni ad esempio Dan Flavin poteva recarsi in un pub dopo aver installato la sua mostra e magari imbattersi in Blinky Palermo e magari i due potevano decidere di andare a cena insieme farsi cucinare qualcosa Da Julian Schnabel che a quei tempi era lo stimato chef di un ristorante di Manhattan, insomma tutto era più a misura d’uomo. Oggi ci sono le cene della Gagosian Gallery, eventi superblindati  dove possono accedere solo i collezionisti miliardari o le star dell’arte contemporanea o meglio ancora ragazze giovani estremamente attraenti”.

Haunch of Venison di New York rimette in scena gli anni ’80

 Haunch of Venison di New York presenta dal 5 marzo al primo maggio 2010 un’interessante mostra collettiva organizzata dai celebri artisti David Salle e Richard Phillips. L’evento dal titolo Your History is not Our History racchiude numerose opere di artisti che hanno creato il mito artistico della New York degli anni ’80, una decade che ha contribuito a creare un ambiente artistico originale e decisamente inventivo.  La mostra non è una retrospettiva di una decade ma una riflessione sulle idee comuni degli artisti di quel periodo in risposta ad una specifica situazione culturale.

L’obiettivo è infatti quello di lasciar parlare le opere in una maniera che fino ad ora gli era stata negata. In effetti la New York degli anni ’80 è stata un melting pot capace di alimentare la creatività di artisti come Jean-Michel Basquiat, Ross Bleckner, Francesco Clemente, Eric Fischl, Barbara Kruger e Julian Schnabel, nomi che hanno creato opere sperimentali ed hanno allargato gli orizzonti estetici, influenzando le generazioni a venire.

Richard Hambleton una vittima della società dello spettacolo dell’arte

 Per una sera Milano si è trasformata in New York con tanto di lustrini e star dello spettacolo al seguito. Tutto è successo giovedì 25 febbraio al vernissage della mostra dedicata al grande artista Richard Hambleton, ospitato dal Teatro Armani. Tra i 120 ospiti c’erano Eugenia e Stavros Niarchos, Pierre Andrea Casiraghi (figlio della principessa Carolina di Monaco) Dasha Zhukova (fondatrice del nuovo museo Garage di Mosca e fidanzata del magnate Roman Abramovich), Clive Owen, Mario Testino e l’immancabile viveur Lapo Elkann.

Ovviamente va detto che non si è trattato del solito vernissage di arte contemporanea anche perchè non bisogna dimenticare che Hambleton si è isolato completamente dal mondo dell’arte, trincerandosi per anni nella Lower East Side di Manhattan. Il progetto Hambleton è un rilancio ben programmato e sofisticato. Tutto è cominciato quando l’imprenditore australiano Andrew Valmorbida ha conosciuto le opere di Hambleton a casa di Rick Librizzi, noto dealer americano. Nemo, il figlio di Librizzi ha poi accompagnato Valmorbida a casa di Hambleton per farglielo conoscere di persona.

Fauxreel, ovvero quando la Street Art si vende al sistema

Da tempo la street art è entrata nei luoghi canonici dell’arte, gallerie e musei (persino in Italia) ospitano sempre più eventi dedicate a questa splendida disciplina artistica di cui molte volte abbiamo parlato fra le nostre pagine, imparando ad ammirare le incursioni di protagonisti internazionali come Banksy, Os Gemeos,Cartrain, Mat Benote e dei talenti nostrani come Sten, Lex, Lucamaleonte, Blu e Tv Boy.

Per questi e tanti altri grandi nomi della street art il passo dalla strada alla galleria d’arte è stato relativamente breve un poco come lo è stato per Keith Haring e Jean-Michel Basquiat. Documentare i progressi della street art organizzando mostre in luoghi istituzionali e quanto altro è un passo dovuto per la storia dell’arte ma è altrettanto importante che i protagonisti di questa disciplina non si vendano completamente al sistema dell’arte snaturando così la freschezza di una creatività nata nelle strade.