Quanto conta la Biennale di Venezia?

 La Biennale di Venezia ha ancora importanza?

La piccante ed irriverente questione può aiutarci a comprendere il reale peso della manifestazione nell’immaginario collettivo degli addetti al settore del resto del mondo. A voler stringere il cerchio all’Italia rimangono solo sparuti sprazzi di manifestazioni dal respiro internazionale quindi per noi la Biennale è sempre un momento importante. Ma cosa ne pensano all’estero? Vediamo alcune risposte raccolte dell’artworld internazionale, apparse di quando in quando su magazines internazionali:

Dopo Steve McQueen e Sam Taylor-Wood anche Rirkrit Tiravanija ha deciso di darsi al cinema

Gira che ti rigira anche Rirkrit Tiravanija ha girato un film. Dopo le incursioni Hollywoodiane di Julian Schnabel, autore di pellicole come Basquiat (1996), Lo Scafandro e la farfalla (2007) e Miral (2010) e dopo Nowhere Boy (2009), ultma fatica di Sam Taylor-Wood incentrata sui primi anni della vita di John Lennon, e ancora, dopo i successi di Steve McQueen che ha incantato le platee con Hunger (2008) e Shame (2011), ecco che persino il nostro artista tailandese ha deciso di darsi al cinema.

Il film di Rirkrit Tiravanija si intitola Lung Neaw Visits His Neighbors ed il protagonista è un ex contadino di 60 anni che vive nel villaggio rurale di Chiang Mai, una provincia del nord della Tailandia. La pellicola ha la durata di un vero e proprio kolossal, circa due ore e mezzo di girato ed il nostro caleidoscopico artista ci tiene a precisare che non si tratta di un film documentario né di un’opera strettamente narrativa: “Definirei il mio film come un ritratto del protagonista, ecco questa mi sembra la definizione corretta” ha dichiarato Tiravanija ai microfoni del New York Times.

Scoprire Hunger dopo Shame

Come spesso succede dalle nostre parti, quando un regista riceve un successo inaspettato con una sua pellicola, anche le sue opere precedenti vengono ridistribuite. Anche con Steve McQueen è andata più o meno così. Parliamo ovviamente di una nostra vecchia conoscenza, visto che McQueen è anche uno dei più acclamati protagonisti dell’arte contemporanea. Nel 1999 si è aggiudicato il prestigioso Turner Prize e nel 2007 ha esposto alla Biennale di Venezia, sino a giungere al tripudio del 2009 dove sempre in laguna ha occupato il Padiglione Britannico, proponendo un film che vedeva come protagonisti proprio i Giardini di Venezia, visti nel periodo precedente l’esposizione, evidenziando così la differenza tra i sei mesi che ogni due anni vedono quella zona protagonista, e i rimanenti diciotto, dove la desolazione regna sovrana.

Noi quindi conoscevamo McQueen, i borghesucci del cinema italiano  dovevano ancora scoprirlo e lo hanno fatto con Shame, pellicola che ha stuzzicato i pruriti porno di chi non ha il coraggio di guardare un porno.

YBA 2.0? non sempre l’arte si può programmare

 I fasti della Young British Artists generation sono passati ormai da un bel pezzo. L’anello di congiunzione che ha decretato il successo di gente come Tracey Emin, Damien Hirst, Steve McQueen, Chris Ofili, Marc Quinn e Jenny Saville si è irrimediabilmente spezzato ed a nulla sono valsi i tentativi di Charles Saatchi di ricomporre i frammenti dell’incantesimo. Eppure il buon Saatchi aveva organizzato nel 2010 la mostra Newspeak:British Art Now, con la speranza di sfornare altri artisti in grado di bissare quanto fatto dagli eroi di Sensation.

Ma le galline delle uova d’oro hanno chiuso i battenti con l’avvento della crisi economica e con lo scoppio della bolla speculativa dell’arte contemporanea innescata dalle vendite in fantastilioni di paperdollari di Damien Hirst. Proprio il buon Hirst ha chiuso un’epoca, aprendone un’altra ben più oscura con la faraonica serie di mostre in tutte le gallerie Gagosian del Mondo. Difficile quindi ripetere il miracolo della YBA e forse gli artisti britannici di nuova generazione non hanno nemmeno voglia di calcare le orme dei loro illustri predecessori.

Steve McQueen, ossessioni e perversioni da Venezia ad Hollywood

Avete presente Steve McQueen? Ovviamente non stiamo parlando dello storico divo di Hollywood ma di un talentuoso video artista/regista che in questi giorni è stato chiamato da Hollywood. McQueen è balzato agli onori della cronaca nel 2008 con il suo video Hunger, un’opera sullo sciopero della fame in Irlanda del 1981 e sulla figura del rivoluzionario Bobby Sands, pellicola che gli ha fatto guadagnare la Palma d’oro a Cannes.

Successivamente, nel 2009, l’artista ha rappresentato la Gran Bretagna alla Biennale di Venezia ed in quell’occcasione è riuscito a stupire il pubblico con la sua poesia visiva. Il suo video Giardini, ambientato appunto nei Giardini della Biennale, offriva infatti liquide immagini di eleganti levrieri in cerca di cibo tra rifiuti e padiglioni abbandonati. Un chiaro attacco ai fasti dell’imperialismo e del potere pervaso dalla pacata e lucida descrizione di un sistema che lentamente scende verso il baratro della decadenza. Ebbene, quest’anno McQueen ha nuovamente stupito il pubblico di Venezia in occasione del Festival del Cinema.

La stampa contro Charles Saatchi e la sua nuova mostra

 Fioccano le critiche per l’ultima mostra organizzata da Charles Saatchi nella suo quartier generale di Londra. Come precedentemente accennato in un nostro articolo, il magnate ha tentato di bissare il successo della generazione Young British Artists, manipolo di artisti assemblati a mestiere negli anni ’90 per raggiungere le vette dell’arte. In quegli anni Tracey Emin, Steve McQueen, Tacita Dean, Liam Gillick, Damien Hirst e CHris Ofili, assieme a tante altre stars del contemporaneo hanno raggiunto quotazioni incredibili, catapultando Saatchi nel gotha del mercato dell’arte.

Oggi, dopo la crisi finanziaria, la fine della bolla speculativa dell’arte e l’avvento delle nuove generazioni artistiche, l’impresa del ricco mercante sembra decisamente ardua e come da copione la mostra dal titolo orwelliano Newspeak: British Art Now (in visione appunto alla Saatchi Gallery dal 30 maggio al 17 ottobre) ha mancato rovinosamente il bersaglio.  Il prestigioso quotidiano inglese The Guardian ha definito l’evento come un confuso assortimento di opere “alle volte buone, spesso cattive e per la maggior parte anonime”. Il quotidiano si è inoltre scagliato contro il catalogo della mostra apostrofandolo come “orrido ed incomprensibile”.

Saatchi alla riscossa ma la YBA generation è irripetibile

E’ un collezionista, un art dealer ma soprattutto è stato il creatore di una nuova generazione artistica. Stiamo ovviamente parlando di Charles Saatchi, mogul dell’arte contemporanea che negli anni ’90 ha creato dal nulla la generazione degli Young British Artists, portando in auge nomi come Tracey Emin, Damien Hirst, Steve McQueen, Chris Ofili, Marc Quinn, Jenny Saville, Georgina Starr e Sam Taylor-Wood, tanto per citarne alcuni ma la lista sarebbe ancora lunga. Prima di allora, salvo sporadici sprazzi (anche se fondamentali) come l’Independent Group precursore della Pop Art, il Regno Unito non vantava certo molti primati all’interno della scena dell’arte contemporanea.

Insomma il vecchio Saatchi ha trasformato la sua nazione in un polo artistico capace di catalizzare l’interno mercato mondiale. Sono però passati 13 anni dalla celebre mostra Sensation e da quella stagione di gloria che si  è comunque protratta nel tempo ed oggi i protagonisti della YBA sono artisti maturi ed affermati che hanno intrapreso le loro strade. Saatchi ha continuato la sua attività di scouting e scopritore di talenti, aprendo anche un sito web, organizzando concorsi e persino talent show. A distanza di tutti questi anni il magnate ha quindi tentato di bissare il successo della stagione d’oro ma con alterne fortune.

Steve McQueen e la sua lotta per i francobolli

Sono già passati sette anni e l’artista britannico Steve McQueen non intende mollare la sua battaglia per far stampare sopra i francobolli delle poste inglesi le immagini dei soldati morti in Iraq: “E’ una vera e propria maratona e molti pensano che molleremo ma vi dico che noi riusciremo a piazzare quelle immagini sui nostri francobolli” ha dichiarato McQueen nel corso di una sua mostra alla National Portrait Gallery di Londra che segna esattamente il settimo anniversario dall’inizio della guerra in Iraq.

L’evento segna inoltre l’ultima fase del tour della sua opera Queen and Country , un grande espositore in legno che contiene 160 fogli di francobolli con le facce degli uomini e delle donne uccise in Iraq, le foto sono state direttamente selezionate dai familiari delle vittime. McQueen ha avuto l’idea di produrre l’opera sette anni fa quando gli fu chiesto di diventare artista di guerra ed il pezzo in questione fu co-commissionato nel 2005 dal Manchester International Festival e dall’Imperial War Museum. A quell’epoca l’opera dell’artista era composta da circa 98 fotografie. 

Steve McQueen girerà un film su Fela Kuti

L’artista inglese Steve McQueen ha deciso di dedicarsi al cinema ed ha già firmato un importante contratto per dirigere un film biografico su Fela Kuti, il grande musicista inventore dell’Afrobeat che si ispirò al funk di James Brown, fu ad un passo dal diventare presidente della Nigeria ed ebbe ben 27 mogli. Il magazine Variety ha dichiarato che il novello regista scriverà la sceneggiatura del film assieme a Biyi Bandele.

La pellicola è tratta dal libro biografico di Michael Veal che si intitola Fela: The Life and Times of an African Musical Icon, pubblicazione che ha rinnovato l’interesse sulla figura della controversa star Nigeriana che sarà inoltre il protagonista di un nuovo musical di Broadway. Fela Kuti, che è morto di Aids nel 1997, è stato l’unico musicista africano in grado di fondere il Jazz americano con i ritmi funk, dando vita ad una nuova forma musicale denominata Afrobeat, divenuta poi estremamente popolare dentro e fuori il continente africano negli anni ‘70. Kuti ha più volte affermato di aver coniato il termine al ritorno del suo tour americano con la band degli Africa 70.

Biennale di Venezia, second act

Per quanto riguarda i Padiglioni Nazionali ecco la nostra lista dei preferiti. Gli Stati Uniti hanno allestito una vera e propria retrospettiva dedicata al genio di Bruce Nauman, la mostra rappresenta un’occasione unica per ammirare il talento del grande artista americano.

The Collectors ai padiglioni Danimarca e Paesi Nordici ha confermato le aspettative pre-Biennale, Elmgreen e Dragset hanno allestito un vero e proprio teatro vivente che ha catturato l’attenzione degli spettatori, affascinanti le architetture e le opere proposte, vasta la selezione di grandi artisti e maestri della provocazione come Maurizio Cattelan e Tom of Finland . Poetica ed ironica la rivelazione Australia con Shaun Gladwell che si diverte a rievocare cavalli di battaglia del suo paese come il famoso film Mad Max (Interceptor).

Il NapoliFilmFestival incontra l’arte contemporanea

Si terrà dal 10 al 15 giugno nella prestigiosa sede di Castel Sant’Elmo l’undicesima edizione di NapoliFilmFestival. Di grande interesse anche l’offerta cinematografica di questa undicesima edizione, a cominciare dalle sezioni Schermo Napoli Cortometraggi e Schermo Napoli Documentari dedicati rispettivamente a opere di fiction e documentaristiche girate a Napoli o dirette da registi napoletani. Nella sezione documentari sarà presentato Schiaffilife, opera filmica di Massimo Andrei dedicata al talento esplosivo dell’eclettica artista napoletana Roxy in the box.

Innestando i video creati da Roxy sul video del suo stesso racconto e cercando di fondere la sua colorata immagine nelle immagini da lei stessa dipinte, Massimo Andrei ha voluto raccontare Roxy in the box non attraverso le sue opere, ma nelle sue opere. Senza usare criptici messaggi o complicato concettualismo, ma sobria narrazione e spesso confessione  si  toccano temi e problemi di Napoli, città in cui l’artista vive e senza mai perdere ciò che accomuna la pittrice e il regista: il gioco e l’ironia.

L’effetto Saatchi

Gli artisti contemporanei inglesi sono ormai talmente quotati nel mercato dell’arte internazionale che ogni galleria italiana vorrebbe averne uno, magari anche uno poco famoso ma rigorosamente di sangue britannico. Certo è che ultimamente anche gli artisti della Repubblica Ceca sono molto in voga ma l’Inghilterra è sempre l’Inghilterra. Gli Young British Artists sembrerebbero essere i porta bandiera di una vena creativa inesauribile, un vero tesoro per la terra di Albione per molto tempo devota a John Constable, J. M. W. Turner e Francis Bacon quali rappresentanti dell’arte britannica nel mondo. Oggi tutto è cambiato e la Gran Bretagna sembra sfornare un talento al mese. Dietro questa fucina di creatività c’è sicuramente la mente geniale di Charles Saatchi, proprietario dell’omonima galleria, collezionista d’arte e co-fondatore della famosa agenzia pubblicitaria londinese Saatchi and Saatchi.

Ma cominciamo per gradi, nel 1988 un gruppo di 16 artisti del Goldsmiths College di Londra capitanati da Mr. Damien Hirst al secondo anno di college, prese parte ad una storica mostra chiamata Freeze in uno spazio espositivo alternativo nei Docks di Londra. Alla mostra assistette anche il buon Saatchi che rimase subito colpito dagli animali sotto vetro di Hirst tanto da divenirne il maggiore collezionista.