Il futuro che non vogliamo parte 2

Ma tutto questo dura finchè la corrente politica al governo è dalla loro parte, poiché al cambio di guida le teste saltano e via con un altro giro di valzer. Senza contare i nostri ministri ed assessori alla cultura, geni incompresi della burocrazia che puntualmente riescono a trasformare l’arte in un documento amministrativo. Ed allora noi, il nuovo che avanza, l’orda dei trentenni a vita, cosa dovremmo fare? Lottare per riportare in auge la meritocrazia? Scatenare una guerra contro un popolo di ciechi burocrati a cui non interessa la cultura?

 Sarebbe del tutto inutile, sarebbe un sacrificio onorevole ma inutile e anacronistico, proprio come il seppuku del nostro Yukio Mishima. Questo stato ama il nepotismo, la corruzione, l’inciucio ed il potere. Queste caratteristiche sono talmente radicate in noi che quando guardiamo ai successi di un nostro collega ci vien sempre da chiedere da chi è stato raccomandato o aiutato.

Il futuro che non vogliamo parte 1

Quale potrebbe essere la ricetta migliore per salvare il mondo della cultura del nostro amato italico stivale? Difficile a dirsi, la risposta migliore potrebbe essere quella di abbandonare la nave, pratica molto in voga di questi ultimi tempi ed ormai largamente digerita da pubblico e media.

Affondare assieme alla nave era un tempo un atto dovuto, un’azione equiparabile a quella di un samurai che compie il nobile rituale del seppuku, togliendosi definitivamente la vita innanzi ad un’onta irreparabile. L’ultimo samurai della storia moderna è stato Yukio Mishima, illustre letterato giapponese che si tolse volontariamente la vita in diretta televisiva nel 1970 al grido di: “Dobbiamo morire per restituire al Giappone il suo vero volto!”.

60 milioni di critici

60 milioni di allenatori, tutti quanti ultra competenti, che sono soliti parlar di sport dalle loro comodissime poltrone casalinghe. Questo, in sostanza, è il ritratto di noi italiani, popolo di santi, poeti e navigatori ma soprattutto di saccenti pigroni, pronti a sputar sentenze su chi invece ha il difetto di tentare un movimento all’interno dell’immobilità generale.

Per quanto riguarda il nostro dorato mondo dell’arte contemporanea, le cose non cambiano poi tanto, siam sempre 60 milioni di curatori, direttori, critici e giornalisti. Se si assiste al triste decadimento di una struttura museale pubblica, si è subito pronti a chiamare in causa l’incapacità dei direttori e l’insipienza dei curatori, sbandierando ai quattro venti una varietà di soluzioni che avrebbero definitivamente salvato quella povera struttura.

A Silvia, il dopo-Evangelisti per risollevare Arte Fiera

 

 

 

 

L’annuncio ufficiale c’è stato: Silvia Evangelisti ha lasciato la guida di Arte Fiera Bologna, dopo anni di indiscussa leadership. La frattura si è verificata  proprio prima del break pasquale ma gli attriti tra gli azionisti e la direzione erano nati all’indomani della scorsa edizione della fiera. Come confermato alla stampa nazionale dalla ex direttrice stessa, il rimpicciolimento della fiera e la sempre più cronica mancanza di grandi gallerie (nazionali ed internazionali) rappresentano la miscela esplosiva che ha contribuito a creare un clima di malcontento generale.

Eppure Silvia Evangelisti si era battuta duramente per quel “restringimento” mal digerito, un atto dovuto per snellire una formula troppo esosa. Il problema però non è rappresentato solamente dai tagli alle gallerie ma da una poco elegante sequela di tagli alle spese che va un poco a cozzare con l’idea di lusso espressa dal mercato dell’arte contemporanea.

L’arte contemporanea ed i polli da spennare

 Leggevo proprio oggi su Repubblica un articolo sulla truffa dei finti casting. Si tratta di un giro da milioni di euro l’anno che incastra puntualmente 100 ragazzi i quali vorrebbero sfondare nel mondo dello spettacolo. Il trucco è semplice, le agenzie di casting si fanno pagare qualche migliaio di euro per iscrivere i giovani nelle loro liste e produrre un book fotografico.

 Poi, promesse a parte, non succede un bel niente. L’italiano si sa è sognatore ed ha le sue manie di protagonismo, tutti vorrebbero essere divi del cinema o star della televisione, far leva su questi sogni da poveri illusi è un gioco da ragazzi. Esistono poi centinaia di case editrici che promettono di farvi diventare i nuovi Dan Brown o Stephen King e voi che da tanti anni avete un libro chiuso nel cassetto non vedete l’ora di farvelo pubblicare.

Il fundraising non esiste

Il fundraising è la soluzione a tutti i tuoi problemi, il fundraising ti salverà. Esistono scuole, festival, corsi e master per il fundraising, esistono esperti, agenzie  e quanto altro. Tutti ti ripetono le stesse cantilene:“Attuare tutte le strategie utili per incontrare le esigenze dello sponsor”, “mirare al cuore del brand con il matching, un nuovo metodo per fare networking”, “liberate le vostre energie e adottate tutti gli strumenti a vostra disposizione”.  

Ma il fundraising in realtà è un meccanismo ben più semplice di questi automatismi lessicali. Un soggetto chiede soldi per un dato progetto e lo sponsor sborsa i quattrini. Facile no? Mica tanto, anche perché se ognuno di noi bussasse alla porta di una grande azienda e chiedesse i soldi per un suo grande progetto la povera azienda fallirebbe nel giro di pochi giorni.

Cucinare con l’arte contemporanea ed altre stramberie della critica

L’arte è un oggetto volante non identificato all’interno dei nostri quotidiani d’informazione e per il settore del contemporaneo le cose vanno ancora peggio. La presenza di articoli riguardante l’arte contemporanea equivale a trovar acqua nel deserto e quando questa è presente c’è anche il rischio che sia imbevibile. Disinformazione, approssimazione e inutile ironia, il tutto condito con una bella dose di populismo, che non guasta mai .

Queste sono le caratteristiche salienti che possono essere riscontrate in un  articolo-tipo di arte contemporanea destinato a comparire sulle pagine del quotidiano di turno. La colpa di tutto ciò, direte voi, potrebbe risiedere nel fatto che molto spesso a scriver di arte contemporanea non sono veri e propri “esperti” del settore, ma dei semplici parvenu, dei pubblicisti che non hanno trovato qualcosa di meglio da fare per sbarcare il lunario. 

Papà, mi regali una residenza?

Le residenze d’artista sono il “caso” del millennio. Sono cool, sono altamente formative, tutti ne vorrebbero una e tutti, una volta tornati da una residenza, sono pronti a giurare di aver vissuto un’esperienza irripetibile. La residenza all’estero per i giovani artisti funziona un poco come il tanto famigerato progetto Erasmus, vale a dire il periodo di studio all’estero legalmente riconosciuto dalla propria università, concesso ad ogni studente universitario europeo.

Durante tutto il periodo della sua residenza (che solitamente ha una durata variabile da qualche settimana a cinque mesi ed oltre), l’artista riceve un alloggio, uno studio ed un regolare stipendio. Ovviamente il nostro caro amico artista dovrà impegnarsi per tutta la durata della residenza ed alla fine sarà (solitamente) chiamato a produrre un’opera. Le suddette facilitazioni sono però soggette a molte variazioni.

Il critichese ti accorcia la vita

Difficile entrare nella pelle di questo lavoro, questo perché la meccanica che lo genera si affida non solo al substrato figurativo-narrativo, ma anche ad una logica surreale all’interno di una matrice spaziale che mina la sottostruttura del pensiero. L’iconicità delle opere di XX attiva una qualità transitoria in senso visivo e concettuale.  La qualità sommersa della purezza delle linee contestualizza giustapposizioni formali, per quanto riguarda invece il problema dei contenuti, la perturbazione disgiuntiva dona risalto a distinzioni formali”.

 Ciò che abbiamo appena pubblicato è lo stralcio di un testo critico. A molti questo sembrerà un bel testo critico, ad altri invece potrà apparire un poco inconcludente ed artefatto. Beh, in realtà questo testo è stato scritto con un generatore automatico di testi critici, praticamente il computer ha mescolato alcuni termini a suo piacimento ed ha scodellato questo prodotto finale.

Talks, dibattiti e confronti, tutto serve quando si parla di informare

 

Ultimamente il dibattito con gli artisti è divenuto una pratica assai diffusa all’interno della scena dell’arte contemporanea nostrana. Invitare un artista e farlo dialogare con il pubblico o comunque condividere le proprie esperienze creative non è però solamente una moda ma una bella abitudine che una volta tanto si è sviluppata anche dalle nostre parti.

 Il fruttuoso incontro tra artista e pubblico può essere molto utile sotto il profilo didattico oltre che per comprendere gli aspetti estetici e concettuali celati all’interno di ogni manifestazione visiva. Ben vengano quindi talks, dibattiti, incontri e martedì critici. Tutto fa brodo quando si tratta di informare il pubblico mentre per l’artista invitato questa tipologia di eventi può servire a tracciare il punto della situazione, raccogliere le idee su quanto fatto sin d’ora e ripartire per nuove rotte. 

Ma questi blog d’arte, servono o non servono?

Avete davvero bisogno di un blog d’informazione sull’arte contemporanea? Forse si ma bisognerebbe prima analizzare la natura e la funzione del blog stesso. Il blog che state leggendo è una piattaforma imperfetta, con grandi limiti sia strutturali che fisici. Su questo blog potreste trovare giudizi e critiche che non condividete, notizie che non vi interessano affatto ed altre che magari vi faranno arrabbiare.

Ma questo blog è sempre e comunque una piattaforma indipendente e rappresenta solo e sempre la visione di chi lo aggiorna regolarmente, vale a dire la scrivente, Micol Di Veroli assieme ad un piccolo drappello di bravissimi collaboratori. Quando però la mission è quella di creare un vero e proprio magazine online con tanto di redazione le cose dovrebbero essere un tantino diverse.

Artisti, datevi da fare!

Spingersi oltre i propri limiti, superare le barriere che occludono la propria visione per gettarsi in sperimentazioni ardite e soprattutto “senza rete”. Queste caratteristiche dovrebbero essere punti fondamentali per chi ha deciso di intraprendere la carriera d’artista. L’artefice dell’opera non può mai accontentarsi di ciò che ha ma deve per forza di cose pretendere di più, sfidare la perfezione all’imperfetto e tentare di scrivere il suo nome nel grande libro della storia dell’arte.

 Ma questo processo richiede sangue, sudore e soprattutto voglia di mettersi continuamente in gioco, sfidando opinioni e condizioni avverse. Tutto questo vi sembra frutto di un romanticismo demodé? Vi sembrano questi obiettivi impossibili da realizzare? Beh allora dovreste prendere in considerazione l’ipotesi di cambiar indirizzo.

Quella brutta abitudine dei consigli per gli acquisti

 

Comprate questo, anzi no, comprate quest’altro. Ultimamente la stampa di settore (e non) sembra esser divenuta un gigantesco contenitore di consigli per gli acquisti. Dal curatore rampante, passando per il gallerista storico ed il collezionista-mecenate sino a giungere al’esperto giornalista, ognuno ha il suo artista da proporre all’ignaro lettore ed ognuno è convinto di puntare su di un cavallo vincente. Gli artisti sono sempre diversi in base alla cordata di appartenenza e quasi sempre giovani.

All’estero si sono visti di rado ma, non si sa per quale bizzarra formula di mercato, sono loro quelli da comprare. Fuori dai nostri confini, dicevamo, nessuno di loro ha mai partecipato ad un’asta ed a cercar i loro nomi all’interno dei roster delle più blasonate gallerie internazionali si perde tempo e null’altro. Non vengono mai nominati dai magazines stranieri, non fanno mostre nei musei oltreconfine e non partecipano a grandi manifestazioni come Documenta o quanto altro.

Lo stato della cultura in Italia? Peggio di un film horror.

La scorsa domenica, seguendo l’abituale puntata di Presadiretta su raitre, non ho potuto fare a meno di provare un grande senso di compassione per lo stato in cui versa la nostra cultura. La puntata, intitolata appunto Cultura a Fondo, ha analizzato con perizia alcuni casi singoli, fra cui quello della Pinacoteca di Brera, i quali illustrano al meglio gli sprechi ed i tagli che in questi ultimi tempi hanno serrato la gola dei nostri tesori culturali.

Logico, non ci voleva la televisione per ricordarci che i nostri musei non hanno fondi per esporre e restaurare capolavori d’arte di inestimabile valore. Eppure la vista di quell’orrore non può lasciare lo spettatore indenne.