Il Guggenheim. L’avanguardia americana 1945–1980

Il Guggenheim. L’avanguardia americana 1945–1980 illustra gli snodi principali dello sviluppo dell’arte americana in un periodo di grandi trasformazioni nella storia degli Stati Uniti: un’epoca segnata da prosperità economica, rivolgimenti politici e conflitti internazionali, oltre che da progressi sostanziali in ambito culturale.

La mostra che inaugura il 7 febbraio a Palazzo delle Esposizioni di Roma prende le mosse dagli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale, quando gli Stati Uniti si affermarono come centro globale dell’arte moderna e l’ascesa dell’Espressionismo astratto iniziò ad attrarre l’attenzione internazionale su una cerchia di artisti attivi a New York. A partire da quel momento, nell’arte americana si assiste a una straordinaria proliferazione delle pratiche estetiche più diverse: dall’irriverente entusiasmo della Pop art per l’immaginario popolare fino alle meditazioni intellettualistiche sul significato dell’immagine che caratterizzano l’Arte concettuale negli anni sessanta; dall’estetica scarnificata del Minimalismo alle sgargianti iconografie del Fotorealismo negli anni settanta. Pur producendo opere profondamente diverse tra loro, tali movimenti furono accomunati da un impegno sostanziale ad indagare la natura intrinseca, il senso e le finalità dell’arte.

Alessandro Bulgini – Appunti di un eretico

L’opera d’arte racchiude in sé la certezza della solitudine. Nella manifestazione creativa è possibile riporre sensazioni e brandelli di vita, tormenti e gioie passate ma nell’atto del produrre, l’artista esercita una separazione, un dissecamento della propria anima cha giammai potrà ricongiungersi al grande insieme della vita personale. Ecco perché l’opera finale rappresenta spesso un silenzio tra due pensieri, una sospensione cosciente del proprio essere che rimane impressa per sempre su di una superficie, sulla dura scorza di un oggetto senza poter tornare indietro.

L’opera come organismo vivente, come senso finito di tutte le cose, come frutto dell’intelletto o semplicemente come oggetto inanimato che l’artista sceglie di plasmare, la scelta della creazione e della genesi dell’opera equivale alla scelta della separazione, la scelta della solitudine. Questa condizione di eretico (dal greco αἵρεσις, haìresis derivato a sua volta dal verbo αἱρέω (hairèō, afferrare, prendere ma anche scegliere) rappresenta il fondamento del percorso intrapreso da Alessandro Bulgini che ha deciso di riassumere i suoi appunti di viaggio in un unico grande evento che si terrà a Torino presso Fabbricanti d’Immagine, il prossimo giovedì 2 febbraio (fino al 18 febbraio).

Gary Taxali da Antonio Colombo Arte Contemporanea di Milano

La galleria Antonio Colombo Arte Contemporanea inaugura la prima mostra personale italiana dedicata all’opera di Gary Taxali (dal 9 febbraio al 17 marzo 2012), artista fortemente rappresentativo di una scena neo-pop d’oltreoceano in continua ebollizione che, pur ricollegandosi culturalmente al movimento Pop-Surrealism (noto anche come Low-brow), ne rappresenta una interessante evoluzione di senso e di linguaggio. L’opera di Taxali nasce dalla sintesi sapiente tra l’iconografia retrò dei comics americani di inizio novecento (citiamo ad esempio il Popeye di Elzie Crisler Segar, i Barney Google & Snuffy Smith di Billy De Beck o i Nancy and Sluggo di Ernie Bushmiller) e una visione artistica dal sentire ambiguo e distaccato, tipica dell’era dei media, in cui il rigore del messaggio visivo gioca con il flusso inconscio di segni casuali.

L’effetto è quello di una straordinaria reinvenzione estetica – fusione perfetta tra immaginazione, stile e contenuto – capace di delineare un felice universo visivo quieto ma allo stesso tempo frenetico e dal perimetro formale preciso e circoscritto.  La base per il suo lavoro è fornita da superfici riciclate quali, ad esempio, piatti di vecchi libri, carte ingiallite, buste postali ancora provviste di indirizzi e francobolli, frammenti di vecchie tappezzerie rinvenute chissà dove.

CLAUDIA ZURIATO – sognai che sognavo un sogno

La Bugno Art Gallery di Venezia inaugura il 10 febbraio la mostra, a cura di Antonio Arévalo, “sognai che sognavo un sogno”  dell’artista veneziana Claudia Zuriato.

Questa la sua terza mostra personale in galleria. La prima, in concomitanza con la partecipazione alla rassegna OPEN “immaginaire féminin”, alla cui opera il curatore Pierre Restany assegnò il Premio Internazionale D’Ars. Da quel  settembre 2002, la Bugno Art Gallery ha presentato tre personali che hanno testimoniato il percorso creativo di Claudia Zuriato, dall’astrattismo assoluto, al figurativo quasi mistico e surreale: pensieri, anzi “sogni”, sempre tradotti sui supporti (tele, tavole, carte) con un “graffiante” segno al bulino e la capace mescolanza ai colori di fondo di patine opache e lucide, resine e vernici che lei stessa “alchemicamente” inventa di volta in volta.

LAWRENCE WEINER – EVER SO MUCH / MAI COSÌ TANTO

Lawrence Weiner, figura centrale tra i fondatori della Conceptual Art, interviene nello spazio di Base con nuove installazioni sui muri di grande formato. E’ la prima mostra personale di Weiner a Firenze e in Toscana, che segna l’inizio del quattordicesimo anno di attività dello storico spazio non profit.

Lawrence Weiner, nato nel 1942, vive e lavora tra New York ed Amsterdam, ha formulato il suo lavoro, sin dal 1967, ricorrendo al linguaggio piuttosto che a medium tradizionali quali la pittura o la scultura, considerando esso stesso un oggetto materiale. Nel linguaggio, l’artista americano trova uno strumento per la rappresentazione materiale dei rapporti del mondo esterno eliminando tutti i riferimenti alla soggettività artistica, tutte le tracce della mano dell’artista, la sua abilità, o il suo gusto. Utilizzando, dove possibile, simboli semantici e grammaticali, egli ha articolato il suo lavoro in termini inequivocabilmente diretti.

Jean-Marc Bustamante all’Accademia di Francia a Roma

Dal 5 febbraio al 6 maggio 2012, l’Accademia di Francia a Roma – Villa Medici invita Jean-Marc Bustamante (nato nel 1952) in una mostra che vuole presentare una selezione del suo lavoro degli ultimi trent’anni incentrata sulla nozione di luogo. A questa selezione, l’artista ha deciso di associare una scelta di opere (quadri e disegni) del pittore olandese Pieter Jansz Saenredam (1597 – 1665) e ha proposto di insistere su una relazione attenta con gli spazi ideati da Balthus (1908 – 2001) quando era direttore di Villa Medici, dal 1961 al 1977, attraverso la creazione di una serie di quattro Pitture (Peintures)  per il Grand Salon.

Alla fine del 1970, Jean-Marc Bustamante è stato uno dei pionieri della fotografia a colori su grande formato. La sua serie, paradossalmente intitolata Tableaux (Quadri) portava un nuovo modo di creare e pensare la fotografia, praticata anche dai fotografi della Scuola di Düsseldorf e da quelli di Vancouver. Dall’inizio degli anni ’80 ha ampliato il suo lavoro passando dalla fotografia, che comunque continua a utilizzare e a mettere in mostra, alla scultura, alle istallazioni e più recentemente alla pittura (rappresentata attraverso serigrafie su pannelli di plexiglas di dimensioni monumentali).  

VOGLIO SOLTANTO ESSERE AMATO, 38 artisti, 31 scrittori, 23 curatori e 15 intellettuali mettono a confronto sensibilità e competenze

Da sabato 18 febbraio 2012, EX3 Centro per l’Arte Contemporanea di Firenze ospita il progetto MAP con la seconda tappa della mostra Voglio Soltanto Essere Amato: 38 artisti, 31 scrittori, 23 curatori e 15 intellettuali mettono a confronto sensibilità e competenze.

I diversi ambiti del sapere si incontrano su map-project.com, una piattaforma virtuale di dialogo che, attraverso le voci di un nucleo di professionisti dalle competenze trasversali (letteratura, antropologia, biologia, neuroscienza, filosofia…), si pone l’obiettivo di riposizionare la riflessione sullo stato dell’arte e della cultura contemporanea. Un dibattito partito dal web che si concretizza in un evento-mostra – tenutosi prima al MAGA di Gallarate e ora ad EX3 – un modello di sperimentazione curatoriale innovativo tramite l’impiego di tecnologie interattive, in cui il grande pubblico possa avvicinarsi con nuove modalità al dibattito culturale.

CAMERE XVII – Des Mondes de Poche

Des Mondes de Poche/Mondi tascabili è nato da una serie d’incontri in appartamenti romani e parigini. Un’avventura umana per una ridefinizione politica delle piccole comunità che incoraggiano il concetto di condivisione e la qualità degli incontri.

La prima proposta per Camere è un modellino di Yona Friedman & Jean-Baptiste Decavèle, La petite ville spatiale, realizzata appositamente per la mostra. Si tratta di una riattualizzazione di una delle idee chiave di Yona Friedman: La Città spaziale, esempio e teoria architettonica che rimanda al concetto stesso del progetto Camere. Uno spazio che non è costruito, riempito o modificato, ma reso disponibile all’uso.Fin dal 1958, Yona Friedman crea i principi della Città spaziale, la più importante applicazione dell’architettura mobile, una struttura su palafitte in cui si alternano volumi abitati e vuoti formando dei “quartieri” dove si distribuiscono liberamente gli alloggi. La sopraelevazione permette a queste strutture di svilupparsi al di sopra di siti indisponibili, di aree non edificabili o già edificate e di terreni agricoli.

Davide Dormino – L’origine della trama

 

 

Davide Dormino realizza una scultura per raccontare l’evoluzione di un processo creativo: da artigiano ad artista. L’opera racconta l’origine e lo sviluppo del gesto creativo che nasce da un disegno preciso e si sviluppa fino a distruggere l’immagine di partenza. Il lavoro cerebrale e misurato dell’artigiano che esplode nella follia passionale dell’artista. La messa in scena del gesto, dell’invenzione di un metodo ordinato che genera una trama e poi un trauma: la sintesi del momento in cui interviene l’estro e disordina tutto.
All’interno dello spazio espositivo, volutamente piccolo, un ambiente unico dove si entra in gruppi secondo un ritmo preciso scandito dal sottofondo musicale dell’opera, da una lastra di ferro alta quasi tre metri ci investe un flusso di fili metallici. Una cascata che si sprigiona fino al pavimento e corre fino all’esterno dello spazio stesso.

Short stories 10 – In to the surface

CHI: Aaron Bobrow (San Francisco – 1985), Heather Cook (Dallas – 1980), N. Dash (Miami Beach – 1980), Alex Dordoy (Newcastle – 1985), Leo Gabin (collettivo nato a Ghent, Belgio nel 2000), Andrew Gbur (Lancaster – 1984), David Hominal (Losanna – 1976), Erik Lindman (New York – 1985), Nazafarin Lotfi (Mashad – 1984),  Joseph Montgomery (Northampton – 1979), Oscar Murillo (Colombia – 1986), Hugh Scott-Douglas (Canada – 1988), Dan Shaw-Town (Huddersfield – 1983), Ben Schumacher (Canada – 1985), Nick Van Woert (Reno – 1979), Ned Vena (Boston – 1982), Phil Wagner (Chicago – 1974), Lisa Williamson (Chicago – 1977).

DOVE: Brand New Gallery – Milano

QUANDO: 12 gennaio – 23 febbraio 2012

COSA: Siamo di fronte ad una collettiva affollata, la galleria dispone certo dello spazio adatto per cui ogni opera ha un discreto respiro, ma di certo diciotto artisti non sono pochi da assimilare e si rischia la dispersione delle informazioni. Siamo di fronte dunque ad una galleria che privilegia l’aspetto curatoriale e corale, piuttosto puntare su un solo nome alla volta. Nel complesso una mostra decisamente piacevole: il tema scelto, la superficie come terreno di ricerca, permette varietà di approci e stili.

URSULA MUMENTHALER – RICONQUISTA

Lo studio d’arte contemporanea Pino Casagrande di Roma inaugura il 26 gennaio per la prima volta nei suoi spazi l’artista svizzera Ursula Mumenthaler. In mostra una selezione di oltre 20 fotografie che testimoniano i diversi lavori sullo spazio risalenti alla metà degli anni novanta, fino alla recente serie berlinese “Eingezäunte Brachflächen in Berlin” del 2007.

Lo spazio e la luce sono le linee guida essenziali per entrare nei lavori di Ursula Mumenthaler che a partire da interventi pittorici all’interno di edifici industriali dismessi come fabbriche, garage, sanatori e hotels, traccia perimetri geometrici che risolve in campiture di colore monocrome, poi racchiuse in un’unica prospettiva fotografica, quella frontale dell’osservatore. Da luogo come spazio vissuto in prima persona, a luogo come habitat universale, l’artista sentirà poi il bisogno di allontanarsi dalla geometrizzazione della forma come pratica pittorica, per cercare la stessa nell’edificio in quanto architettura. Da qui la serie “Agra” presente in mostra, che rivela la simmetria della forma nel suo naturale stato di disfacimento edile.

ALTRA NATURA. PROPOSTE DALLA COLLEZIONE DEL MUSEO | Museo Pecci Milano

ALTRA NATURA è il ciclo espositivo incentrato sulla collezione del Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato, che inaugura la presentazione di nuove proposte al Museo Pecci Milano mercoledì 25 gennaio 2012. La mostra, che resterà aperta fino al 20 febbraio 2012, esplora alcune ipotesi di Altra natura, elaborazioni artistiche intorno all’idea di natura e, allo stesso tempo, riflessioni sulla natura dell’arte per offrire al visitatore informazioni sui processi generativi, le manifestazioni ed esperienze fisiche e mentali dell’arte contemporanea. Le opere di nove artisti, incluso un progetto speciale di Luca Bolognesi in collaborazione con Lo schermo dell’arte Film Festival e due installazioni in situ di Massimo Uberti, sono riunite in un percorso inedito da vedere e da sentire.

Giardino fiorito_Michael Lin
Nell’installazione a pavimento creata per il Centro Pecci da Michael Lin (Floor Painting, 2010), il disegno floreale dipinto trasforma lo spazio espositivo in un accogliente luogo di benvenuto, un giardino che invita ad accomodarsi e farsi avvolgere nei suoi colori brillanti. Sulla tela dipinta (Pillow, 2008) Lin si appropria di motivi decorativi floreali dei tessuti tradizionali taiwanesi degli anni Cinquanta, che diventano la cifra stilistica della sua rappresentazione artistica. In occasione dell’esposizione delle opere sarà presentato il primo volume monografico italiano dedicato al lavoro di Michael Lin, pubblicato da Maretti editore, che documenta la mostra personale dell’artista a Prato (2010-2011).

ARIEL OROZCO – DETRÁS DEL CRISTAL

La seconda personale di Ariel Orozco che inaugura il 9 febbraio alla Federica Schiavo Gallery di Roma consiste in una riflessione essenziale e dinamica su alcune delle contraddizioni, anomalie e paradossi che caratterizzano la nostra esistenza quotidiana e la nostra realtà neoliberale. Confondendo i binari della abbondanza con quelli della scarsità, così come quelli della supremazia con quelli dell’impotenza, la mostra trasmette un senso di suspense proprio della precarietà, suscitando un effetto al contempo comico e inquietante.

Questioni di fragilità, di un lusso decaduto e di un’antica abbondanza, sono affrontate ironicamente in Untitled, una scatola di cioccolata i cui cioccolatini sono totalmente stati consumati, così come in Untitled, una bottiglia di champagne dal vetro così pieno di crepe che sarebbe davvero incauto usarla. Paradossi su carenza e abbondanza assumono un ulteriore significato in Untitled (Sed). L’opera consiste in un’installazione di grandi dimensioni composta da mille bicchieri di vetro colmi di sabbia e disposti sul pavimento della prima stanza a comporre tante pozzanghere. In questo caso, la totale assenza di acqua è controbilanciata dall’abbondanza di qualcos’altro, inutile ma attraente: la sabbia. Allo stesso modo, la vicina Untitled (Problema) complica e semplifica le cose.

Bianco e Valente – Costellazioni di me

La galleria Fabio Tiboni / SPONDA inaugura il 29 gennaio la mostra Costellazioni di me del duo artistico Bianco-Valente, già attivi sul territorio bolognese nel 2007 con un’installazione ambientale al Museo di Palazzo Poggi. Il lavoro di Bianco-Valente è da sempre incentrato sui concetti di percezione e relazione: in questa occasione viene proposta un’installazione ambientale che fornirà il pretesto per l’incontro e lo scambio delle energie potenziali tra lo spettatore e il luogo, tra le persone e le cose.

Bianco-Valente avvolgeranno le pareti e il soffitto della galleria in una rete relazionale disegnata trascrivendo le parole dei saggi e delle lettere con cui gli astronomi, nei secoli passati, hanno via via descritto le proprie osservazioni e le proprie visioni, volte a definire i corpi celesti e le leggi che li tengono in relazione. Pochi sanno che fu proprio a Bologna che Copernico cominciò, grazie all’incontro e alla collaborazione con l’astronomo ferrarese Domenico Maria Novara, ad approfondire i suoi studi astronomici e a fare le prime osservazioni, che lo portarono dopo circa 20 anni a formulare la sua teoria eliocentrica che, riprendendo gli studi dei pitagorici e alcune intuizioni del suo mentore bolognese, rimetteva il Sole al centro dell’universo allora conosciuto.