La polizia dello Zimbabwe restituisce le opere fotografiche sequestrate

La polizia dello Zimbabwe ha restituito ieri alcune foto raffiguranti il primo ministro Morgan Tsvangirai, le immagini erano state confiscate ad una galleria d’arte vittima di un raid 24 ore prima.  Gli ufficiali del servizio d’ordine avevano sequestrato ben 66 fotografie dalla Gallery Delta di Harare ed avevano inoltre arrestato il capo di una organizzazione per i diritti umani nota come ZimRights, colpevole di aver organizzato la manifestazione. La polizia ha dichiarato che le immagini non potevano essere mostrate in pubblico perché raffiguravano corpi nudi o feriti ed inoltre gli organizzatori non sono riusciti a provare di essere in possesso dei consensi per esporre le foto da parte dei soggetti ritratti.

Fortunatamente gli attivisti per i diritti civili sono riusciti a vincere un ricorso alla corte suprema ed in tutta fretta sono rientrati in possesso delle fotografie, giusto in tempo per il vernissage della mostra a cui ha partecipato il primo ministro Morgan Tsvangirai assieme ad alcuni diplomatici. Dopo aver presidiato l’installazione a parete delle fotografie, Tsvangirai ha condannato il grave atto di censura: “Mentre alcuni di noi lottano ogni giorno per la libertà di parola, altri tentano di negare tale libertà. Quando ho appreso del tentativo di oscurare le foto mi sono molto adirato e dispiaciuto ma penso una cosa, i cambiamenti non possono essere fermati e so che a molti questo non  piace ma tutto scorre come un flusso ininterrotto che non si può arrestare:  Il futuro dello Zimbabwe è la democrazia”. 

Al Photography Show di New York trionfa il bianco e nero ed anche il video

Il Photography Show, la fiera annuale organizzata a New York dall’Association of International Photography Art Dealers (AIPAD) è stata più volte lodata per la sua affascinante selezione di fotografie in bianco e nero. Quest’anno invece la Bryce Wolkovitz Gallery si è guadagnata l’attenzione di pubblico e critica pur allontanandosi sensibilmente dalla fotografia fine-art. La galleria ha infatti presentato l’opera Self-Portrait (2010) di Shirley Shor, un’ipnotica opera video costituita da ritratti multipli su uno schermo singolo con pixel in costante morphing.

L’AIPAD ha deciso di implementare la sezione new media e video art lo scorso anno ed anche se sono ancora poche le gallerie che hanno abbracciato questa nuova proposta, i pochi e coraggiosi dealers che quest’anno si sono avventurati in questa scelta non hanno fallito l’incontro con i collezionisti. Il dealer di Chicago Catherine Edelman, ad esempio, ha portato in fiera alcuni video di Gregory Scott, artista dal passato pittorico che solitamente combina fotografia, pittura ad olio e video loops. Edelman ha venduto due copie di un video di scott intitolato Echo (2010), ogni edizione era quotata circa 22.000 dollari, in questo caso il coraggio è stato decisamente ben premiato.

Arte e musica alla Galleria Pack di Milano

Uno show gallery di 6o minuti (opening il 29 marzo 2010) con il meglio della musica e dell’arte contemporanea Giampaolo Abbondio e Gianni de Berardinis scrivono insieme una nuova pagina di comunicazione nel mondo dell’Arte: The White Room, un evento che si preannuncia come un’occasione culturale decisamente interessante.

La Galleria Pack di Giampaolo Abbondio è da sempre sensibile alle contaminazioni musicali; in diverse battute lo spazio ha infatti contribuito alla produzione di dischi dalle sonoritá piú contemporanee dell’artista Robert Gligorov, in cui hanno partecipato musicisti come Saturnino (talentuoso bassista nonchè collaboratore di Lorenzo Cherubini in arte Jovanotti)  e Massimo Colombo, fino a quelle del free Jazz e delle collaborazioni con vere e proprie leggende del calibro di Billy Cobham.

Graham Dolphin e la mostra delle Rock Stars suicida

Nella sua terza mostra personale alla Seventeen Gallery di Londra (in visione fino al 27 marzo 2010) dal titolo Burn Away Fade Out (Bruciato e svanito) l’artista britannico Graham Dolphin esplora il fenomeno del suicidio delle rock stars mediante una serie di riproduzioni di artefatti della pop-culture. Conosciuto per opere come 84 Beatles Songs (2008), dove l’artista impresse sui vinili del White Album le liriche di tutte le canzoni della famosa band in lettere piccolissime, Dolphin combina una precisione metodica da certosino alla Pop-art, inserendo oggetti noti al nostro immaginario collettivo.

La mostra si apre con una serie di ultime lettere (prima del suicidio) di grandi stars della musica come Elliott Smith, Ian Curtis (indimenticato frontman dei Joy Division), Phil Ochs e Kurt Cobain (leader dei Nirvana). Queste annotazioni altamente intime ed emozionanti, poste fianco a fianco sul muro di una galleria, mettono un poco a disagio e trasformano lo spettatore in una sorta di voyeur in cerca di una spiegazione che giustifichi il tremendo atto suicida.

Alex young a Londra, Mario Nigro a Milano e Robert Irwin a San Diego

Vorremmo consigliarvi 3 mostre in giro per il globo che vale la pena visitare, offerte creative dall’Italia, dall’Inghilterra e dagli Stati Uniti. Quindi se vi trovate in quei luoghi vi consigliamo caldamente di darci un’occhiata. Si parte con le nuove opere di Alex Young, astro nascente della scena dell’arte contemporanea inglese. L’artista si getta oltre le barricate dell’illustrazione, della pittura e del graffiti, investigando il fenomeno sociale dell’alter ego. Il titolo dell’evento è A.K.A. ed è organizzato dalla London Miles Gallery e si aprirà il 1 aprile 2010. La mostra ospita inoltre diverse installazioni ispirate dall’amore di Young per i tatuaggi e dal macabro fascino dei calaveras, i celebri teschi messicani del giorno dei morti.

La galleria A arte Studio Invernizzi di Milano presenta invece una mostra personale di Mario Nigro dedicata a sedici opere di grandi dimensioni – per la prima volta riunite in uno spazio espositivo privato – dei cicli Spazio totale degli anni Sessanta, Ritratti e Dipinti satanici della fine degli anni Ottanta.

Ufficiale Gentilhomosex, le nuove e meravigliose foto di Jeff Sheng

Dopo aver pubblicato le prime sette foto di una sua nuova serie direttamente sul suo website, l’artista Jeff Sheng non è riuscito a chiudere occhio: “Mi alzavo continuamente dal letto per andare a controllare la mia casella di posta elettronica. Sicuramente ora mi contatterà qualche militare dell’esercito nazionale e mi chiederà un mare di informazioni. Alcune delle persone che ho fotografato sono soldati da 20 anni e potrebbero perdere le loro pensioni per colpa mia” pensava Sheng in quella notte insonne. Ma cosa è successo, cosa ha combinato Sheng di tanto grave?

Niente di grave, anzi Sheng ha creato qualcosa di decisamente interessante. Il fotografo ha da poco completato la prima fase del suo progetto fotografico Don’t Ask, Don’t Tell (Non Chiedere, Non raccontare), una serie di ritratti di gay e lesbiche in forza all’esercito degli Stati Uniti. Tutti i soggetti indossano l’uniforme e le loro facce sono in qualche modo coperte da dettagli come lo stipite di una porta o una maniglia o semplicemente dall’oscurità.

Ryan McGinley passa alla fotografia digitale

La giovinezza non mi ha mai appassionato più di tanto. Raramente vedo qualcosa di bello in una faccia giovane” dichiarò un giorno il grande fotografo Richard Avedon. Chissà quindi cosa direbbe Avedon riguardo alla incredibile carriera di Ryan McGinley. Il fotografo 32enne nel 1999 inviò per posta ad alcuni editori un portfolio contenente alcune delle sue opere fotografiche, il libricino fai-da-te fu creato con una comune stampante a getto di inchiostro, di quelle che abbiamo tutti noi dentro casa.

All’interno del porfolio Mc Ginley aveva inserito immagini di ragazze e ragazzi giovanissimi perché, a differenza di Avedon, il giovane fotografo era appassionato dalla giovinezza. Questo evidentemente fece la sua fortuna visto che a soli 25 anni fu notato dal Whitney Museum che gli dedicò niente di meno che una mostra personale. Oggi, dopo circa dieci anni di fotografia tradizionale, McGinley si è ritirato nel suo studio nel Lower East Side di New York per preparare il suo primo progetto tutto in digitale. Everybody Knows This Is Nowhere è quindi il titolo della nuova mostra di McGinley alla Team Gallery (in visione dal 18 marzo al 17 aprile 2010), evento che racchiude le sue ultime serie fotografiche. 

Dan Colen – Karma

Il 22 marzo la Galleria Massimo De Carlo di Milano inaugura Karma, la prima personale in Italia di Dan Colen. In mostra alcuni lavori inediti: la maggior parte di essi, come una gigantesca rampa da skateboard, o i trenta tabelloni da basket che diventano tessere di un grande domino, sono connessi alla produzione di Colen più conosciuta, legata alla cultura street e underground da cui l’artista proviene e dalla quale trae spesso ispirazione. Altri lavori, come la serie di confetti paintings, oli su tela che riproducono stelle filanti e coriandoli, o stampe fotografiche su tela di pubblicità commerciali, mostrano una nuova fase in cui, coerentemente al suo percorso stilistico, l’artista si focalizza su nuove tecniche e nuovi soggetti.

Nato nel 1979 a Leonia, nel New Jersey (USA), Dan Colen è considerato una stella nascente nel mondo dell’arte contemporanea. Dalla sua prima mostra, nel 2003, ha catalizzato su di sé l’attenzione del mondo dell’arte e dei mass media, quest’ultimi attirati anche dalla vita scandalosa ed eccessiva che l’artista conduce a New York, assieme ad altri esponenti della cosiddetta Bowery School. Nel 2006 compare, assieme a Ryan McGinley e Dash Snow (deceduto lo scorso giugno per un’overdose di eroina), sulla copertina del New York Magazine, che definisce il trio “figli di Warhol”.

Luca Rossi, intervista/dialogo sull’arte e sulle dinamiche artistiche

Micol Di Veroli e Luca Rossi presentano un’intervista/dialogo sull’arte e sulle dinamiche artistiche, senza troppi convenevoli. Un confronto attivo mirato a chiarire posizioni e cercare nuove soluzioni qualora ce ne fossero.

MDV – Mi trovo in sintonia con molte delle tue dichiarazioni presenti sul blog Whitehouse ed è tristemente vero che le nostre giovani leve sono ormai simili a replicanti di altri artisti del panorama internazionale. Nel peggiore dei casi la nostra giovane arte si ritrova  a produrre formazioni estetiche stile Ikea prive di ogni significato, nell’assurda e vana ricerca di un ermetismo che confonda le acque, sperando che lo spettatore non riesca ad agganciare un qualche riferimento colto del tutto inesistente. Io trovo che il vero problema risieda nella mancanza di documentazione e di studio, tu cosa ne pensi?

LR – Mancanza di studio, ma anche malafede più o meno consapevole. O consapevolezza di non poter/voler fare altro nella vita che un lavoro (apparentemente) eccitante e comodo come quello del “giovane artista”. Inoltre in italia viene vissuto un complesso di inferiorità sull’essere italiani. Questo favorisce una certa esterofilia e il mantenimento di un profilo basso, silenzioso e colto. Quindi assenza di un confronto critico, perchè sia ha sempre paura di essere i soliti italiani “bar sport” e polemici. Questo porta problemi di relativismo dove “tutto può andare” ed essere accettato e giustificabile. In fondo l’arte contemporanea viene vista (da alcuni) come materia “hobbistica”.  Queste dinamiche portano risultati mediocri; nel migliore dei casi buoni standard sviluppati come “compie sbiadite” di quello che avviene sulla scena internazionale.

Haunch of Venison di New York rimette in scena gli anni ’80

 Haunch of Venison di New York presenta dal 5 marzo al primo maggio 2010 un’interessante mostra collettiva organizzata dai celebri artisti David Salle e Richard Phillips. L’evento dal titolo Your History is not Our History racchiude numerose opere di artisti che hanno creato il mito artistico della New York degli anni ’80, una decade che ha contribuito a creare un ambiente artistico originale e decisamente inventivo.  La mostra non è una retrospettiva di una decade ma una riflessione sulle idee comuni degli artisti di quel periodo in risposta ad una specifica situazione culturale.

L’obiettivo è infatti quello di lasciar parlare le opere in una maniera che fino ad ora gli era stata negata. In effetti la New York degli anni ’80 è stata un melting pot capace di alimentare la creatività di artisti come Jean-Michel Basquiat, Ross Bleckner, Francesco Clemente, Eric Fischl, Barbara Kruger e Julian Schnabel, nomi che hanno creato opere sperimentali ed hanno allargato gli orizzonti estetici, influenzando le generazioni a venire.

Mike Nelson e la fine del sogno americano

 Mike Nelson, il mago britannico delle trasformazioni architettoniche, ci invita ancora ad immergerci al di sotto della superficie e scoprire la sostanza di cui sono fatti i nostri incubi collettivi. Nella scorsa decade, Nelson è stato il creatore di quelle che potremmo definire case dell’orrore psicologico, installazioni dannate ed oscure che hanno indagato l’ampia gamma della messa in scena contemporanea, evocando ambienti mitologici e fantastici del quotidiano come celle segrete, moderne miniere del terrorismo, agenzie di viaggio del terzo mondo, templi voodoo fino ad arrivare ai banali ambienti degli anni novanta come gli internet cafè.

Insomma i mondi ready made di Nelson sono veri e propri simboli di un’archeologia inventata, di scenari irreali ma decisamente realistici. Per la sua nuova mostra dal titolo Quiver of Arrows, ospitata dalla galleria newyorchese 303 Gallery (in visione fino al 10 aprile 2010 ), Mike Nelson ci invita ancora una volta a considerare i margini politici e controculturali della società globalizzata. Una volta entrati nello spazio ci si trova a fare i conti con alcuni trailer da campeggio defunti e montati come trofei su dei binari di legno.

Testi critici sulla strada per la Street Art

La street art, lo dice il termine, è una forma artistica che raggiunge il suo apice espressivo all’interno del contesto urbano. Una volta traslata all’interno delle mura di una galleria o di un museo l’opera di street art perde la sua potenza e si trova totalmente decontestualizzata sino a smarrire il senso stesso della sua natura. Detto ciò, sorge il problema dell’approccio critico. Se un opera nasce nelle strade ed ivi rimane, allora anche gli scritti del critico di turno dovrebbero tener conto di questo habitat e magari avvicinarsi il più possibile al tessuto metropolitano più che alle istituzioni ed ai soliti luoghi dedicati all’arte.

La soluzione a questo problema è stata trovata da un giovane critico/curatore di Baltimora che risponde al nome di Hrag Vartanian. Trovatosi davanti ad una bellissima opera dello street artist Gaia, dal titolo St.John (2010) realizzata per la Baltimore Reservoir Hill, Hrag Vartanian si è ricordato di un esperimento che aveva progettato nel 2008 assieme all’artista. All’epoca i due discutevano della possibile creazione di una forma critica direttamente legata all’arte di strada. Il colloquio fra i due portò alla luce un reciproco interesse nell’esplorare i limiti del dialogo eseguito direttamente sull’opera di street art e non a posteriori fra le mura di una galleria o su di una pubblicazione editoriale.

A New York una mostra sulla quarantena

Martedì scorso quel frammento che è la galleria Storefront For Art & Architecture di New York non è riuscito a contenere la folla che ha invaso gli spazi in occasione del progetto collaborativo Landscapes of Quarantine ( in visione fino al prossimo 17 aprile). Anche l’aggiunta di un paio di strutture in Tyvek (intitolate irriverentemente Suck & Blow) che hanno esteso lo spazio fino a comprendere tutto il marciapiede, non è bastata a creare più spazio per gli innumerevoli curiosi presenti. L

’evento è stato organizzato da Geoff Manaugh e Nicola Twilley, rispettivamente marito e moglie oltre che coppia curatoriale. L’idea della quarantena è stata ispirata da un viaggio a Sidney dove i coniugi hanno alloggiato in un Hotel di lusso, un tempo luogo di quarantena. Landscapes of Quarantine prevede l’intervento di un mix di artisti, architetti, video game designers,scenografi teatrali ed architetti, personaggi che hanno avuto il compito di esplorare in otto settimane le implicazioni culturali di una tattica di auto-preservazione vecchia come la lebbra.

Alberto Di Fabio alla Gagosian Gallery di New York

La Gagosian Gallery di New York ospitera’ dal 18 marzo al 24 aprile una nuova mostra di opere di Alberto Di Fabio. L’opera di Di Fabio e’ ispirata alle leggi fondamentali del mondo della fisica, agli elementi organici e a come essi interagiscano fra loro. Rappresentando forme naturali e strutture biologiche con fervida immaginazione e con colori vivaci, i suoi dipinti e le sue opere su carta uniscono i mondi della scienza e dell’arte.

Attraverso immagini astratte l’artista ha sviluppato ed ampliato il suo interesse per il mondo naturale. Nei suoi primi lavori Di Fabio esamina le strutture della flora e della fauna, nonche’ gli ecosistemi e le forme astrali, fino ad arrivare allo studio della genetica, del DNA, delle sinapsi cerebrali, e della ricerca farmaceutica e medica.