Osama scalza Ai Weiwei ma la Tate conserva i suoi semi di girasole

Come ricorderete, prima della tragedia dell’arresto di Ai Weiwei da parte del governo Cinese, vi avevamo parlato di una nuova opera dal titolo Circle of Animals/Zodiac Heads una sorta di installazione composta da 12 monumentali sculture di bronzo che in sostanza riprende in pieno le sembianze dell’antica la fontana dei 12 segni zodiacali dello Yuangminyuan. L’opera di Weiwei avrebbe dovuto essere inaugurata lo scorso 2 maggio al Grand Army Plaza di New York, proprio di fronte al Plaza Hotel e sarebbe dovuta rimanere in visione fino al prossimo 15 luglio.

Il sindaco di New York Michael Bloomberg ha però messo in standby l’inaugurazione del temporaneo monumento. Ma perché il sindaco ha scelto di prendere una decisione simile? Semplice, a far slittare l’inaugurazione dell’opera di Ai Weiwei è stato proprio Osama Bin Laden, in quello che potremmo definire come l’ultimo grande affronto del celebre terrorista.

Expanded Video al MAXXI di Roma

Expanded Video presenta in anteprima italiana al MAXXI di Roma ( in visione  dal 4 maggio al 5 giugno 2011) alcuni lavori video e le performance live di Jacob TV, Masbedo, Martha Colburn e People Like Us (aka Vicki Bennett). Organizzato in collaborazione con Fondazione Musica per Roma, la rassegna nasce dal confronto e dall’interazione tra forme di creatività differenti che definiscono un linguaggio comune, in cui ascoltare e vedere diventano momenti analoghi ed equivalenti.

Pur lavorando in modi e contesti diversi, nelle opere di questi artisti c’è un forte legame con la realtà politica, sociale ed economica, e l’esigenza di mettere in scena le contraddizioni e l’incoerenza del mondo contemporaneo. L’atto creativo diventa così un atto critico, che invita lo spettatore ad una esplicita presa di coscienza. Le loro opere, in cui i diversi linguaggi si fondono in un’integrazione perfetta, sono accomunate dall’emancipazione da vincoli e convenzioni legate al singolo medium. Il suono diventa narrazione e l’immagine si dissolve in un ritmo sempre diverso.

Padiglione Italia Vuoto!

Dopo gli abbandoni ed i successivi ritorni del Vittorione Nazionale™ al Padiglione Italia alla Biennale di Venezia, (noi avevamo già predetto tali e tante tarantelle molti mesi fa con questo articolo-provocazione) il mondo dell’arte del nostro martoriato stivale ha subito lanciato un toto-padiglione per scegliere un nuovo paladino in grado di traghettare la nostra arte fuori dalle acque oscure all’interno delle quali ci ha portato Sgarbi. Artribune ha sollevato il nome del bravo Andrea Bruciati. Comunque sia l’allarme è rientrato.

Secondo il mio modesto parere sarebbe stato meglio lasciare il Padiglione Italia vuoto, non per anarchia, nichilismo, sandinismo o quello che volete ma semplicemente per chiudere con il passato e per mostrare al mondo intero la nostra reazione. Non una presa di posizione o un chinare la testa passivamente quindi ma una vera e propria tabula rasa contro comportamenti che devono finire. Se non vi bastano queste parole, ecco altre ragioni per lasciare vuoto questo Padiglione:

Una giovane arte pesante come una pila di mattoni

Vi dice niente il titolo Equivalent VIII? Ebbene stiamo parlando di un’opera comunemente nota come The Bricks (I mattoni), prodotta dal mitico Carl Andre nel 1966 ed acquisita in seguito dalla Tate Gallery nel 1972 per 2.297 sterline, una bella somma per l’epoca. Quando fu esposta per la prima volta nel 1976, The Bricks non mancò di scatenare le ire di pubblico e critica, furono in molti infatti ad asserire che la Tate aveva dilapidato una preziosa somma proveniente dalle tasche dei contribuenti per acquistare un’inutile ed anonima pila di mattoni.

L’opera di Andre fu comunque un’operazione decisiva che può aiutarci oggi a tracciare la traiettoria della storia dell’arte contemporanea sempre in bilico tra echi duchampiani e minimal. Inutile dire che Equivalent VIII riesca ancora a sollevar polemiche a circa 30 anni dalla sua prima uscita al Tate.

Sarah Braman al MACRO di Roma

MACRO – Museo d’Arte Contemporanea Roma – e la Fondazione DEPART presentano dal 3 maggio al 12 giugno 2011 la prima mostra personale in Italia dell’artista americana Sarah Braman: Lay Me Down. Quattro sculture, di cui una concepita e realizzata appositamente per il MACRO, indagano e raccontano desideri nascosti e inaspettati del nostro mondo attraverso la luce, il colore e la materia. Dalla collaborazione tra MACRO e Fondazione DEPART nasce il progetto “Lay Me Down”, una personale dedicata alla scultrice statunitense Sarah Braman, che presenta quattro recenti opere, di cui una concepita dall’artista specificatamente per gli spazi del museo e realizzata durante la sua permanenza a Roma.

Le sculture della Braman sono spesso assemblaggi di oggetti di uso comune, come mobili, ferrovecchio e talvolta parti di carrozzerie, che nella loro imponente concretezza rappresentano per l’artista monumenti alle persone che amo, alla gioia e alla confusione che provo per l’essere viva. L’opera prodotta appositamente per il MACRO sarà composta da acciaio, plexiglas, oggetti di seconda mano e pittura.

Arte contemporanea italiana? Cosa?

Le follie dell’imperatore Vittorio Sgarbi che lascia definitivamente il Padiglione Italia alla  Biennale di Venezia (seguirà un nostro dettagliato reportage alle 15:00 di oggi), i musei che crescono a dismisura e non hanno i fondi necessari al minimo sostentamento, gli stessi musei che vengono lodati o criticati per le loro programmazioni, le roventi critiche all’artista italiano che espone all’estero, le invidie per il curatore italiano che organizza una mostra all’estero, le ripicche tra colleghi, i premi ed i festival, l’andamento di una fiera, le vendite e le quotazioni.

Ed ancora: se è vero, come ha fatto giustamente notare Artribune, che Vittorio Sgarbi è il re dei risultati su Google, è anche vero che questi risultati sono relativi alla sezione italiana del celebre motore di ricerca. Ma c’è di più:  anche a legger centinaia di magazine internazionali non si corre il minimo rischio di trovare tracce di italianità, tranne che per i soliti Vezzo Vezzoli™ o Cattelan.

Andro Wekua al Castello di Rivoli

Il Castello di Rivoli presenta dal 2 maggio al 4 settembre 2011, il progetto speciale di Andro Wekua (Suhumi, Georgia, 1977) appositamente concepito per il Museo e realizzato grazie al sostegno della Fondazione Arte Moderna e Contemporanea CRT. Nelle prestigiose sale storiche del Castello di Rivoli i visitatori entreranno in contatto con il raffinato immaginario del giovane artista georgiano tra collage, dipinti, sculture di cera e un modello architettonico. Quest’ultimo è ispirato ad un edificio di Suhumi, sua città natale, dalla quale fu costretto a fuggire nel 1990 insieme alla famiglia, a causa degli episodi di pulizia etnica che sconvolsero la regione dell’Abkhazia.

Come afferma Andrea Bellini, curatore della mostra “Suhumi, città oggi semiabbandonata, è per Andro Wekua una città miraggio, una città irraggiungibile, un luogo onirico e del ricordo. Queste memorie – nel lavoro dell’artista – prendono forma anche grazie a collage raffinati, ad immagini in movimento, e ad una inquietante serie di sculture figurative, in ceramica o cera, di bambini e di adolescenti, figure che sembrano provenire da una zona remota del sogno e del trauma”.

Dopo Ai Weiwei anche Zhu Rikun è K.O.

Ironia della sorte in questi giorni a Pechino si è aperto un summit dove i rappresentanti del governo cinese incontreranno con quelli del governo americano per discutere della situazione delle libertà individuali nel paese (ammesso che ce ne siano). Inutile dire che in agenda ci sarà anche il caso Ai Weiwei, anche se le associazioni per i diritti umanitari hanno etichettato questo genere di incontri come “inutili ed ipocriti, discussioni diplomatiche dove non si ottiene nulla di concreto”.

Comunque sia il mondo della cultura (e non solo) si è già mobilitato per salvare il coraggioso artista e nuove manifestazioni si sono svolte ad esempio ad Hong Kong (che ha raccolto 2.000 persone). Nel mentre un’altra storiaccia proveniente sempre dalla Cina e legata al mondo della creatività è balzata nelle ultime ore agli onori della cronaca.

Lo Spam si trasforma in arte contemporanea

Nel dorato mondo dell’arte contemporanea c’è posto per tutti e chiunque può inventarsi artista da un momento all’altro. Ovviamente bisogna conoscere le persone giuste, altrimenti si rischia di rimanere nell’anonimato in eterno. A riprova di ciò che stiamo affermando basti guardare la subitanea parabola ascensionale di Thierry Guetta (meglio noto al mondo della street art come Mr. Brainwash) che da gregario di suo cugino Invader, di Banksy e di Shepard Fairey ha di punto in bianco catalizzato l’attenzione con la sua prima e gigantesca mostra personale Life is Beautiful a Los Angeles nel 2008.

Certo non è detto che questi miti del momento siano destinati a durare nel tempo ma lasciamo ai posteri l’ardua sentenza. Comunque sia, parlando di inventarsi artisti, oggi anche gli hacker possono essere considerati dei creativi. A sdoganarli ci ha pensato James Howard, classe 1981, che in questi giorni è ospite della mostra Newspeak:British Art Now (in visione fino al prossimo 30 aprile), organizzata da Saatchi, vale a dire colui che l’ha scoperto.

World Press Photo 2011 a Roma

Giovedì 28 aprile 2011 alle ore 18.00, inaugura a Roma presso il Museo di Roma in Trastevere, la mostra World Press Photo 2011 che rimarrà aperta al pubblico dal 29 aprile al 22 maggio.  La mostra è promossa dal Comune di Roma, Assessorato alle Politiche Culturali e Centro Storico – Sovraintendenza ai Beni Culturali, in collaborazione con Contrasto e la World Press Photo Foundation di Amsterdam. I servizi museali sono di Zètema Progetto Cultura.

Il Premio World Press Photo è uno dei più importanti riconoscimenti nell’ambito del Fotogiornalismo. Ogni anno, da 54 anni, una giuria indipendente, formata da esperti internazionali, è chiamata a esprimersi su migliaia di domande di partecipazione provenienti da tutto il mondo, inviate alla World Press Photo Foundation di Amsterdam da fotogiornalisti, agenzie, quotidiani e riviste. Tutta la produzione internazionale viene esaminata e le foto premiate che costituiscono la mostra sono pubblicate nel libro che l’accompagna. Si tratta quindi di un’occasione per vedere le immagini più belle e rappresentative che, per un anno intero, hanno accompagnato, documentato e illustrato gli avvenimenti del nostro tempo sui giornali di tutto il mondo.

Fallo o non fallo, è davvero questo il dilemma? – Simon Fujiwara da Giò Marconi

Mi ha sempre affascinata il meccanismo che consente ad un’opera di arrivare allo spettatore: l’artista nel momento in cui mette in mostra un proprio lavoro deve accettare che ne conseguirà una lettura sul cui esito non può esercitare reale controllo.In quale misura è lecito lasciare libertà a chi guarda e in quale invece è necessario fornire degli strumenti affinché il proprio messaggio arrivi il più chiaro possibile, questo dipende molto dal singolo.

Simon Fujiwara ha in qualche modo ovviato a questa problematica creano un particolare mondo immaginifico in cui lo spettatore viene inserito e redarguito a proposito del soggetto. L’hype che si è creato intorno al suo nome, i premi vinti nell’ultimo anno, la sua partecipazione alla Biennale, la sua giovane età e lo scandalo che sembrerebbe produrre il suo operato: erano questi gli elementi che mi hanno incuriosita ad andare da Giò Marconi per vedere Phallusies di Simon Fujiwara.

Francesco Padovani – The soul of my soul

Venerdì 29 Aprile 2011 presso la galleria CHANGING ROLE di Napoli, inaugura la mostra “The soul of my soul”, personale di Francesco Padovani, a cura di Guido Cabib. L’artista presenta una nuova serie di immagini espressamente prodotte e pensate per gli spazi di Changing Role. Attraverso un ingegno manuale, ossia una superficie riflettente di fogli di alluminio, Padovani ritrae le figure, prevalentemente femminili.

Gli scatti di Francesco Padovani, con grande raffinatezza, scavano e mostrano le pulsioni dell’inconscio dell’essere femminile con occhio maschile, ma con una sensibilità del tutto femminile, e questo è già inusuale. Egli mostra l’anima femminile nel suo profondo, nella parte più amata dall’uomo, quella a cui da sempre esso anela, quel misto di grazia, erotismo e protezione.

vessel inaugura le sua attivita’ culturale ospitando 3 progetti

vessel inaugura le sua attività culturale ospitando presso i suoi spazi tre progetti ideati e realizzati da giovani artisti e curatori ed aperti al pubblico. Un ciclo di quattro giornate, dal 26 al 29 Aprile 2011 dedicate alla ricerca artistica, all’approfondimento condiviso di tematiche storiche, antropologiche, socio-politiche ed urbane con la presenza di esperti dei vari ambiti di ricerca.

Il primo incontro è una giornata di studi diretta da Nico Angiuli dal titolo La danza degli attrezzi, che avrà luogo martedì 26 presso gli spazi di vessel. La ricerca di Angiuli, che trova in questo progetto in collaborazione con vessel un momento di approfondimento allargato, è incentrata sul “rapporto tra tecnologia e agricoltura, tesa alla videoarchiviazione della mutevole gestualità dei contadini, analizzandola dal tempo antico sino ai giorni nostri”. Mercoledì 27, seguirà il progetto di Rosa Jijon, Il litorale, l’ultima frontiera. L’esercizio che proporrà l’artista ecuadoriana di adozione romana è “di raccolta dati, in chiave antropologica, con l’obiettivo di dare uno sguardo alle frontiere interne ed esterne” di Bari, città/porto, ma anche confine litorale. I partecipanti saranno invitati da Jijon a riflettere sui confini culturali, geografici, istituzionali della loro città.

What is a human being? – VIR Open Studio @ ViaFarini In Residence

Dovete sapere che in via Farini, a Milano, c’è proprio tutto: c’è il Brico, c’è il negozio Tutto a un euro e più, ci sono almeno una trentina di kebabbari e poi ci sono gli appartamenti dove l’associazione ViaFarini ospita le residenze d’artista. Un paio di settimane fa mi son fatta coraggio e sono andata a vedere cosa ha creato la congiuntura di questi luoghi: VIR Open open per Memories and encouters, il ciclo espositivo iniziato nel 2009 dell’operato degli artisti in residenza.

Per tre mesi Giorgio Guidi, Jaša e Matthew Stone hanno vissuto in appartamenti adiacenti e condiviso lo studio al piano terra della palazzina al numero 35 di via Farini. Il risultato? Un’esposizione fuori dagli schemi, irriverente e coinvolgente. Tre artisti che conducono ricerche estetiche diametralmente opposte, ma accomunati  dall’interesse per il rapporto che si crea tra opera e spettatore. E qui ci sarebbe da soffermarsi, perché, se tre ragazzi nati tra il ’78 e l’82, e non credo siano casi isolati, pur percorrendo strade diverse puntano allo stesso bersaglio, forse qualcosa vuol dire.