Il bello della crisi

Di crisi ne abbiamo parlato molto, ne hanno parlato in tanti. Giornali, webmagazines e blogs di tutto il mondo hanno lasciato scorrere fiumi di nero inchiostro sopra questo periodo di recessione dell’arte, gettando appassionati e addetti del settore nel più profondo sconforto. Eppure anche in questo tetro frammento di tempo in cui le gallerie vendono meno, le istituzioni museali tagliano il personale e Sotheby’s non riesce a pagare i suoi movimentatori, ci deve esser per forza qualche nota positiva. Noi di Globartmag abbiamo provato ad analizzare i possibili giovamenti della crisi.

Per gli artisti e le gallerie: con meno vendite facili in giro si è costretti a focalizzare la propria ricerca sulla qualità. Ciò significa che la crisi attuerà una reale selezione naturale in cui il superfluo lascerà il posto al necessario elevando in tal senso i contenuti estetici, formali e filosofici di ogni opera d’arte e di ogni evento. In seconda battuta la chiusura di locali commerciali ed il successivo calo del prezzo degli immobili rappresenterà un ottimo investimento per gli artisti che sono ancora in cerca di uno studio a buon mercato (basti pensare a Soho, New York nel 1970) .

La crisi del quotidiano cartaceo

Finalmente il sorpasso tanto agognato è stato effettuato. Il 62% degli italiani è online e la loro fonte primaria di informazione non sono più i quotidiani cartacei bensì i social networks e i blogs. Diciamocelo,  tra sovvenzioni ai giornali, sprechi di carta con conseguenti disboscamenti, giornalisti sottopagati o non pagati affatto ed aumenti di prezzo ognuno di noi in cuor suo ha sempre sperato nel tracollo delle testate-dinosauro cartacee. Oggi la carta è superata, le notizie stampate arrivano eoni dopo che il fatto è successo mentre la rete permette l’informazione in tempo reale, che dire poi della fruizione di immagini e video su un determinato fatto, tutte caratteristiche che non è possibile riprodurre su carta. Smartphone e Tablet sono quindi il futuro dell’informazione,  ed i nostri cari quotidiani sono in netto ritardo come spesso succede ai dinosauri italiani. Anche chi ha scelto di spostare tutto online procede comunque in netta differita rispetto ai social networks. Vediamo cosa ne pensa la rete…

A Los Angeles vogliono la testa di Jeffrey Deitch

Ulteriore svolta al negativo nel giallo MOCA. Come ben ricorderete il museo è stato negli ultimi giorni al centro giorni di numerose polemiche dopo l’ingiusto licenziamento di Paul Schimmel, curatore capo del museo in carica da oltre 22 anni. Schimmel ha innescato una girandola di eventi che fanno capo ad un unico responsabile, vale a dire Jeffrey Deitch.

La scellerata gestione di Deitch, che di fatto ha trasformato il MOCA in una galleria privata ultrapop, non accenna a cambiare di una virgola.  Il museo losangelino ha infatti già messo in programma una mostra chiamata Fire in the Disco, vale a dire una retrospettiva ragionata sulla storia della disco couture sul suo impatto sull’arte.

Quando il custode mette in ginocchio il museo

Il 14 dicembre del 2011, Repubblica aveva redatto un interessante articolo sulla Galleria Borghese di Roma che iniziava con le parole di un cartello affisso all’entrata della prestigiosa istituzione: “La mostra è parzialmente visitabile per carenza di personale”. Già, il problema era il mancato pagamento di una parte degli stipendi del personale di custodia, un “dettaglio” che costrinse la Galleria a chiudere ben sei sale all’interno dei suoi spazi. Come se tutto questo non bastasse, lo scorso 31 luglio dalla facciata del museo si è staccata parte dello stemma recante i simboli dei Borghese.

Assieme allo stemma il museo ha perso il bar, l’impianto di climatizzazione, l’ascensore ed i servizi di guardiania. Insomma, da qui alla chiusura definitiva poco ci manca. La Repubblica ci informa inoltre che anche Palazzo Barberini rimarrà chiuso ogni domenica per il medesimo motivo, non ci sono fondi per la vigilanza. I costi della guardiania sono un notevole peso anche per altri musei italiani che spesso e volentieri faticano a trovare fondi necessari a coprire i servizi per tenersi in vita.

La nuova moda della galleria d’arte è non essere una galleria d’arte

 

C’era una volta la galleria d’arte contemporanea in pieno centro, vale a dire ubicata nel quartiere più sofisticato e ricco della città. Una galleria bene in vista, situata in una strada dove solitamente passano ricche signore annoiate e rampolli d’alta società. Fino a poco tempo prima della crisi la nostra galleria andava benone e riusciva anche a partecipare a molte fiere d’arte contemporanea sparse per l’italico stivale.

I suoi artisti vincevano premi importanti ed il sistema li coccolava con le sue finte speranze. In seguito sono giunti i tempi delle vacche magre e la nostra galleria, per sbarcare il lunario, ha deciso di spostarsi in un’area periferica, uno di quei quartieri un tantino  popolari che qualcuno definisce art district senza nemmeno sapere perché.

Alcune note sparse sulla crisi di governo e sul declino della cultura

Con il bipolarismo in lento disfacimento e con lo spettro delle elezioni anticipate mi viene da pensare ad altri 12 mesi di totale agonia per il mondo della cultura (e non solo). Ci vorranno nuove iniezioni di fondi e tutte le forze dello stato saranno concentrate sulla macchina elettorale. Da li in poi bisognerà cominciare a ricostruire la nostra cultura ma intanto salteranno cordate, cambieranno vertici dei musei, spariranno manifestazioni che saranno rimpiazzate da altre (di parte), gli stanziamenti per eventi e quanto altro dovranno essere ridistribuiti. Praticamente si verificherà ciò a cui stiamo assistendo da ormai diverso tempo: l’immobilità.

La nostra parabola non è  discendente, essa è in perfetta stasi e non è peccato definire la situazione della cultura italiana come una grande parentesi di vita di ciò che è morto, muoventesi in se stessa. Non ci vuole un genio per comprendere che se questa strada sarà perseguita anche da un futuro governo, l’immobilismo verrà ricostituito dalla posizione stessa che pretende di combatterlo.

Hugh Grant e Warhol, una sbornia da capogiro

Ebbene è risaputo che le stars del cinema sono abituate alle spese pazze ed è ancor più noto che negli ultimi anni l’arte contemporanea è divenuta un vero e proprio culto per le celebrità che non si frenano dallo spendere cifre da capogiro per accaparrarsi questa o quell’opera in grado di alimentare vanità ed esclusivismo, il tutto condito con un pizzico di ostentata cultura che non guasta mai.

Oltre al gruppetto (capitanato da Brad Pitt e Madonna) di stars che colleziona abitualmente arte, ogni tanto qualche celebre volto dello spettacolo decide di investire volontariamente nella creatività, cosa che non ha fatto Hugh Grant che ha involontariamente acquistato un’opera spendendo un patrimonio. Il famoso attore inglese ha infatti confessato di essersi ubriacato ed aver successivamente chiesto ad un suo assistente di fare un’offerta per un Andy Warhol raffigurante Liz Taylor che nel frattempo faceva parte di un lotto all’asta da Sotheby’s.  L’attore completamente sbronzo si è aggiudicato l’opera per la vertiginosa cifra di 2 milioni di euro.

Crisi: Simon de Pury canta e Rebecca Smith chiude

Simon de Pury e Rebecca Smith, due storie dissimili legate dall’arte con due differenti destini. Due aspetti della crisi economica internazionale che raggiunge il mondo dell’arte con finali differenti ed inaspettati. Da un lato le case d’asta che dopo un breve periodo di indecisione sono ripartite alla grande, livellando un poco le quotazioni pur sempre alte e macinando dollari e sterline.Dall’altro capo del filo le gallerie, in special modo quelle votate alla sperimentazione, che hanno accusato il colpo ritirandosi dal mercato e chiudendo definitivamente i battenti.

Simon De Pury, leader incontrastato della casa d’aste Phillips de Pury ha sedi sparse in tutto il mondo e lo scorso ottobre ha totalizzato un bacino di vendite di 60 milioni di sterline, bottino di tutto rispetto aiutato dalla vendita dell’opera Year of the Boar, di Jean Michel Basquiat che ha totalizzato la bellezza di 1.105.250 sterline.

Sull’onda di questi successi Simon de Pury non ha certo esitato a manifestare la sua gioia utilizzando i suoi soldi per uno scopo assai buffo, ma si sa che le persone ricche fanno cose strane con i loro soldi. Pury ha infatti prodotto un video musicale sulle note di If I Had a Hammer, nota in Italia come Datemi un Martello e cantata da Rita Pavone.

Vinco il concorso e sconfiggo la crisi

Abbiamo parlato spesso di crisi nel mondo dell’arte con tagli ai musei, aste che non raggiungono le cifre da capogiro precedentemente stimate, mentre molti concorsi artistici propongono invitanti premi costituite da vincite milionarie. Insomma la storia che Globartmag ha deciso di raccontarvi racchiude tutti gli argomenti da noi trattati negli ultimi tempi.

Dieci mesi fa Aaron Heideman, un artista 29enne dell’Oregon, ridotto sul lastrico dalla crisi economica che ha travolto gli Stati Uniti si è trovato nel giro di poco tempo a dormire nel suo furgone, l’ultima proprietà rimastagli. Invece che stare fermo, Aaron ha deciso di investire gli ultimi soldi in carburante e di attraversare gli Usa, raggiungendo tutti i luoghi dove la recessione ha fatto più danni. Ha già attraversato 20 stati, con un obiettivo: incontrare le persone che come lui avevano perso tutto, o quasi, e farsi raccontare le loro storie.

Crisi anche per i servizi all’interno dei musei

La crisi mette in difficoltà anche i musei, o meglio i servizi che affiancano le nostre più importanti gallerie darte: librerie, caffetterie, biglietterie e così via. A lanciare l´allarme è stato ieri il Sole-24 Ore con una analisi del fenomeno in tutta Italia che parlava di un calo medio tra il 3 e il 5 per cento degli incassi di questi servizi nei primi mesi del 2009.

A sentire però gli operatori torinesi, la crisi in città è molto più forte e potrebbe mettere addirittura in discussione la sopravvivenza di questi servizi nei nostri musei già a partire dal prossimo anno. «Sì – conferma infatti Vito Strazzella che gestisce i bar di Palazzo Madama e Palazzo Reale – queste difficoltà le avvertiamo, eccome, da alcuni mesi. Il calo di fatturato? Molto più di quanto afferma il Sole, direi tra il 25 e il 30 per cento». Un calo che riguarda, spiega, sia Palazzo Madama dove il bar è accessibile solo ai visitatori del museo, che Palazzo Reale dove invece è aperto a tutti.

Il direttore del MoCA di Hong Kong scappa alle Hawaii

Il fondatore del neonato MoCA Museum of Contemporary Art China di Hong Kong ha abbandonato il paese lasciando un enorme buco finanziario ed una montagna di debiti. Jeffrey du Vallier d’Aragon Aranita, pittore e fondatore dell’istituzione no profit aveva annunciato nel 2007 di essere in procinto di stabilire un network di MoCA no profit in tutta la Cina con programmazioni e collezioni in comune.

Gli esperti d’arte sulle prime si dimostrarono scettici sulla riuscita dell’ambizioso progetto ma il 3 ottobre del 2008 il primo MoCA China ha aperto i battenti in uno shopping mall di Hong Kong con la bellezza di 7.500 metri quadrati di superficie espositiva. Dopo tre mesi e tre mostre il MoCA ha però esaurito i fondi chiudendo i battenti lo scorso 19 gennaio. Come afferma il direttore artistico Szewan Leung, direttore artistico e compagna di Aranita, lo stesso sedicente imprenditore si sarebbe trasferito momentaneamente alle Hawaii per ricevere cure mediche proprio poche settimane dopo l’apertura del museo.

la crisi attacca i musei londinesi

La crisi economica non arresta il suo potere distruttivo. Dopo chiusure di gallerie in tutto il mondo e una tempesta di licenziamenti negli staff dei musei, un’altra disastrosa notizia è in arrivo dal Regno Unito. Come molti di voi sapranno la stragrande maggioranza dei musei britannici tra cui il Tate, la National Gallery ed il British Museum sono completamente gratuiti.

Ciò è possibile grazie all’Art Fund che rende possibile un miracolo impensabile in Italia, quello di dare a milioni di visitatori provenienti da tutto il mondo la possibilità di ammirare le meraviglie dell’arte senza spendere nulla. Pochi giorni fa è però cominciata a girare la notizia che a causa della crisi l’entrata gratuita ai musei potrebbe essere sostituita dal classico biglietto a pagamento.