Inattese Vedute Svelate da Esther Stocker

Percorrendo velocemente e distrattamente le vie dello storico Rione Ludovisi l’occhio è catturato da un’insolita vetrina, dove è allestita un’installazione ambientale costituita da innumerevoli fili neri generati dalla scritta ‘In defence of free forms ’ (‘In defence of free forms – part 2’, tecnica mista, installazione ambientale, 2011), titolo della prima personale di Esther Stocker (Silandro, 1974 – vive e lavora a Vienna) presso OREDARIA Arti Contemporanee.

Già nota nella capitale per il suo recente intervento al MACRO (Destino comune), Esther ha esordito alla fine degli anni Novanta con alcuni dipinti astratti in cui segni geometrici e griglie ortogonali si sovrappongono attraverso l’uso di tre tinte: bianco, grigio e nero. Composizioni che richiamano il concetto di ‘camouflage’ con lo scopo di esplorare le facoltà percettive dell’uomo. Una poetica che pone le proprie radici nelle esperienze della Op Art, rivisitandole e oltrepassandole. Il suo camuffamento, infatti, si svela tramite irregolarità che caratterizzano i suoi lavori, anomalie create per asserire che nulla è prevedibile.

JANDEK – ROME SUNDAY

Motelsalieri di Roma ospiterà dal 19 al 23 febbraio la prima mostra al mondo di Jandek. L’artista texano, conosciuto finora come originale musicista, espone 7 opere fotografiche che testimoniano quanto complesso e profondo sia il suo progetto poetico. Jandek, sara’ presente il giorno dell’inaugurazione e si esibira’ in un concerto acustico con chitarra e voce per un pubblico ristretto.

Jandek: si è dubitato persino della sua esistenza. Di lui si conosceva un recapito, una casella postale registrata con il nome Corwood Industries e una lunga serie di album in vinile di cui è unico responsabile; musiche, testi e immagini, interprete vocale e musicista. Questi dischi si possono ordinare scrivendo a quel fermo posta e la Corwood Industries si occupa di spedirteli a casa, i costi di invio sono a loro carico. Ma la cosa più fuori dal comune accade quando si riceve il pacco: la musica contenuta e le immagini delle copertine sono così straordinarie da lasciarti sbigottito: Jandek è nel mezzo di un viaggio unico e ci manda questi dischi che sono come cartoline postali.

Nuova Gestione, un quartiere, sei artisti, cinque spazi sfitti

L’arte contemporanea diventa protagonista nel quartiere romano del Quadraro, grazie alla rivalutazione di spazi dismessi e in disuso. Il quartiere sarà infatti il cuore di Nuova Gestione, progetto ideato e curato da Sguardo Contemporaneo, che prevede interventi site specific di sei giovani artisti italiani all’interno di cinque locali sfitti della zona: Marco Bernardi, Margherita Moscardini, Luana Perilli, Lino Strangis, Elisa Strinna e Angela Zurlo sono chiamati a confrontarsi con il tessuto urbano e sociale di un luogo ricco di storia ma esposto al degrado urbano come il Quadraro. I lavori nati da questa esperienza verranno tutti inaugurati contemporaneamente mercoledì 8 febbraio.

L’obiettivo principale è contribuire al miglioramento di un’area mortificata da luoghi abbandonati, riattivandoli e offrendone una versione inedita attraverso una proposta culturale innovativa. Nuova Gestione nasce dall’osservazione degli spazi commerciali in disuso che stanno popolando sempre di più i quartieri di Roma: quante volte sulle vetrine dei negozi ci siamo imbattuti nei cartelli con la scritta ‘Affittasi’ o ‘Vendesi’? Passeggiando per la città, dal centro alla periferia, ci si accorge di questa situazione, spesso all’origine di scenari desolanti.

Il Guggenheim. L’avanguardia americana 1945–1980

Il Guggenheim. L’avanguardia americana 1945–1980 illustra gli snodi principali dello sviluppo dell’arte americana in un periodo di grandi trasformazioni nella storia degli Stati Uniti: un’epoca segnata da prosperità economica, rivolgimenti politici e conflitti internazionali, oltre che da progressi sostanziali in ambito culturale.

La mostra che inaugura il 7 febbraio a Palazzo delle Esposizioni di Roma prende le mosse dagli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale, quando gli Stati Uniti si affermarono come centro globale dell’arte moderna e l’ascesa dell’Espressionismo astratto iniziò ad attrarre l’attenzione internazionale su una cerchia di artisti attivi a New York. A partire da quel momento, nell’arte americana si assiste a una straordinaria proliferazione delle pratiche estetiche più diverse: dall’irriverente entusiasmo della Pop art per l’immaginario popolare fino alle meditazioni intellettualistiche sul significato dell’immagine che caratterizzano l’Arte concettuale negli anni sessanta; dall’estetica scarnificata del Minimalismo alle sgargianti iconografie del Fotorealismo negli anni settanta. Pur producendo opere profondamente diverse tra loro, tali movimenti furono accomunati da un impegno sostanziale ad indagare la natura intrinseca, il senso e le finalità dell’arte.

Jean-Marc Bustamante all’Accademia di Francia a Roma

Dal 5 febbraio al 6 maggio 2012, l’Accademia di Francia a Roma – Villa Medici invita Jean-Marc Bustamante (nato nel 1952) in una mostra che vuole presentare una selezione del suo lavoro degli ultimi trent’anni incentrata sulla nozione di luogo. A questa selezione, l’artista ha deciso di associare una scelta di opere (quadri e disegni) del pittore olandese Pieter Jansz Saenredam (1597 – 1665) e ha proposto di insistere su una relazione attenta con gli spazi ideati da Balthus (1908 – 2001) quando era direttore di Villa Medici, dal 1961 al 1977, attraverso la creazione di una serie di quattro Pitture (Peintures)  per il Grand Salon.

Alla fine del 1970, Jean-Marc Bustamante è stato uno dei pionieri della fotografia a colori su grande formato. La sua serie, paradossalmente intitolata Tableaux (Quadri) portava un nuovo modo di creare e pensare la fotografia, praticata anche dai fotografi della Scuola di Düsseldorf e da quelli di Vancouver. Dall’inizio degli anni ’80 ha ampliato il suo lavoro passando dalla fotografia, che comunque continua a utilizzare e a mettere in mostra, alla scultura, alle istallazioni e più recentemente alla pittura (rappresentata attraverso serigrafie su pannelli di plexiglas di dimensioni monumentali).  

CAMERE XVII – Des Mondes de Poche

Des Mondes de Poche/Mondi tascabili è nato da una serie d’incontri in appartamenti romani e parigini. Un’avventura umana per una ridefinizione politica delle piccole comunità che incoraggiano il concetto di condivisione e la qualità degli incontri.

La prima proposta per Camere è un modellino di Yona Friedman & Jean-Baptiste Decavèle, La petite ville spatiale, realizzata appositamente per la mostra. Si tratta di una riattualizzazione di una delle idee chiave di Yona Friedman: La Città spaziale, esempio e teoria architettonica che rimanda al concetto stesso del progetto Camere. Uno spazio che non è costruito, riempito o modificato, ma reso disponibile all’uso.Fin dal 1958, Yona Friedman crea i principi della Città spaziale, la più importante applicazione dell’architettura mobile, una struttura su palafitte in cui si alternano volumi abitati e vuoti formando dei “quartieri” dove si distribuiscono liberamente gli alloggi. La sopraelevazione permette a queste strutture di svilupparsi al di sopra di siti indisponibili, di aree non edificabili o già edificate e di terreni agricoli.

Davide Dormino – L’origine della trama

 

 

Davide Dormino realizza una scultura per raccontare l’evoluzione di un processo creativo: da artigiano ad artista. L’opera racconta l’origine e lo sviluppo del gesto creativo che nasce da un disegno preciso e si sviluppa fino a distruggere l’immagine di partenza. Il lavoro cerebrale e misurato dell’artigiano che esplode nella follia passionale dell’artista. La messa in scena del gesto, dell’invenzione di un metodo ordinato che genera una trama e poi un trauma: la sintesi del momento in cui interviene l’estro e disordina tutto.
All’interno dello spazio espositivo, volutamente piccolo, un ambiente unico dove si entra in gruppi secondo un ritmo preciso scandito dal sottofondo musicale dell’opera, da una lastra di ferro alta quasi tre metri ci investe un flusso di fili metallici. Una cascata che si sprigiona fino al pavimento e corre fino all’esterno dello spazio stesso.

URSULA MUMENTHALER – RICONQUISTA

Lo studio d’arte contemporanea Pino Casagrande di Roma inaugura il 26 gennaio per la prima volta nei suoi spazi l’artista svizzera Ursula Mumenthaler. In mostra una selezione di oltre 20 fotografie che testimoniano i diversi lavori sullo spazio risalenti alla metà degli anni novanta, fino alla recente serie berlinese “Eingezäunte Brachflächen in Berlin” del 2007.

Lo spazio e la luce sono le linee guida essenziali per entrare nei lavori di Ursula Mumenthaler che a partire da interventi pittorici all’interno di edifici industriali dismessi come fabbriche, garage, sanatori e hotels, traccia perimetri geometrici che risolve in campiture di colore monocrome, poi racchiuse in un’unica prospettiva fotografica, quella frontale dell’osservatore. Da luogo come spazio vissuto in prima persona, a luogo come habitat universale, l’artista sentirà poi il bisogno di allontanarsi dalla geometrizzazione della forma come pratica pittorica, per cercare la stessa nell’edificio in quanto architettura. Da qui la serie “Agra” presente in mostra, che rivela la simmetria della forma nel suo naturale stato di disfacimento edile.

ARIEL OROZCO – DETRÁS DEL CRISTAL

La seconda personale di Ariel Orozco che inaugura il 9 febbraio alla Federica Schiavo Gallery di Roma consiste in una riflessione essenziale e dinamica su alcune delle contraddizioni, anomalie e paradossi che caratterizzano la nostra esistenza quotidiana e la nostra realtà neoliberale. Confondendo i binari della abbondanza con quelli della scarsità, così come quelli della supremazia con quelli dell’impotenza, la mostra trasmette un senso di suspense proprio della precarietà, suscitando un effetto al contempo comico e inquietante.

Questioni di fragilità, di un lusso decaduto e di un’antica abbondanza, sono affrontate ironicamente in Untitled, una scatola di cioccolata i cui cioccolatini sono totalmente stati consumati, così come in Untitled, una bottiglia di champagne dal vetro così pieno di crepe che sarebbe davvero incauto usarla. Paradossi su carenza e abbondanza assumono un ulteriore significato in Untitled (Sed). L’opera consiste in un’installazione di grandi dimensioni composta da mille bicchieri di vetro colmi di sabbia e disposti sul pavimento della prima stanza a comporre tante pozzanghere. In questo caso, la totale assenza di acqua è controbilanciata dall’abbondanza di qualcos’altro, inutile ma attraente: la sabbia. Allo stesso modo, la vicina Untitled (Problema) complica e semplifica le cose.

Ludo – Nature’s Revenge

Wunderkammern presenta per la prima volta in Italia il giovane urban artist Ludo: una natura bellissima e minacciosa sfida l’uomo dai muri della città. In mostra a Roma dal 21 Gennaio a Wunderkammern e per la prima volta in Italia, Ludo è un giovane artista francese tra i protagonisti più innovativi e promettenti nel panorama dell’urban art.
Interviene nelle più grandi città del mondo (Parigi, Londra, Zurigo, Oslo, New York, Los Angeles, Chicago) con opere surreali e spiazzanti perfettamente integrate nel contesto in cui le posiziona. Le creature di Ludo nascono da rassicuranti scale di grigi unite al verde acido colato sulla carta e lanciano un messaggio di umiltà per la società contemporanea. Eleganti e vendicative, le creazioni dell’artista appartengono alle serie Nature’s Revenge e Bugs: piante e insetti disegnati con precisione botanica che si sono evoluti in ibridi meccanici, chimici e tecnologici al fine di difendersi dalle aggressioni umane.

Un’inconsueto connubio tra arte e giustizia sociale alla Nomas Foundation

Archivio o Fondazione? E’ questa la domanda che lo spettatore si pone varcando la soglia della Nomas Foundation di Roma, nelle cui sale espositive si respira un’inconsueta atmosfera crepuscolare emanata da The Veterans Book Project. Non tele appese al muro ma sedie e scrivanie su cui sono adagiate lampade da tavolo, penne e libri. Ideatrice di tutto ciò è Monica Haller (Minneapolis, 1980), artista visiva laureata in Processi di Pace e Studi sui Conflitti presso il College of St. Benedict. Dopo aver frequentato un Master in Arti Visive presso il Minneapolis College of Art and Design, l’americana ha deciso di concentrare la sua ricerca sul tema della giustizia sociale.

La mostra, a cura di Stefano Chiodi, consiste nella realizzazione di una Biblioteca ovvero una raccolta di trenta testi prodotti in collaborazione con i veterani USA delle guerre in Iraq e in Afganistan, i loro familiari e semplici civili. Esemplare è il racconto di una donna irachena che ha perso le gambe a causa di un missile atterrato ‘per sbaglio’ nel suo letto. Sono loro i veri protagonisti, coloro che narrano un vissuto terribile, fatto di tragedie e traumi incancellabili. Nel corso di un anno si sono svolti otto workshop durante i quali la statunitense, oltre a svolgere i compiti di redattrice e grafica (raccogliendo le testimonianze, indirizzando e aiutando gli ‘scrittori’ nell’editing), ha conosciuto in prima persona le vittime di tali ingiustizie e ha ascoltato le loro esperienze disumane diventandone una teste. Nascono, così, volumi pensati come stratificazioni di indescrivibili sensazioni rese tangibili attraverso un perfetto collage di lettere, fotografie, e-mail e annotazioni impresse nei loro diari personali.

Montaggio delle Attrazioni

Il 13 gennaio inaugura alla Galleria L’Attico di Roma la mostra Montaggio delle Attrazioni. Dal comunicato stampa: “Trovare il titolo a una mostra o a uno spettacolo è un’incombenza che mi tocca, piacevole rovello, alcune volte l’anno. Il giusto titolo, calzante, vuole i suoi tempi per rivelarsi. Può darsi che venga alla luce di getto, vena carsica snidata dal mio bastone appuntito di rabdomante. Più spesso, però, l’idea buona non sgorga subito. E’ stato questo il caso di Montaggio delle attrazioni. Così definì il cineasta russo Sergej Ėjzenštejn il suo processo di assemblaggio delle immagini filmiche disposte in sequenza. E per l’appunto cos’è questa mostra, fatta salva la diversità strutturale del cinema, se non una ricerca di relazione tra le immagini, nella fattispecie dipinti e sculture? “Ecco, la mostra è montata” ho come sempre mormorato tra me e me alla fine dell’allestimento. In quel momento, sgominando gli altri titoli in lizza, mi è scattata l’associazione con Ėjzenštejn.

È pur vero che il modo di allestire le mostre non può essere più lo stesso dopo il consolidamento dell’installazione come nuova forma d’arte. Essa è sì la provvidenziale foglia di fico, il comodo escamotage cui ricorrono tanti sedicenti artisti. Ma non si può negare che abbia nobilitato l’idea di spazio, elevato da mero contenitore a rango di opera d’arte, fondata sull’equilibrio d’insieme dei singoli elementi in gioco. In linea di principio è con questo spirito che allestisco spettacoli e mostre. Ed ora inoltriamoci nelle cinque sale espositive. Quella di Di Stasio è una vera e propria scatola ottica dove due pitture si fronteggiano: un gigantesco viandante nudo provvisto di bastone che sovrasta la città notturna, e lo stesso gigante divenuto lillipuziano, visto come attraverso un cannocchiale rovesciato. Il lavoro maniacalmente figurativo di Di Stasio è perfetto per gli illusionismi.

EDWARD THOMASSON – Find A Problem To Solve

Furini Arte Contemporanea di Roma inaugura il 21 gennaio la prima mostra personale  in Italia dell’artista britannico  Edward Thomasson (1985 – Staffordshire, vive e lavora a Londra) che include il video Find A Problem To Solve, 2008, e una serie di disegni dal titolo Voluntary Working Relationships, 2010-2011. Il lavoro di Thomasson si focalizza sul sistema dei rapporti fra gli individui in gruppo, spostando il punto di vista fra l’interno e l’esterno dei personaggi, muovendosi fra le menti e i corpi.

Attraverso un’accurata e critica osservazione del comportamento, Thomasson identifica espressioni del volto e pose specifiche e isola i movimenti degli individui in gruppo, processo che viene inizialmente esplorato nelle serie di disegni. In seguito queste osservazioni divengono il fondamento per i suoi video narrativi che, interpretati da attori, sono tutti riferiti a come gli individui partecipano alle attività di gruppo, intese come occasione per affermare a se stessi che c’è qualcosa oltre i limiti del loro stesso corpo. Anche la musica ha un ruolo centrale nella costruzione dei suoi video. Edward Thomasson scrive i testi per le canzoni che, eseguite dagli stessi attori dei video, diventano parte dell’azione.

Abbracciarsi con uno sconosciuto? è possibile con la performance dei Gao Brothers

Il 28 gennaio tutti a Piazza del Popolo a Roma, appuntamento alle ore 14:oo per partecipare alla performance collettiva THE UTOPIA OF HUGGING FOR 20 MINUTES dei Gao Brothers organizzata in occasione della mostra (Un) Forbidden City che inaugurerà il prossimo 24 gennaio presso gli spazi del MACRO Testaccio.

La performance  “The Utopia of Hugging for 20 Minutes” dei Gao Brothers comincia nel 2000 sulla spiaggia di Jinan, in Cina, un luogo desertico dove i fratelli riuniscono un centinaio di sconosciuti ed amici nell’atto di abbracciarsi per 15 minuti. In seguito, spostandosi in vari luoghi del pianeta, la serie, si sviluppa assumendo progressivamente la forma di un tableau vivant, di un diario intimo di incontri collettivi dove lo scambio di un gesto naturale come un abbraccio diventa improvvisamente artificiale quando scambiato con uno sconosciuto.