Blade Runner, il replicante Roy Batty e l’arte nostrana

Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi. …fondazioni che mettono studi a disposizione di giovani artisti a patto che siano artisti locali e poi cambiano il regolamento in corsa, ammettendo nomi a loro piacimento. Concorsi che premiano artisti protetti da prestigiose gallerie ed anche concorsi che pilotano le scelte dei componenti della giuria. Borse di studio concesse a pochi eletti. Quotazioni che salgono a proprio piacimento. Musei pubblici che architettano mostre ad hoc per le gallerie private. Vendite al di fuori delle tasse. Professionisti non retribuiti, assistenti di galleria senza previdenza sociale e contributi.

Recensioni sui magazine rigorosamente buoniste per non tradire la fiducia degli inserzionisti. Notizie “pagate” per farsi pubblicità. Mostre a pagamento, cataloghi a pagamento. Istituzioni che chiudono la porta in faccia ai talenti locali. Curatori che rubano i progetti ad altri curatori, artisti che infangano altri artisti, storici che sbraitano in tv.

Pasticcio Repubblica Ceca, Biennale di Venezia salva per un soffio

Le selezioni per il rappresentate del padiglione nazionale della Repubblica Ceca alla prossima Biennale di Venezia edizione 2011 sono sfociate in un enorme caos che fortunatamente si è risolto per il meglio. Tutto è iniziato quando Milan Knizak, direttore della National Gallery di Praga ha rifiutato le decisioni prese dal comitato di selezione indipendente. Knizak, in qualità di capo del più grande museo Ceco, ha solitamente il diritto di veto  sulle selezioni per la prestigiosa istituzione. Alcuni giorni fa il comitato di selezione indipendente aveva scelto l’artista Dominik Lang come rappresentante unico del padiglione nazionale.

Per tutta risposta Knizak (anche lui artista, comunemente associato al movimento Fluxus) è andato su tutte le furie ed ha fatto valere il suo diritto di veto bloccando di fatto le decisioni prese dal povero comitato. In un secondo momento l’uomo ha stilato una personale lista i artisti per la Biennale. Nella lista dei tre giovani artisti cechi scelti da Knizak figuravano i nomi di Vasil Artamonov, Alexey Klyuykov e Pavel Sterec.

Quando il regime crea il nuovo gruppo artistico

Per quanto riguarda la pubblicità il volpone dell’arte Jeffrey Deitch ha un talento molto particolare. In effetti da quando la gestione del MOCA di Los Angeles è passata a lui non si può certo dire che l’istituzione manchi di visibilità. Comunque sia la nota dolente è che questa visibilità proviene non da mostre di talenti acclamati ma da spiacevoli atti di censura.

Certo è che Deitch ha intenzione di esporre gente come Julian Schnabel e le fashion sisters Rodarte ma per ora il suo successo più grande sembra essere la polemica scaturita dalla sua censura al murale di Blu. Ovviamente è interessante notare che le costrizioni, i regimi, le censure o qualsiasi altra imposizione proveniente “dall’alto” non fanno altro che stimolare una reazione creativa.

Veterani e street artists manifestano contro il MOCA in favore di Blu

Sembrava che tutto si fosse spento assieme alle festività natalizie ed invece le polemiche scatenate dall’atto di censura operato da Jeffrey Deitch ai danni dello street artist italiano Blu si sono improvvisamente riaccese una manciata di giorni or sono. Come ben saprete il MOCA di Los Angeles aveva invitato Blu a creare un enorme murale sul muro nord della Geffen Contemporary. Ebbene l’opera era stata realizzata proprio davanti un sito dedicato ai caduti della seconda guerra mondiale e ad un ospedale dedicato ai veterani. Blu aveva realizzato delle bare con sopra dei biglietti da un dollaro al posto delle classiche bandiere che solitamente cingono il feretro dei caduti in battaglia.

Per evitare chissà quali polemiche e per non offendere la memoria dei veterani di guerra, Deitch (direttore del MOCA) aveva quindi deciso di cancellare il murale di Blu, contro il volere di quest’ultimo. Ma come avevamo detto all’inizio di questo articolo, le scuse di Deitch non sono servite a placare le ire di chi lotta per la creatività e per la libertà. Lo scorso 3 gennaio infatti una crew di street artists e di veterani di guerra si è raccolta davanti al parcheggio antistante al Geffen sfidando il freddo e Deitch in persona.

Risponde Blu: “Il MOCA mi ha censurato”

Continua l’affaire MOCA versus Blu. Come già avevamo scritto in un nostro precedente articolo, lo street artist italiano aveva recentemente realizzato un enorme murale sul muro nord della Geffen Contemporary. L’opera era stata realizzata proprio davanti un sito dedicato ai caduti della seconda guerra mondiale e ad un ospedale dedicato ai veterani. Blu aveva realizzato delle bare con sopra dei biglietti da un dollaro al posto delle classiche bandiere che solitamente cingono il feretro dei caduti in battaglia.

Jeffrey Deitch, novello direttore del MOCA, aveva quindi deciso di far rimuovere l’opera per non offendere la memoria dei caduti: “Non si fuma in faccia a qualcuno che ha il cancro ai polmoni”, così Deitch aveva motivato la sua scelta. Il direttore aveva inoltre annunciato che la rimozione era stata decisa di comune accordo assieme all’artista. Eppure a noi qualcosa non quadrava e proprio quando si cominciava a pensare che la storia fosse finita lì è partita la pesante risposta di Blu sulle pagine del Los Angeles Times.

Alcune riflessioni su Wojnarowicz e l’oscurantismo made in U.S.A.

Devo dire che la scelta della Smithsonian National Portrait Gallery di Washington D.C. di rimuovere l’opera A Fire in My Belly di David Wojnarowicz dalla mostra Hide/Seek mi ha lasciata decisamente stupefatta ed indispettita. Stiamo parlando di un artista (deceduto a soli 37 anni nel 1992) tra i più importanti e sensibili della sua generazione nonché di un uomo che usava l’arte come antidoto nei confronti delle costrizioni sociali e come traccia per testimoniare la sua esperienza umana.

Un ribelle proveniente dalla cultura popolare che aveva una sua poesia visiva fatta di sogni e immagini lisergiche. Per questo mi chiedo, non è compito del mondo dell’arte quello di combattere contro chi etichetta le opere come offensive e degenerate? Evidentemente no, evidentemente tutto ciò è solamente frutto di un discorso di facciata che va bene solo per mostrare alla gente un impegno sociale oggettivamente inesistente.

Cosa pensa il mondo dei nostri restauri

Come ben saprete nei giorni scorsi il premier Silvio Berlusconi è stato artefice di uno sciagurato restauro a Palazzo Chigi operato sulle statue di Venere e Marte, risalenti al 175 dopo Cristo. Ebbene solitamente le statue antiche sono giunte sino a noi acefale o prive di arti, ma nessuno si sognerebbe mai di aggiungere membri posticci in barba alle leggi vigenti sul restauro di beni artistici. Sembrerebbe invece che a Silvio sia concesso tutto, anche di oltrepassare la legge e sperperare soldi pubblici in tragiche aggiunte di peni e quanto altro.

Di questo infausto evento hanno parlato tutti i maggiori quotidiani internazionali, sottolineando il loro disappunto per un’operazione di restauro-mistificazione che di fatto ricorda quelle che si facevano fino ai primi del novecento oppure quelle del mitico Daniele da Volterra detto il Braghettone (1509-1566) per il suo ingrato compito di porre le braghe alle opere con soggetti recanti le pubenda ben in vista. Braghettone però copriva gli attributi, Silvio invece riesce a farli ricrescere come potete osservare nella foto qui sopra. Ma vediamo cosa dice la stampa estera:

Ma chi è questo Gagosian? Ce lo dice Peter Fuss

Chi legge questo sito o comunque si interessa all’arte contemporanea, conoscerà sicuramente Larry Gagosian. Per rinfrescarvi le idee parliamo di uno dei più potenti dealers del mondo, proprietario di un vero e proprio franchising dell’arte che vanta nel suo carnet ben tre gallerie a New York, due a Londra, una a Beverly Hills, una a Roma, una ad Atene e una a Parigi, per non parlare della nuova sede di Ginevra. In tutto fanno dieci gallerie, quindi come dicevamo: come si fa a non conoscere Mr. Gaga?

Una provocatoria risposta prova a darla Peter Fuss, provocatorio artista di origini polacche di cui avevamo già parlato diversi mesi fa quando ad una mostra  aveva presentato degli enormi poster raffiguranti soldati della Wermacht tedesca della seconda guerra mondiale con una stella di David sul braccio al posto della tradizionale svastica. Le foto non erano originali ma riproduzioni tratte dai film Schindler’s List di Steven Spielberg e Il Pianista di Roman Polanski e successivamente elaborate digitalmente al computer.

Tracey Emin non partecipa ad una mostra contro la droga…per problemi di droga

Torniamo oggi a parlare di Tracey Emin, la peperina della Young British Artists generation aveva deciso di sospendere per un poco le sue azioni provocatorie per gettarsi a capofitto nell’impegno sociale. Assieme a Paula Rego, Maggi Hambling, Gordon Cheung, Humphrey Ocean e ad altri 200 personaggi, la celebre artista inglese doveva infatti partecipare alla mostra 400 Women, evento in memoria delle migliaia di donne messicane morte o svanite nella città di Juarez.

L’evento si è aperto il 12 novembre alla Shoreditch Town Hall di Londra e rimarrà in visione fino al prossimo 28 novembre. Tutto scorre direte voi, ed invece ecco il fattaccio. Il problema è che per “questioni personali” poco chiare, Tracey Emin ha deciso di ritirarsi dalla mostra a pochi giorni dall’inaugurazione, gettando gli organizzatori in un profondo imbarazzo e costringendo i giornali ed i magazine d’arte a ricorrere ad errata corrige dell’ultima ora.

La scena italiana e gli scandaletti d’ordinanza

Scandalini e scandaletti di questa italietta dell’arte piccola piccola. In questi ultimi giorni Il Palazzo della Ragione di Verona ospita la mostra Artistica 2010, evento di cui si potrebbe tranquillamente fare a meno di parlare vista la presenza di un nutrito numero di opere simil-Pollock e simil-Tamara De Lempicka ed altre manifestazioni del genere.

Il fatto è che per l’ennesima volta si è cercato di dare risalto ad una manifestazione anonima mediante il trucchetto dello scandalo. Stavolta ci ha pensato l’artista U.V. (omettiamo il nome per non fargli ulteriore pubblicità) che affrontando temi scottanti come l’aborto o la pillola Ru486 ha prodotto un’opera che prevedeva delle macchie di sangue lasciate colare sul pavimento. Il Corriere della sera ci informa che l’opera dell’artista si risolve in un ventre di una donna gravida squarciato di netto con un feto che fa capolino dall’interno, la mano di un manichino afferra un bisturi e apre un varco nel grembo materno. Sotto l’installazione c’è (o c’era) ovviamente una chiazza rosso sangue.

Frank Gehry troppo costoso ed il museo lo scarica

Il Museo della Tolleranza che dovrebbe sorgere in quel Gerusalemme è stato pianificato ormai da alcuni anni ma in questi giorni la sua realizzazione si è fatta più concreta. Il Simon Wiesenthal Center ha infatti svelato il progetto architettonico per la nuova struttura ed il tutto sarà ultimato in circa quattro anni. Il museo si svilupperà su sei livelli con centinaia di metri quadri di spazio espositivo.Fin qui tutto normale direte voi, un altro prestigioso museo si aggiunge alla ricca lista delle proposte culturali internazionali.

Ed invece il Museum of Tolerance è stato teatro di un’oscura vicenda a cui ha partecipato il celebre designer Frank Gehry. L’archistar era stato scelto per realizzare il museo e tutto sembrava andare per il meglio, al momento della presentazione del conto di 250 milioni di dollari però il Simon Wiesenthal Center ha fatto un repentino dietro front, ripiegando sugli architetti israeliani Chyutin Architects, i quali hanno fatto un’offerta ben più bassa, 100 milioni di dollari tutto compreso.

Quel critico è un pagato, quell’artista è raccomandato


I meccanismi nascosti all’interno del sistema dell’arte contemporanea sono vari e spesso poco comprensibili. Quello che però salta all’occhio è un certo comportamento diffuso da parte di pubblico ed addetti al settore che molto spesso si bassa sullo screditamento del lavoro altrui o comunque su di un negativismo imperante. Noi di Globartmag abbiamo raccolto una serie di frasi che avrete sicuramente udito almeno una volta se siete avvezzi all’arte contemporanea ed alla sua scena. Eccovi quindi uno stream of consciousness da far invidia pure al povero Joyce:

Quel critico è un pagato, quell’artista è raccomandato, il direttore di quel museo è un incompetente, i concorsi d’arte sono truccati e la giuria vota solo gli artisti che conosce quindi butterete i vostri soldi se deciderete di partecipare, quell’artista italiano che ha fatto una mostra all’estero non vale nulla, la biennale fa schifo, alla fiera non si è venduto nulla, gli artisti italiani copiano da quelli stranieri, la pittura è morta, i pittori adesso fanno i video artisti, i video artisti adesso fanno i pittori, ho iscritto la mia galleria ad una fiera e mi hanno fatto pagare una cauzione poi non mi hanno selezionato e si sono tenuti i soldi,

Chi vorreste al Padiglione Italia?

Questo blog ha pubblicato di recente un cospicuo numero di articoli riguardanti il padiglione Italia alla prossima Biennale di Venezia. Spesso ci siamo preoccupati per le sorti della nostra arte contemporanea ed abbiamo criticato le continue affermazioni del curatore del padiglione Vittorio Sgarbi sui possibili partecipanti. Fatto sta che nel nostro continuo attaccare le “manie dell’imperatore” ci siamo dimenticati di porre una domanda fondamentale al nostro pubblico: Qualunque siano le scelte del Vittorione Nazionale, chi pensate possa rappresentare il nostro paese ad una manifestazione così importante?

La questione è alquanto spigolosa poiché riassumere la creatività nazionale in un unico ambiente con uno o pochi attori non ci sembra comunque cosa facile. Va detto però che molte nazioni si affidano ad un unico o pochissimi artisti, il che solitamente garantisce un’unità d’insieme al riparo da incidenti estetici e ridicoli patchworks . Lo sbaglio del padiglione Italia edizione 2010 è forse stato quello di voler ostentare troppe opere per favorire il mercato e per proporre una visione a 360 gradi del nostro panorama creativo.

I Sognatori di Shanghai sollevano un vespaio di polemiche

Il giovane ma quotato artista cinese Quentin Shih non si è mai trovato a fare i conti con il fallimento. Eppure come spesso capita ad ognuno di noi, anche Shih è incappato in una brutta caduta. Tutto è successo in occasione dell’apertura del nuovo punto vendita del celebre fashion brand Christian Dior a Pechino. Shih aveva già lavorato con Dior nel 2008 quindi anche stavolta il successo sembrava già annunciato. Dior ha quindi riconfermato l’artista per la creazione di alcune opere fotografiche per meglio illustrare la nuova collezione.

Le opere hanno però sollevato numerose critiche ed aspre ritorsioni, al punto che il povero artista ha cominciato a difendersi sulla rete dei blogs cinesi. Secondo alcuni bloggers infatti le opere di Shih contengono chiari segni di razzismo. Nella sua serie “Shanghai Dreamers” Shih  si è ispirato alla Shanghai degli anni ’70 e più precisamente alle foto di gruppo di quell’epoca. Il problema è che in ogni scatto, in mezzo a soggetti uniformati, svetta puntualmente la modella vestita Dior che possiede dei tratti somatici quasi occidentali.