I tempi cambiano ed anche l’arte cambia i tempi al Pac di Milano

di Redazione Commenta

Ibrido è una mostra evento a cura di Giacinto Di Pietrantonio e Francesco Garutti che animerà il PAC Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano dal 12 al 31 marzo. Al di là del senso di incertezza che il termine ibrido porta con sé, è indubbio che nell’attuale momento storico siano in atto grandi cambiamenti in tutti i settori della vita. Cambia la politica, cambia la cultura, cambia l’ambiente, cambia il mondo, e in tutto questo cambiare, cambiano anche l’arte e il sistema ad essa connesso. Ciò produce una creatività che si va sempre più ibridando, assorbendo e interfacciandosi con differenti ambiti disciplinari come l’etnografia, l’antropologia, la sociologia, l’ecologia, ma anche con il mondo di YouTube e di Facebook, che sono i nuovi luoghi del grande altro.

Lo spazio dell’arte si allarga e le sue figure professionali mutano. Si tratta di un processo che coinvolge non solo gli artisti, sempre in prima linea nell’intercettare e promuovere i cambiamenti, ma anche i critici e i curatori che aprono luoghi ibridi per esporre gli artisti, dando origine a territori espositivi e di produzione al di fuori dell’ambito istituzionale. Mutano le riviste e i giornali, con l’invasione dei free press e dei free magazine, cambiano i collezionisti che a volte diventano galleristi, altre volte aprono fondazioni. Insomma vi è un continuo riformularsi di ruoli, perfino nel passaggio dal pubblico al privato e viceversa. Vi è una crescente ibridazione e costante transizione di figure professionali, di funzioni e di formati: istituzioni temporanee nate dai singoli, galleristi produttori e promotori di progetti, istituzioni che agiscono in network, artisti che si fanno critici, curatori e galleristi. È come se l’arte anticipasse la politica, la cultura, l’ambiente, il mondo, la vita, realizzando “unioni di fatto” che prescindono da protocolli e modelli, emancipate dalla burocrazia. Vi è la necessità di applicare ai modelli espositivi e alle figure professionali il rifiuto della specializzazione, che del resto gli artisti esprimono nel loro lavoro già a partire dagli anni Novanta.

Per questo sembra più che mai necessaria in questo momento una mostra accompagnata da conferenze che riflettano tali cambiamenti di una diversa sostenibilità di arte e vita per intercettare il futuro. IBRIDO è una mostra che non può non partire dai padri storici di tali mutamenti, come Beuys e Pistoletto per le tematiche dell’ecologia ambientale, Warhol per quelle relative all’ecologia mediatica, oppure Paolini per le dinamiche concettuali; e ancora dalla trasformazione degli spazi abitativi tra architettura e design rintracciabile nell’eredità modernista dei gruppi cinetici di artisti transitivi come Getulio Alviani ed Enzo Mari, o Mendini sul versante della postmodernità per non fare che qualche nome. E da qui, scendere ad artisti delle generazioni successive fino ad arrivare ai nostri giorni, con John Armleder, Pierre Huyghe, Philippe Parreno, Olafur Eliasson, Maurizio Cattelan, Patrick Tuttofuoco, Rirkrit Tiravanija, Pietro Roccasalva, Damien Hirst, Jan Fabre.

Si tratta di artisti e opere che esplorano la nuova era e che cercano di dare risposte al presente per preparare il futuro che ancora oggi è incertamente ibrido. Per questo la mostra sarà anch’essa un ibrido: non una semplice esposizione di opere d’arte, ma uno spazio complesso fatto di video, istallazioni, pitture, disegni, film, fotografie, oggetti, riviste, libri, musica, scritte, performances, conferenze… Insomma, una sorta di opera d’arte totale, come totale e non totalitario è il mondo in cui viviamo. Si tratta di una mostra che contiene al suo interno diverse altre mostre, una mostra che si relaziona con la vita, ma anche con l’arte ed in questo caso con l’arte del passato: una mostra costruita pensando anche alle opere della collezione esposta presso la Galleria Civica d’Arte Moderna di Villa Reale adiacente al PAC. E così, fra gli altri, il Quarto Stato di Pellizza da Volpedo dialogherà con La rivoluzione siamo noi di Joseph Beuys ma anche con l’omonima opera di Maurizio Cattelan.

Photo: Joseph Beuys, La rivoluzione siamo noi, 1972

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