Al Photography Show di New York trionfa il bianco e nero ed anche il video

Il Photography Show, la fiera annuale organizzata a New York dall’Association of International Photography Art Dealers (AIPAD) è stata più volte lodata per la sua affascinante selezione di fotografie in bianco e nero. Quest’anno invece la Bryce Wolkovitz Gallery si è guadagnata l’attenzione di pubblico e critica pur allontanandosi sensibilmente dalla fotografia fine-art. La galleria ha infatti presentato l’opera Self-Portrait (2010) di Shirley Shor, un’ipnotica opera video costituita da ritratti multipli su uno schermo singolo con pixel in costante morphing.

L’AIPAD ha deciso di implementare la sezione new media e video art lo scorso anno ed anche se sono ancora poche le gallerie che hanno abbracciato questa nuova proposta, i pochi e coraggiosi dealers che quest’anno si sono avventurati in questa scelta non hanno fallito l’incontro con i collezionisti. Il dealer di Chicago Catherine Edelman, ad esempio, ha portato in fiera alcuni video di Gregory Scott, artista dal passato pittorico che solitamente combina fotografia, pittura ad olio e video loops. Edelman ha venduto due copie di un video di scott intitolato Echo (2010), ogni edizione era quotata circa 22.000 dollari, in questo caso il coraggio è stato decisamente ben premiato.

All’asta di beneficenza per Haiti spunta Patti Smith

Poche sere fa più di 600 membri della comunità artistica di New York si sono riuniti nella sede di Sotheby’s per un’asta di beneficenza a supporto della campagna Tools For Thought, fondazione creata nel gennaio 2010 da Diana Campbell e Julie Ragolia con lo scopo di raccogliere fondi per la ricostruzione di Haiti dopo il tremendo terremoto.  Alcuni celebri personaggi della scena dell’arte internazionale sono stati invitati a donare un oggetto per la grande asta.

Tra le opere proposte vi erano anche pezzi di rilievo come uno skateboard donato dall’artista Marilyn Minter. Altri grandi nomi della scena come Dan Colen, Roxy Paine e Aurel Schmidt hanno partecipato donando una loro opera e dando il via ad una guerra di offerte decisamente forsennata, il tutto all’insegna della solidarietà. Il magnifico evento è stato impreziosito dalla presenza della dea del punk Patti Smith che ha suonato dal vivo ed ha donato My Horse in Namibia, una stampa arricchita da una sua poesia.

Phillips de Pury e l’asta del sesso

Il sesso vende sempre anche se dobbiamo dire che non vende abbastanza bene come la celebre casa d’aste Phillips de Pury aveva sperato. La grande vendita organizzata la scorsa serata a Londra che presentava opere orientate sul tema del sesso è infatti riuscita a racimolare solo il 69 percento dell’incasso totale sperato. Ovviamente le vendite sono andate piuttosto bene visto che la star della serata è stata l’opera Soft Tread, dipinto ammiccante che raffigura un paio di gambe con tanto di calze creato da Allen Jones che ha raggiunto la ragguardevole cifra di 539.000 dollari contro un valore stimato di circa 120.000 dollari.

In totale gli introiti per la grande casa d’aste hanno raggiunto la cifra di 2.1 milioni di dollari. Tra i lotti degni di nota sono emersi un dipinto senza titolo di Sigmar Polke del 1974 che ha totalizzato circa 130.000 dollari ed una scultura in tre parti intitolata Sex di Jack Pierson del 1992 che ha venduto per circa 108.000 dollari, partendo da una stima di 90.000 dollari. All’asta erano presenti anche alcuni nudi di Helmut Newton, la sua fotografia Berverly Hills Hotel del 1988, raffigurante una donna nuda a gambe aperte sul letto, ha racimolato 45.000 dollari mentre una copia di Cyperwoman 3 (edizione di 500 esemplari del 2000) ha totalizzato 1.900 dollari contro i 1.200 stimati.

Luca Rossi, intervista/dialogo sull’arte e sulle dinamiche artistiche

Micol Di Veroli e Luca Rossi presentano un’intervista/dialogo sull’arte e sulle dinamiche artistiche, senza troppi convenevoli. Un confronto attivo mirato a chiarire posizioni e cercare nuove soluzioni qualora ce ne fossero.

MDV – Mi trovo in sintonia con molte delle tue dichiarazioni presenti sul blog Whitehouse ed è tristemente vero che le nostre giovani leve sono ormai simili a replicanti di altri artisti del panorama internazionale. Nel peggiore dei casi la nostra giovane arte si ritrova  a produrre formazioni estetiche stile Ikea prive di ogni significato, nell’assurda e vana ricerca di un ermetismo che confonda le acque, sperando che lo spettatore non riesca ad agganciare un qualche riferimento colto del tutto inesistente. Io trovo che il vero problema risieda nella mancanza di documentazione e di studio, tu cosa ne pensi?

LR – Mancanza di studio, ma anche malafede più o meno consapevole. O consapevolezza di non poter/voler fare altro nella vita che un lavoro (apparentemente) eccitante e comodo come quello del “giovane artista”. Inoltre in italia viene vissuto un complesso di inferiorità sull’essere italiani. Questo favorisce una certa esterofilia e il mantenimento di un profilo basso, silenzioso e colto. Quindi assenza di un confronto critico, perchè sia ha sempre paura di essere i soliti italiani “bar sport” e polemici. Questo porta problemi di relativismo dove “tutto può andare” ed essere accettato e giustificabile. In fondo l’arte contemporanea viene vista (da alcuni) come materia “hobbistica”.  Queste dinamiche portano risultati mediocri; nel migliore dei casi buoni standard sviluppati come “compie sbiadite” di quello che avviene sulla scena internazionale.

Chi l’ha visto? ritrova un Rembrandt e vinci 5 milioni di dollari

 Di furti d’arte ne abbiamo parlato e sicuramente ne parleremo ancora poichè il numero delle opere trafugate è in netta ascesa e supera di gran lunga quello dei capolavori ritrovati. Questa volta vorremmo parlarvi di un fatto accaduto nel lontano 1990 che rappresenta sicuramente un valido esempio di furto insolito e ben riuscito. Circa dieci anni fa, esattamente il 18 marzo del 1990,  due persone bussarono alla porta dell’Isabella Stewart Gardner Museum di Boston nel Massachusetts. Gli uomini indossavano un’uniforme delle forze di polizia cittadine e così nessuno si stupì troppo di quell’insolita visita dopo la mezzanotte.

Riuscitisi ad introdurre all’interno degli spazi espositivi i due finti poliziotti ammanettarono le guardie notturne e si impossessarono di ben 13 opere valutate all’epoca circa 500 milioni di dollari. Il bottino comprendeva  Concerto a tre, uno dei 35 dipinti conosciuti di Johannes Vermeer e tre dipinti di Rembrandt Van Rijn tra cui la sua unica marina intitolata Cristo nella tempesta sul mare di Galilea, un olio su tela del 1633 oltre che una piccola stampa raffigurante un autoritratto del grande pittore.

Testi critici sulla strada per la Street Art

La street art, lo dice il termine, è una forma artistica che raggiunge il suo apice espressivo all’interno del contesto urbano. Una volta traslata all’interno delle mura di una galleria o di un museo l’opera di street art perde la sua potenza e si trova totalmente decontestualizzata sino a smarrire il senso stesso della sua natura. Detto ciò, sorge il problema dell’approccio critico. Se un opera nasce nelle strade ed ivi rimane, allora anche gli scritti del critico di turno dovrebbero tener conto di questo habitat e magari avvicinarsi il più possibile al tessuto metropolitano più che alle istituzioni ed ai soliti luoghi dedicati all’arte.

La soluzione a questo problema è stata trovata da un giovane critico/curatore di Baltimora che risponde al nome di Hrag Vartanian. Trovatosi davanti ad una bellissima opera dello street artist Gaia, dal titolo St.John (2010) realizzata per la Baltimore Reservoir Hill, Hrag Vartanian si è ricordato di un esperimento che aveva progettato nel 2008 assieme all’artista. All’epoca i due discutevano della possibile creazione di una forma critica direttamente legata all’arte di strada. Il colloquio fra i due portò alla luce un reciproco interesse nell’esplorare i limiti del dialogo eseguito direttamente sull’opera di street art e non a posteriori fra le mura di una galleria o su di una pubblicazione editoriale.

200 euro per abbonarsi all’arte di Andrew Jeffrey Wright

 Comprare un’opera d’arte non è certo roba da poveri in canna. Una persona comune decide di acquistare un dipinto, una stampa od una statua solo dopo essersi accertata di poter soddisfare i suoi bisogni primari e di potersi così permettere una spesa accessoria che rappresenterà comunque un cospicuo sforzo economico.

L’artista americano Andrew Jeffrey Wright ha lanciato però un’iniziativa che potrebbe sovvertire questo genere di convenzioni: “Ora che la mia carriera di artista è in ascesa i miei dipinti e disegni sono diventati troppo costosi per chi non dispone di molti soldi. Io però voglio che la gente comune possa ancora permettersi di collezionare i miei lavori” ha recentemente dichiarato l’artista. Quindi Wright ha lanciato una sorta di sottoscrizione low cost per i suoi fans.

Jeffrey Deitch trova in Kathy Grayson la sua “testa di legno”

 Quando in gennaio Jeffrey Deitch è stato nominato direttore del Moca, Museum Of Contemporary Art di Los Angeles ed ha dichiarato di voler chiudere la sua galleria Deitch Projects in giugno, il mondo dell’arte è rimasto con più domande che risposte. Prima fra tutte è la spigolosa questione sul futuro dei 30 talentuosi artisti che fanno (facevano) parte della scuderia Deitch. Il celebre dealer ha deciso di chiudere baracca e burattini per evitare un possibile conflitto di interessi tra la posizione di gallerista privato e di direttore di museo pubblico.

Deitch ha in seguito dichiarato che parte dei suoi artisti potrebbero passare ad uno dei suoi più stimati collaboratori e cioè a Kathy Grayson, direttore della galleria e responsabile di tutti i rapporti con gli artisti più giovani. Kathy Grayson ha inoltre curato alcune mostre assieme a Jeffrey Deitch come Panic Room che è stata presentata alla Deste Foundation di Atene nel 2006, collettiva a cui hanno preso parte artisti come Assume vivid astro focus, Tauba Auerbach, Devendra Banhart, Paul Chan, Brian Chippendale, Roberto Cuoghi,  Brian Degraw, Naomi Fisher, Barry McGee e Paper Rad.

La scena dell’arte analizzata da Jennifer Dalton e William Powhida

Fino al 20 marzo prossimo la Edward Winkleman Gallery di New York ospiterà un’interessante serie di incontri intitolati #class, eventi mirati al dialogo a 360 gradi a cui possono partecipare artisti, critici, dealers, collezionisti e chiunque abbia voglia di partecipare ed esaminare il modo in cui l’arte contemporanea viene create e viene fruita. Il dialogo in galleria sarà anche mirato ad identificare e proporre alternative capaci di riformare il presente sistema dell’arte ed il mercato in genere.

Per sistema dell’arte si intende sia una precisa rete di dealers, gallerie e musei che agisce ed espone artisti caratterizzati da una precisa estetica uniformata, oltre che una vera e propria architettura economica intangibile e non quantificabile ove regnano favori reciproci e meccanismi sepolti. L’idea di questa nuova e rivoluzionaria serie di brainstormings collettivi è stata partorita da Jennifer Dalton e William Powhida, due artisti che hanno contribuito a mettere in luce alcune logiche non troppo chiare nascoste dietro la gestione del New Museum di New York. 

Independent e Armory Show, l’invasione delle fiere a New York

Nella settimana dell’Armory Show, importante fiera newyorchese si è aperta anche una nuova manifestazione fieristica intitolata Independent, evento ospitato dall’ex sede della Dia Foundation ed ideato dai galleristi Elizabeth Dee e Darren Flook con “l’obiettivo di riesaminare il modello della manifestazione fieristica e creare una piattaforma ibrida a metà tra la mostra collettiva ed il forum” almeno così recita il comunicato stampa dell’evento.  “Tutti sanno che siamo quì per vendere” ha invece dichiarato il giorno dell’opening Daniele Balice della galleria parigina Balice/Hertling, confermando il fatto che indipendenza o non indipendenza, una fiera è sempre legata alle leggi di mercato.

A conferma di ciò Balice ha già venduto un mixed media di Nikolas Gambaroff per 5.500 dollari. Anche Laura Bartlett, dealer di Londra, è riuscita a vendere già dal primo giorno, un collezionista si è infatti portato a casa due fotografie di Cyprien Gaillard per 5.000 dollari al pezzo, mentre un altro avventore ha acquistato una grande installazione di Nina Beier per 11.500 dollari. Sutton Lane, direttore della galleria Cora Muennich ha invece venduto un grande dipinto astratto di Cheyney Thompson per la bellezza di 75.000 dollari. Alla fiera è presente anche la Galleria Zero di Milano, girovagando per lo stand l’art dealer di Los Angeles Tim Blum si è dichiarato molto interessato all’opera di Christian Frosi ed ha in seguito aggiunto: “Riuscire a trovare qualcosa che ti piace veramente in una fiera d’arte è cosa veramente rara”.

Siam tutti figli di…Achille

 Recessione o non recessione? Difficile a dirsi in un mercato dell’arte dove non esiste una reale piattaforma statistica in grado di quantificare introiti e vendite. Gli unici dati disponibili sono quelli delle aste ma dopo la bolla speculativa e dopo il crollo della Lehman Brothers le quotazioni di molte stars del contemporaneo hanno subito un congruo ridimensionamento. Un valido segno dell’andamento del mercato potrebbe essere però estrapolato dalla resistenza alla crisi che le gallerie private riescono ad opporre.

Nell’autunno del 2008 il celebre critico americano Jerry Saltz predisse che 100 gallerie di New York avrebbero chiuso i battenti di li a pochi mesi, in realtà ad oggi solo 25 dealers sono usciti di scena e la grande mela ha comunque registrato nuove aperture che hanno doppiato le perdite. Ed in Italia il mercato come va, in che modo possiamo analizzarlo? Beh, niente di più difficile. Anche da noi c’è stato un ricambio di gallerie, vi sono state manifestazioni fieristiche che si sono chiuse positivamente ed altre meno. Il Nostro problema però non risiede nella crisi poiché l’oggetto artistico è da considerarsi un bene di lusso e come si sa durante i periodi di recessione le statistiche recitano sempre la stessa litania: “ricchi più ricchi, poveri più poveri”.

I magnifici 7 artisti under 35 da non perdere

Si fa un gran parlare della giovane arte internazionale e non a torto. Le nuove leve sapranno sicuramente rivoluzionare il mercato e la creatività dei prossimi anni, ma chi sono gli artisti da tenere d’occhio? Globartmag vi offre i magnifici 7 artisti (internazionali) sotto i 35 anni da non perdere.

Adriana Lara (1978)
Artista concettuale autodidatta che lavora principalmente con materiali di recupero. La sua installazione di una buccia di banana sul pavimento del New Museum è stata una delle cose più interessanti viste alla mostra Younger Than Jesus dello scorso anno. Vive e lavora in Messico ed è rappresentata dalla galleria Air de Paris di Parigi

Angel Otero (1981)
Crea dense pitture ad olio e sculture eseguite sempre con stratificazioni di colori ad olio. E’ stato uno dei protagonisti della fiera NADA di Miami dove la galleria che lo rappresenta ha venduto tutti i suoi lavori. Vive e lavora a New York ed è rappresentato dalla Kavi Gupta Gallery di Chicago

Josh Brand (1980)
Fotografo di stampo concettuale che solitamente crea senza il bisogno della macchina fotografica. Le sue stampe sono eseguite in camera oscura. L’artista è stato scelto per la Whitney Biennial 2010. Vive e lavora a New York ed è rappresentato dalla Herald St Gallery di Londra.

Vorreste collezionare opere fotografiche? Michael Wilson vi spiega come fare

Conoscete Michael Wilson? Beh possiamo dirvi che è inglese ed è un grande collezionista di fotografia, Wilson è anche produttore di alcuni film di James Bond, insomma uno che ha fiuto per gli affari. L’uomo ha iniziato la sua avventura verso la fine degli anni ’70 ed adesso è proprietario di una delle più grandi collezioni di fotografie del mondo, tanto da essere ospitate in un centro dedicato, il Wilson Centre for Photography. La scorsa settimana, Wilson ha presenziato ad una conferenza sul collezionismo fotografico alla Photographer’s Gallery di Londra, evento organizzato da ArTactic, compagnia che monitora i progressi del mercato dell’arte.

Secondo ArTactic il mercato fotografico è in forte espansione, grazie all’entrata in gioco di collezionisti dalla Cina, Giappone, India e Medio Oriente. Negli ultimi tempi alcune opere di artisti come Andreas Gursky, Jeff Wall, Richard Prince ed Hiroshi Sugimoto hanno ampiamente superato il milione di dollari. In merito a questo boom del collezionismo fotografico Mr. Wilson ha fornito alcune importanti dritte per chi volesse iniziare una collezione personale. Secondo Wilson bisogna evitare di comprare opere da gallerie troppo blasonate

A Jakarta l’arte si compra al centro commerciale

Se volete avere una prova di quanto l’arte sia entrata a far parte dello stile di vita quotidiano vi possiamo assicurare che tra non molto basterà entrare in un centro commerciale e scegliere l’opera d’arte che più vi aggrada proprio come se fosse un qualunque capo d’abbigliamento. Ciò sarà possibile dal prossimo 27 febbraio quando nel celebre centro commerciale Grand Indonesia di Jakarta aprirà il nuovissimo Jakarta Art District. Si tratta di un progetto organizzato dall’associazione delle gallerie indonesiane che prevede l’apertura simultanea di nove gallerie all’interno del centro commerciale.

Le gallerie avranno grandi vetrine ed esporranno una ricca moltitudine di opere d’arte contemporanea indonesiana ed internazionale. Ognuna delle nove gallerie si alternerà nella presentazione di una mostra ogni due settimane. Stando a quanto affermato dall’associazione delle gallerie indonesiane (AGSI), il progetto contribuirà ad avvicinare la persone all’arte. Certo è che in di questi tempi le gallerie d’arte sono divenute sempre più esclusive e frequentate da un certo tipo di persone, il Jakarta Art District invece è completamente aperto a tutti.