
La street art, lo dice il termine, è una forma artistica che raggiunge il suo apice espressivo all’interno del contesto urbano. Una volta traslata all’interno delle mura di una galleria o di un museo l’opera di street art perde la sua potenza e si trova totalmente decontestualizzata sino a smarrire il senso stesso della sua natura. Detto ciò, sorge il problema dell’approccio critico. Se un opera nasce nelle strade ed ivi rimane, allora anche gli scritti del critico di turno dovrebbero tener conto di questo habitat e magari avvicinarsi il più possibile al tessuto metropolitano più che alle istituzioni ed ai soliti luoghi dedicati all’arte.
La soluzione a questo problema è stata trovata da un giovane critico/curatore di Baltimora che risponde al nome di Hrag Vartanian. Trovatosi davanti ad una bellissima opera dello street artist Gaia, dal titolo St.John (2010) realizzata per la Baltimore Reservoir Hill, Hrag Vartanian si è ricordato di un esperimento che aveva progettato nel 2008 assieme all’artista. All’epoca i due discutevano della possibile creazione di una forma critica direttamente legata all’arte di strada. Il colloquio fra i due portò alla luce un reciproco interesse nell’esplorare i limiti del dialogo eseguito direttamente sull’opera di street art e non a posteriori fra le mura di una galleria o su di una pubblicazione editoriale.
Lo statunitense Jerry Saltz è un critico ironico ed irriverente ma decisamente geniale. Il suo approccio all’arte contemporanea è troppo estroso da poter passare inosservato. Curiosando in giro per la rete abbiamo trovato un divertente articolo di Jerry Saltz sul recente opening della mostra The Artist is Present di Marina Abramovic al Moma di New York. Il critico si è trovato faccia a faccia con i performers nudi che ricreavano una storica opera della grande artista. Vediamo quali sono state le sue reazioni:
Otto Dix è il protagonista assoluto di una grande retrospettiva alla Neue Galerie di New York che rimarrà aperta dal 11 marzo al 30 agosto 2010. Più di ogni altro artista Dix ha preso parte ad ogni grande cambiamento del modernismo tedesco, dal realismo, al dada fino al surrealismo ed all’espressionismo, il tutto in una sola decade dei ruggenti anni ’20. Il celebre critico Paul Ferdinand nel 1926 descrisse l’arte di Dix come: “un disastro naturale, devastante come l’esplosione di un vulcano. Non si sa mai cosa aspettarsi da questo uomo selvaggio”.



A meno che non si ha intenzione di morire giovani è molto difficile essere un eroe e rimanere tale per sempre. Anche l’eroe, col tempo, finisce per essere commercializzato o semplicemente passa di moda. Ecco quello che è successo a Ron Arad in una fin troppo grande retrospettiva che ha viaggiato dal Pompidou Centre di Parigi al Moma, Museum of Modern art di New York per approdare finalmente alla Barbican Gallery di Londra.


Finalmente si è aperta Skin Fruit (in visione fino al 6 giugno 2010), la tanto attesa e criticata mostra del New Museum curata da Jeff Koons con opere provenienti direttamente dalla collezione del celebre dealer greco Dakis Joannou, il quale figura anche tra i benefattori del museo. Questo strano conflitto di interessi fu aspramente criticato lo scorso autunno, al momento della presentazione del progetto ed in molti furono concordi nel definirlo “una pessima idea“. Ed a giudicare da quello che possiamo vedere oggi nelle sale del New Museum non c’è che da confermare tale affermazione.
