Il mondo dell’arte contemporanea è a un bivio: restaurare o replicare?

Alcuni anni or sono al dipartimento di conservazione del Whitney Museum di New York era stata assegnata la missione di preparare Ice Bag Scale C di Claes Oldenburg in occasione di una grande retrospettiva dedicata all’artista. L’opera in questione era un enorme macchinario costituito da un ventilatore ed una specie di sacco di 12 piedi di diametro fatto di nylon e resina di poliestere.

L’opera che è stata prodotta nel 1971 e prevedeva lo sgonfiamento e il rigonfiamento del grande sacco evocando il respiro di una creatura addormentata, nel corso degli anni però i motori del ventilatore hanno cominciato a funzionare a singhiozzo ed il sacco si è deteriorato, insomma l’opera andava restaurata prima del grande evento. Carol Mancusi-Ungaro, il direttore del dipartimento di conservazione, cominciò quindi il delicato restauro usando tecniche più o meno tradizionali ma altri dirigenti dell’istituzione non furono d’accordo con tali metodi, dichiarando che l’opera di Oldenburg era stata totalmente ricostruita e che quindi si trattava di una copia e così andava citata anche al momento della mostra.

Come è difficile fare l’artista

Mettiamola così, siete degli artisti. Forse avete studiato sodo per esserlo o magari è una vocazione personale supportata da una buona dose di visionarietà creativa e dignità formale. La vostra produzione va a gonfie vele e tutti attorno a voi sono concordi nell’affermare che si, siete proprio degli artisti. Ora non resta altro da fare che trovare un modo per far conoscere la vostra arte e magari incontrare qualche buon acquirente. Riepiloghiamo, siete artisti ma non provenite da una famiglia benestante e non siete per così dire raccomandati da nessuno, la prima cosa da fare quindi è cercare una galleria d’arte per proprio conto, un luogo degno ad accogliere i vostri amati lavori.

Il MoMa rifiutò un’opera regalata da Andy Warhol

La notizia è a dir poco incredibile ed è un vero e proprio schiaffo alla tanto decantata lungimiranza delle grandi istituzioni museali internazionali.  Aggiungiamo che solitamente i musei non hanno molto sense of humor ma questo particolare non sembra interessare al MoMa, Museum Of Modern Art di New York che di ironia sembra averne parecchia, persino l’autocritica sembra sia una dote del celebre museo. In un recente post sull’account ufficiale del MoMa su Twitter si apprende infatti l’esistenza di una lettera di rifiuto che il museo avrebbe mandato nientemeno che ad Andy Warhol nel 1956.

Oversize 14 – Fantasmagorie – Virgilio Villoresi a cura di Bruno Di Marino

Lunedì 4 febbraio, alle ore 19, NUFactory presenta Oversize 14 – Fantasmagorie, mostra personale di Virgilio Villoresi, a cura di Bruno Di Marino.

E’ un grande bricoleur Virgilio Villoresi: un assemblatore di oggetti, un ritagliatore di sagome cartonate o fotografiche, un creatore di piccoli teatrini sospesi tra bidimensionalità e tridimensionalità. E’ un artista Villoresi, ma soprattutto un animatore, uno dei più abili che operano in Italia. Così queste sue architetture, giocose e colorate, acquistano una ulteriore dimensione nel movimento stop motion. Dalle brevi pubblicità (per Moleskine, Vogue italia) ai videoclip musicali (per musicisti come Capossela) ai cortometraggi (da J a Fine), la sua formidabile tecnica si coniuga ad una poesia a tratti minimale – anche perché realizzata in casa, dove costruisce set in miniatura –, ma in realtà assolutamente spettacolare, per i risultati che riesce ad ottenere.

Per essere bella l’arte non deve avere un messaggio

 Voi da che parte state, siete amanti del figurativo o del concettuale? siete convinti che l’opera d’arte deve sempre nascondere un significato o per voi l’arte deve essere libera da ogni senso logico e filosofico? Insomma esistono diversi modi di avvicinarsi all’arte contemporanea ed interpretarla. Secondo il grande video artista americano Stan Brakhage un’opera d’arte deve essere creata secondo una personale mitopoiesi, ancorarsi cioè ad una forma di mitologia e filosia estetica e formale tratta dal proprio immaginario e non da  testi, films, musica e spunti creativi di sorta partoriti dalla mente di qualcun’altro.

Leggendo il blog del critico inglese Jonathan Jones possiamo invece apprendere alcune divertenti ed intelligenti disquisizioni sull’esegesi e sulla genesi di un’opera d’arte. Secondo Jones l’arte per essere interessante non deve parlare di nulla. In effetti il critico asserisce che più si spiega di cosa parla un’opera e più la si rende meno interessante. C’è da dire che girando abitualmente per mostre e fiere è possibile assistere alla spiegazione di una data opera da parte del gallerista o del suo creatore e tale pratica si trasforma solitamente in un’improbabile arrampicata sugli specchi infarcita di collegamenti a questa o quella ricerca stilistica ed estetica del tutto raffazzonati alla meno peggio.

Marcello Mantegazza – ‘SPOILER: YOU WILL DIE’

Lo scorrere del tempo e le trasformazioni che esso comporta, il pericolo, la corruzione e la consunzione, l’estraniamento, la precarietà e la caducità della vita. Sono questi i temi su cui ruota la personale di Marcello Mantegazza (Potenza, 1974 – vive e lavora a Rieti), curata da Barbara Martusciello ed allestita all’interno degli spazi di CECILIA – Centro per la Creatività a Contrada Santa Venere, Tito (Potenza).

Multe salate per i writers?

Dopo Bristol e Boston lo stretto giro di vite contro i writers imbrattamuri è in procinto di conquistare anche l’Italia ed in particolare la città di Roma. Lo scorso martedì il sindaco Gianni Alemanno aveva già annunciato possibili contromisure per arginare il sempre più crescente e deprecabile proliferare di tags e scarabocchi che nulla hanno a che vedere con le vere e proprie opere di street art a cui ci hanno abituato artisti italiani del calibro di Sten, Lex e Lucamaleonte.

L’amministrazione cittadina non esclude la possibilità di sguinzagliare degli agenti accertatori dell’Ama i quali sarebbero appunto autorizzati a comminare pesanti sanzioni. L’iniziativa potrebbe però essere affiancata da un’altra pena che suonerebbe come uno smacco per i giovani writers cittadini. Il Campidoglio ha infatti avuto l’idea di punire i writers colpevoli di aver imbrattato i muri ripagandoli con la loro stessa moneta, gli incauti contravventori saranno costretti quindi a pulire una superficie grande tre volte tanto quella insudiciata.

Molly Crabapple, regina della Burlesque Art

 come forse molti di voi avranno notato negli ultimi anni la società si è lasciata catturare dai languidi richiami del Burlesque. In sostanza il Burlesque è una tipologia di spettacolo parodistico nato in Inghilterra nella seconda metà dell’Ottocento e successivamente migrato con successo negli Stati Uniti. Lo spettacolo consiste in danze perlopiù a sfondo satirico e furbescamente sexy eseguite da ballerine corredate da corsetti,guepierre, giarrettiere, boa ed altri tipi di lingerie in un turbinio di colori vistosi ed acconciature sapientemente ricercate.

Dagli anni novanta ad oggi il burlesque è stato protagonista di un prepotente ritorno, è nato quindi il new burlesque che ha proiettato nello star system nomi come Dita Von Teese,Miss Dirty Martini, Julie Atlas Muz, le Pontani Sisters e Cecilia Bravo. Anche numerose star dello spettacolo come Madonna, Christina Aguilera, Gwen Stefani e Marilyn Manson si sono lasciate affascinare dal ritorno di questo movimento.

Il futuro dell’arte è il concettuale? vedremo

Nel 1965 Joseph Kosuth realizzò l’opera Una e tre sedie che comprendeva una vera sedia, una sua riproduzione fotografica ed un pannello su cui era stampata la definizione della parola sedia. Con tale azione l’artista voleva far riflettere lo spettatore  sulla relazione tra immagine e parola, in termini logici e semiotici. Prima di Kosuth, Marcel Duchamp con la sua celebre opera Fontana del 1917 aveva già gettato le basi per il futuro sviluppo dell’arte concettuale.

Chissà però se Duchamp prima e Kosuth poi si saranno mai fermati a pensare all’enorme influenza della loro creatività nel mondo dell’arte strettamente contemporanea. L’escalation dell’arte concettuale infatti sembra divenuta inarrestabile, è oramai cosa consona recarsi ad una mostra in galleria, ad una fiera o ad una biennale d’arte e trovarci dentro un enorme quantitativo di opere costituite da oggetti assemblati a caso e installazioni ermetiche ed alquanto pretestuose. L’escalation del concettuale ha però perso per strada la spinta provocatoria e rivoluzionaria degli inizi oltre che una certa dose di filosofia dettata da una ricchezza culturale ed in certi casi spirituale.

La pittura ha ancora un senso

Le possibilità espressive e creative delle arti visive hanno subito una rapida espansione durante il corso del ventesimo secolo, Marcel Duchamp ha inventato il ready made e successivamente nel corso degli anni sessanta e settanta il proliferare di nuove tecniche come l’installazione, la performance, la land art, la body art, la video arte e la fotografia (non ultima quella digitale) sembravano aver dichiarato a morte la pittura.

Eppure negli scorsi anni la pittura ha incominciato un lento ma inesorabile cammino di ritorno riguadagnando prestigio tra collezionisti ed istituzioni e riconfermandosi regina di aste e compravendite di mercato. Ne aveva avuto il sentore il Centre Pompidou di Parigi nel 2002, presentando la mostra Cher Peintre, Lieber Maler, Dear Painter e profetizzando il ritorno ad una certa forma di pittura figurativa. Successivamente tra il 2004 ed il 2005 Charles Saatchi presentò a Londra una serie di tre mostre intitolate The Triumph of Painting.

Siamo solo noi i responsabili…

Ci siamo messi in un bel guaio ma non possiamo darne la colpa a nessuno, siamo noi responsabili di ciò che abbiamo generato negli ultimi tempi all’interno della nostra scena artistica. Problema: il nostro sistema dell’arte ha fagocitato se stesso cannibalizzando centinaia di giovani promesse, mandandole allo sbaraglio come carne da macello e perdendo attendibilità nei confronti dei collezionisti e del pubblico.

La figura dell’artista in Italia è persa in una densa nebbia in cui non si riesce nemmeno ad intuire i contorni ed il senso delle cose, si intravedono sempre più nuovi talenti (dal discutibile valore) sbandierati come maestri indiscussi che scompaiono senza lasciar traccia del loro passaggio. Il fatto ancor più stravagante è che alcuni fra i più promettenti di loro riescono a partecipare a prestigiose manifestazioni nazionali, vincendo ambiti premi per l’arte contemporanea per poi ripiombare in un’oscura girandola di concorsetti provinciali e mostre in gallerie aperte da poco che si lasciano affascinare dal prestigio dei bei tempi che furono. Ed allora viene da chiedersi chi mai comprerebbe le opere di una cometa destinata a bruciare?

John Seward Johnson Jr. e l’arte per tutti

 Forse il nome John Seward Johnson Jr. non vi dice nulla, eppure questo non più giovane artista americano da diversi anni riempie le piazze delle città di tutto il mondo con statue in bronzo raffiguranti gente comune indaffarata nelle attività quotidiane come un padre che insegna al figlio ad andare in bicicletta ed un uomo seduto sulla panchina di un parco intento a leggere il giornale.

Tali opere sono eseguite tramite un elaborato software che trasforma le immagini bidimensionali in modelli, i quali vengono poi letteralmente stampati in tre dimensioni da una macchina collegata al computer. A dispetto della sua celebrità negli Stati Uniti (la sua mostra alla Corcoran Gallery of Art del 2003 ha attirato una folla oceanica di persone) l’arte di Seward Johnson Jr. non è molto amata dalla critica, questo perchè l’artista solitamente riproduce statue di dipinti celebri come Déjeuner Déjá Vu, copia tridimensionale dell’opera di Édouard Manet, Le déjeuner sur l’herbe.

Perchè andare al museo? ve lo dice l’università di Roma

La domanda vi sembrerà bizzarra ed alquanto scontata, forse alcuni di voi non se la sono mai posta e forse qualcuno tentennerà nel dare una risposta certa. Perchè la gente visita i musei d’arte? Secondo gli studi dell’Università di Roma ammirare un’opera d’arte impegna le nostre emozioni ed il nostro intelletto ovviamente quale attività sia preponderante è un criterio che varia a seconda della tipologia di opere esposte nel museo.

La ricerca pubblicata sul Psychology of Aesthetics, Creativity and the Arts e portata a termine dal team capitanato Stefano Mastandrea indica infatti che i musei di arte antica rappresentano per i visitatori un’esperienza cognitiva mentre i musei di arte moderna e contemporanea mettono in gioco le nostre emozioni.