Simon Fujiwara, il divo del momento

Anche la Danimarca e i Paesi Nordici hanno scelto l’artista che occuperà i loro padiglioni alla prossima Biennale di Venezia edizione 2011. Si tratta dell’artista britannico-giapponese del momento che risponde al nome di Simon Fujiwara, nuova stella dell’arte internazionale che è balzata agli onori delle cronache lo scorso anno con l’installazione Museum Of Incest, presentata all’interno sezione Frieze Frame dalla galleria di Francoforte Neue Alte Brücke.

In realtà Fujiwara ha già partecipato ad una Biennale di Venezia, quella del 2009 e sempre nei Padiglioni Danese e Paesi Nordici ad essere precisi. Infatti l’artista faceva parte di quei 24 artisti e gruppi internazionali riuniti da Elmgreen e Dragset per creare una collezione immaginaria, trasformando così gli spazi espositivi in luoghi domestici abitati da un immaginario collezionista. Ma le sorprese non sono affatto finite per Fujiwara visto che l’artista presenterà una performance della durata di un’intera settimana a Performa 11, l’edizione 2011 della biennale della performance di New York.

Biesenbach e Lady Gaga beccati al Moma

La buffa telenovela di Lady Gaga e l’arte contemporanea sembra non aver mai fine e se avete perso qualche puntata vi facciamo il riepilogo di quelle precedenti. Prima Lady Gaga ha collaborato in una grande performance con Francesco Vezzoli al Moca di Los Angeles. Poi il celebre cantante e artista visivo David Byrne ha scritto un post sul suo blog dove asseriva di aver incontrato Klaus Biesenbach, direttore del P.S.1 ad un party. Biesenbach avrebbe detto a Byrne che “Lady Gaga non è un’artista ma una semplice cantante”.

Ovviamente dopo aver letto il post, Biesenbach è andato su tutte le furie ed ha costretto Byrne a correggerlo, scusandosi per l’infondatezza delle sue affermazioni. Ora alcuni blogger statunitensi hanno beccato Biesenbach e Lady Gaga insieme, mentre effettuavano quello che potremmo definire un tour del Moma di New York. Inoltre assieme alla strana coppia c’era anche il poliedrico artista Terence Koh.

Le scarpe di Liam Gillick e Tracey Emin al centro commerciale

Liam Gillick ha intenzione di continuare a stupire pubblico e critica con le sue mirabolanti avventure. Dopo essere stato uno dei primi artisti  della generazione Young British Artists negli anni ’90, Gillick ha esposto in mezzo mondo fino ad arrivare alla sua discussa installazione per il padiglione tedesco alla scorsa Biennale di Venezia. Oggi però Gillick ha deciso di portare la sua creatività nel mondo della moda.

L’artista ha infatti avviato una collaborazione con la celebre firma di Monaco Clemens En August ed ha in seguito disegnato un paio di stranissime scarpe chiamate Left shoe!!! Right shoe!!!. In Pratica Gillick ha praticato dei semplici fori su delle scarpe di pelle nera. Il progetto trae ispirazione da un testo dal titolo Discussion Island/Big Conference Centre che Gillick aveva scritto nel lontano 1997.

Cattelan ma che fai, copi?

 Forse Maurizio Cattelan in questi ultimi tempi è stato un poco abbandonato dal suo alter ego Massimiliano Gioni, anche perchè quest’ultimo è impegnato in molteplici progetti, primo fra tutti quello del New Museum di New York. Come forse molti di voi ben sapranno, Gioni ha collaborato per diverso tempo fianco a fianco con l’ironico ed irriverente artista italiano, rivelandosi una figura chiave per la carriera di quest’ultimo. Alcuni asseriscono infatti che dietro tutte le idee creative di Cattelan si nasconda lo zampino dell’arrembante critico/curatore.

Come dicevamo poche righe fa, forse Gioni non ha più il tempo di seguire passo passo le scelte di Cattelan ed ecco che il controverso burlone dell’arte internazionale già comincia a perdere colpi. Recentemente Cattelan ha realizzato un portfolio di nuove opere per W Magazine, celebre mensile di moda internazionale.

Il nostro ha realizzato delle creazioni in tema con la sua ironia ma (come potete notare nel confronto qui a fianco dove l’opera di Cattelan è sulla destra) l’immagine di Cattelan è pericolosamente simile ad upera di Matthieu Lavanchy dal titolo Mr. Schulmann or the Man in the High Castle, creata esattamente nel 2008.

Il Turner Prize 2010 è più noioso che mai

Le testate dedicate all’arte contemporanea di tutto il mondo, websites compresi hanno fatto rimbalzare la notizia della shortlist del Turner Prize 2010. Ebben gli artisti selezionati quest’anno sono Dexter Dalwood, Angela de la Cruz, Susan Philipsz e The Otolith Group. Siamo qui anche noi a parlarvi di questo fatto poiché da questi nomi emerge una verità alquanto cruda: L’arte britannica ha ormai perso la spinta creativa proveniente dalla generazione Young British Artists. Ovviamente la cosa era nell’aria, un poco come l’esaurimento del petrolio ma trovarsi di fronte al fatto compiuto è veramente disarmante, del resto se prendiamo in esame le ultime due edizioni del premio il lento ma inesorabile declino creativo è sotto gli occhi di tutti.

Eppure quest’anno era stata sbandierata più volte la possibile presenza di Banksy ma nessuno dei giudici del Turner ha preso in seria considerazione la nomina del nostro beniamino che se non altro avrebbe dato una sferzata d’energia al tutto. Ed invece i selezionatori hanno optato per un profilo basso, orientato verso la noia.

“Jan Fabre tratta male gli animali” e Firenze blocca la sua performance

 Jan Fabre lo conosciamo tutti come tutti noi apprezziamo le sue creazioni in bilico tra teatralità, arte e pensiero metafisico. Alzi la mano chi non è rimasto affascinato dalle sue installazioni ed i suoi ambienti presenti alla scorsa Biennale di Venezia. In questi giorni Fabre è in Italia e più precisamente a Firenze per l’inaugurazione del festival Fabbrica Europa per le arti contemporanee ospitato dalla Stazione Leopolda. All’interno della manifestazione l’artista presenterà (il prossimo 12 e 13 maggio)  Another Sleepy Dusty Delta Day, attesissima performance dove tra l’altro figureranno alcuni canarini chiusi in gabbia.

Fin qui tutto bene direte voi, il fatto è che gli animalisti assieme al consiglio comunale hanno creato un putiferio, accusando Fabre di maltrattare e non portare il dovuto rispetto nei confronti degli animali.  Ovviamente le istituzioni non si riferiscono ai simpatici uccellini in gabbia ma ad un comportamento reiterato e (a detta loro)  sconveniente nei confronti degli animali in genere. Recentemente a Palermo, Fabre aveva portato in mostra dei cani impagliati e questo rappresenterebbe un’aggravante che ha fatto andare su tutte le furie gli animalisti.

C’è del marcio nella Grande Mela: dopo la lista nera ora è la volta del Guggenheim

Vi ricorderete sicuramente i nostri due articoli sulla lista nera dell’arte. Bene oggi vi parleremo di un altro fatto decisamente misterioso. Fin dal suo ingresso nel consiglio della Solomon R. Guggenheim Foundation esattamente tre anni fa, Janna Bullock (imprenditrice immobiliare russa) non ha certo disdegnato il circuito patinato dell’arte. Tra fiere, biennali ed altre manifestazioni tra Venezia e Miami la bionda d’assalto ha recitato bene la sua parte di presenzialista indiscussa, stringendo rapporti d’amicizia con artisti e collezionisti, sino ad andare in motocicletta da San Pietroburgo a Mosca insieme agli attori Dennis Hopper e Jeremy Irons e l’ex direttore del Guggenheim Thomas Krens.

Insomma la carriera di Janna Bullock nel campo dell’arte sembrava tutta rose e fiori. Due settimane fa però la donna ha inaspettatamente lasciato la direzione del museo, il suo legale ha dichiarato che la defezione sarebbe stata causata da una questione spigolosa che riguarda il marito Mr. Kuznetsov, un tempo direttore delle finanze in Russia ed ex allenatore di judo di Vladimir Putin.  La questione che è sorta appunto nell’ex Unione Sovietica ha trascinato al suo interno anche Janna Bullock che ora  “deve difendersi da una campagna mediatica maliziosa, vendicativa e diffamatoria” ha aggiunto Robert Wolf il legale della donna. 

A New York: Un documentario su Basquiat e l’ultima mostra della Deitch Projects

L’azienda di beni di lusso LVMH ha già collaborato in passato con diversi protagonisti del sistema dell’arte internazionale come Richard Prince e Takashi Murakami. Oggi il celebre marchio può fregiarsi della collaborazione, ovviamente postuma, di Jean-Michel Basquiat. LVMH ha infatti organizzato una grande proiezione del nuovo documentario sul celebre artista diretto da Tamra Davis dal titolo Jean-Michel Basquiat: Radiant Child.

La prima dell’interessante pellicola si è tenuta lo scorso martedì al MoMa di New York. Va da se che la proiezione ha attirato un nutrito gruppo di vips che non hanno mancato la ghiotta occasione a metà tra il patinato ed il culturale. Tra gli ospiti anche l’artista e regista Julian Schnabel che nel 1996 diresse la celebre pellicola Basquiat, presente anche il collezionista Peter Brant che all’epoca finanziò il film.

Se il sequel è bello come il primo capitolo

Siamo assolutamente certi che i nostri lettori sono anche dei grandi appassionati di cinema. A noi piace il cinema d’autore, quello di Rainer Werner Fassbinder, di François Truffaut o di Andrej Tarkovskij per intenderci. Ma è logico che ogni tanto non disdegniamo un bel film leggero o d’azione, magari accompagnato da pop corn e bibite gassate. Ebbene tra i film per così dire di “cassetta”, specialmente quelli che hanno riscosso un enorme successo al botteghino, è d’obbligo il sequel (oggi va di moda anche il prequel).

Si tratta di un secondo capitolo che molto spesso è nettamente inferiore al suo predecessore ed alle volte presenta soluzioni narrative a dir poco bizzarre che fanno acqua da tutte le parti. Insomma il sequel è quasi sempre una bufala ed altri ulteriori capitoli di una saga non fanno altro che generare noia se non disgusto man mano che il loro numero aumenta. Eppure vi sono rari esempi in cui il sequel regge il confronto con il primo capitolo, anzi magari sembra ancor meglio riuscito.

Melbourne perde un Banksy e Louis Vuitton crea la custodia per iPad

Quando si creano opere di street art bisogna essere consci del fatto che il proprio lavoro potrebbe essere cancellato o rovinato da qualche teppistello di quartiere. Questo ovviamente il nostro beniamino Banksy lo sa bene, visto che nel corso della sua carriera ha subito numerose perdite, opere che sono state inevitabilmente cancellate o rimosse.

Purtroppo siamo qui a parlarvi dell’ennesima opera di Banksy cancellata frettolosamente dalle istituizioni. Tutto è accaduto a Melbourne, in Australia, dove un team di operatori ecologici ha spazzato via un’opera del celebre artista e provocatore. Stando a quanto annunciato dall’agenzia di stampa Associated Press, il sindaco di Melbourne, Susan Riley, ha ordinato la pulizia di alcuni sobborghi della città poiché molti cittadini si erano lamentati della sporcizia e di alcuni scarabocchi presenti sui muri degli edifici.

Al Bp portrait award in finale Daphne Todd con il ritratto della madre…morta

Abbiamo più volte parlato del Bp Portrait Award, concorso artistico britannico tutto dedicato al ritratto quest’anno però la celebre manifestazione è balzata agli onori della cronaca per un fatto a dir poco bizzarro ma senz’altro toccante. L’artista Daphne Todd è stata infatti selezionata tra i finalisti del premio presentando un dipinto che ritrae sua madre, Annie Mary Todd, sul letto di morte. L’artista che ha più volte ritratto la madre nel corso della sua vita ha stretto un patto con quest’ultima, ottenendo il permesso di ritrarla anche dopo la morte.

Così la povera vecchina, una volta spirata (alla veneranda età di 100 anni) è stata trattenuta 3 giorni nella camera ardente per permettere all’artista di fermare la sua immagine su tela.  “ Ho parlato con il servizio di pompe funebri e loro gentilmente mi hanno concesso il tempo e lo spazio per dipingere il ritratto. Il corpo di mia madre è stato posto su di una lettiga con alcuni cuscini, così come quando si trovava in ospedale. Per me quest’atto di ritratte mia madre morta è stata una sorta di terapia, anche se il dolore per la sua perdita è immenso mi sono concentrata sul lavoro senza pensare alla sofferenza” Ha dichiarato Daphne Todd.

Sam Leach vince il Wynne prize con un dipinto…copiato

La lontana Australia è ultimamente balzata agli onori delle cronache per un fatto alquanto buffo che ha suscitato un vero e proprio scandalo all’interno scena artistica locale. Teatro del misfatto un concorso artistico dedicato alla pittura paesaggistica che prende il nome di Wynne Prize. Il primo premio del concorso è andato a Sam Leach che ha così vinto un premio in denaro di 25.000 dollari. Fin qui tutto bene direte voi, il problema è che Leach ha liberamente dichiarato di aver copiato il suo dipinto dall’opera Boatmen Moored on the Shore of a Lake, creata dal pittore Adam Pynacker nel 1660 ed attualmente in collezione permanente al Rijksmuseum di Amsterdam.

Fatto ancor più sbalorditivo è che Leach non ha mai avuto modo di vedere l’originale ma ha copiato l’opera direttamente da una foto presa da internet. Ovviamente tali dichiarazioni hanno letteralmente scioccato e disgustato il pubblico australiano. Eppure Leach ha apportato alcune modifiche al dipinto originale, il pittore ha infatti rimosso alcuni particolari presenti nell’opera di Pynacker come 5 pescatori, una donna con bambino, due barche attraccate, un asino ed un bue, lasciando al posto dei soggetti una landa boschiva pervasa da un oscuro bagliore.

Continua lo scandalo della lobby del mercato americano: i nomi della lista nera

In un nostro precedente articolo vi avevamo parlato di uno scandalo tutto americano. Nel 29 marzo scorso il collezionista Craig Robins ha presentato una causa contro il celebre dealer David Zwirner, sostenendo che quest’ultimo aveva in un certo qual modo piazzato il collezionista in una sorta di lista nera, impedendogli di continuare a comprare opere. L’esistenza di questa lista nera ha mandato in subbuglio il mondo dell’arte. Ma in cosa consiste questa presunta lista nera? In sostanza gli artisti ed i galleristi si impegnano affinché le opere messe in vendita siano comprate solamente da una ristretta cerchia di collezionisti, anche se altri compratori sarebbero disposti ad offrire una cifra più alta per aggiudicarsi tale opera.

I collezionisti facenti parte di questa sorta di club del contemporaneo sono in seguito tenuti a non rivendere le opere in questione  per alcuni anni, anche se il valore delle opere nel frattempo ha raggiunto quotazioni piuttosto alte, chi non rispetta le regole è  piazzato sulla lista nera e non può più acquistare dai galleristi. La corte federale di Manhattan ha quindi ascoltato un supertestimone lo scorso martedì, si tratta di Jack Tilton, celebre dealer, proprietario dell’ex galleria di rappresentanza della superstar Marlene Dumas, artista da cui sembra partita tutta la vicenda.

Arriva Jennifer Rubell con la sua prova del cuoco per l’artocrazia internazionale

La scena dell’arte contemporanea statunitense ha lanciato un nuovo protagonista ma questa volta sinceramente non è certo una figura di cui si sentiva il bisogno. Si tratta di Jennifer Rubell, autodefinitasi pioniera della conceptual food art. Va detto che bisognerebbe spiegare alla Rubell che gli interventi artistici che prevedono l’uso di materiali edibili sono stati sperimentati già decine e decine di anni fa, quindi queste ricerche non hanno nulla di pionieristico. Alcuni giorni fa Jennifer Rubell ha portato alcune delle sue stravaganti creazioni al Brooklyn Museum di New York in occasione del Brooklyn Ball 2010.

La stravagante cuoca (ci piace definirla così più che artista) ha presentato alcune installazioni edibili ispirate ad opere di grandi protagonisti del ventesimo secolo. Tra le opere riprodotte dalla Rubell figuravano Seedbed di Vito Acconci (1972), Fountain di Marcel Duchamp (1917), Ten Heads Circle/Up and Down di Bruce Nauman (1990) Painter di Paul McCarthy (1995),  One: Number 31 di Jackson Pollock (1950) e How to Explain Pictures to a Dead Hare di Joseph Beuys (1965). Ovviamente ogni opera per essere mangiata deve essere distrutta e secondo la Rubell questa pratica catartica e partecipativa è il punto forte della sua arte.