Le proteste in Iran si allargano al mondo dell’arte

In seguito alle utlime elezioni presidenziali dello scorso 13 Giugno 2009, vinte ufficialmente da Aḥmadinejād, ma sulla cui regolarità l’opposizione ha espresso forti dubbi, si è registrata una drammatica  rivolta  sociale in Iran che si è risolta in manifestazioni non autorizzate e scontri di piazza, con un numero indefinito di morti provocato da un intervento delle forze dell’ordine le quali con efferata violenza si sono abbattuto sulle masse.

Il mondo non è stato certamente a guardare è numerose iniziative di supporto sono spontaneamente apparse sia da parte della politica che dal sociale e dallo spettacolo. Anche l’arte contemporanea ha deciso ultimamente di focalizzare l’attenzione sul problema Iran. Il 26 giugno il Chelsea Art Museum di New York ha inaugurato una mostra dal titolo Iran Inside Out, manifestazione tesa ad esplorare il linguaggio artistico di 56 artisti provenienti dal paese islamico.  Contemporaneamente, dall’altra parte del globo anche la Asia House di Londra ospita nei suoi spazi espositivi la mostra Made In Iran una piccola collettiva con giovani artisti, tutti quanti provenienti dalla città di Tehran.

Shepard Fairey ci riprova con Aung San Suu Kyi

In questi giorni sembra che ogni movimento politico abbia bisogno di un logo, di un’icona in cui potersi riconoscere e soprattutto farsi riconoscere. A riprova di ciò esiste il caso Shepard Fairey il famoso street artist creatore della rivoluzionaria immagine di Barack Obama Hope, icona dell’ultima campagna presidenziale Americana che è divenuta parte integrante della politica e dell’immaginario collettivo come in una specie di operazione artistica Warholiana.
Come già più volte scritto nelle pagine di Globartmag, Fairey è stato al centro di numerose noie legali nell’ultimo periodo ma l’artista sembra aver comunque trovato il tempo necessario a produrre una nuova opera. Shepard Fairey ha messo la sua creatività al servizio di una nuova causa raffigurando Aung San Suu Kyi attivista per i diritti umanitari che ha combattuto per anni contro il regime dittatoriale di Than Shwe in Myanmar.

Walking in My Mind camminando nella mente dell’artista

La fortunata serie di summer exhibition della Hayward Gallery di Londra rilancia la recente tradizione di invitare famosi e promettenti artisti di tutto il mondo, trasformando così la galleria in un unico spazio espositivo interno ed esterno. Quest’anno dieci artisti sono stati selezionati per esporre opere che indagano sui meccanismi interni della mente e cioè emozioni, pensieri, memorie e sogni, il tutto rappresentato in tre dimensioni.

Un interessante tema che invita i visitatori ad esplorare i processi creativi degli artisti e getta luce sul momento creativo stesso. La mostra presenta al pubblico sia opere recenti che meno recenti dei seguenti artisti: Charles Avery (UK), Thomas Hirschhorn (Svizzera), Yayoi Kusama (Giappone), Bo Christian Larsson (Svezia), Mark Manders (Olanda), Yoshitomo Nara (Giappone), Jason Rhoades (USA), Pipilotti Rist (Svizzera), Chiharu Shiota (Giappone) e Keith Tyson (UK).

Anche Pechino ha la sua Biennale

Pechino si prepara per una grande manifestazione destinata a proiettarla tra le grandi capitali dell’arte, un evento che porterà più di 70 artisti internazionali nel cuore della metropoli cinese. Si tratta della Beijing 798 Biennale che inaugurerà il prossimo 15 agosto e sarà aperta al pubblico fino al 12 settembre.

“Beijing 798 Biennale verte sulla ridefinizione” afferma il curatore Marc Hungerbühler, “essa trasformerà Pechino in una grande catapulta per movimenti culturali. L’evento è saldamente strutturato dalla base al vertice e cioè dagli artisti alla direzione e non come accade in altri musei ed istituzioni che badano prima ai vertici e poi agli artisti”.

La lunga estate calda della DESTE foundation

Grande mostra al DESTE foundation di Atene con 15 artisti provenienti dalla collezione del magnate Dakis Joannou. L’evento dal titolo A Guest+A Host=A Ghost in visione fino al prossimo dicembre è stato organizzato dal curatore del New Museum Massimiliano Gioni in collaborazione con Maurizio Cattelan, Urs Fischer e Cecilia Alemani.

Organizzato come un incredibile labirinto artistico l’evento propone una serie di incontri simbiotici e relazione parassite, le solo presentations sono spesso bruscamente interrotte da brusche presenze ed inusitata contrapposizioni: i disegni di Kara Walker accerchiano una monumentale tomba di Urs Fischer; Le inquietanti figure di Seth Price affrontano un autoritratto di Martin Kippenberger.

Progetto di collettiva alla galleria Maria Grazia Del Prete

 La Galleria Maria Grazia Del Prete di Roma ospiterà fino al 30 settembre la mostra Progetto di collettiva, a cura di Angelo Capasso, che si propone come una riflessione sulla prima e più seducente forma di esposizione. In mostra, quattro artisti diversi per generazione, nazionalità e percorso: Bizhan Bassiri, Jan Dibbets, Marco Fedele di Catrano e Maria Morganti.

“Progetto” – dal latino prōiectus – è l’azione di distendere. Il termine traduce anche l’anglosassone “design” (omofono e omologo di disegnare, designare, delineare).

Un progetto di mostra collettiva non è soltanto un progetto sul lavoro degli artisti, ma è sull’arte stessa. È un modo per ripensare la mostra collettiva non come ensamble che giustifica un concetto, ma in quanto group-show che propone un concetto. Non verbale, ma visivo.

La galleria Alfonso Artiaco si tinge di grigio

La galleria Alfonso Artiaco di Napoli inaugura il 25 giugno la mostra personale di Alan Charlton. Fedele al suo statement “I am an artist who makes grey paintings” Alan Charlton dagli anni settanta realizza monocromi grigi.

La sua pratica pittorica volta all’essenzialità implica il costante quotidiano confrontarsi con essa, una voluta sapienza nella preparazione dei telai e delle tele eseguita dall’artista stesso insieme al rigore e alla ricerca della composizione della forma epurata dei suoi monocromi. La sua e’ una pittura grigia che si confronta con lo spazio dove e’ esposta, da intendersi in un dialogo architettonico con esso.

Gioco di specchi al museo Carlo Bilotti

 Lo specchio come simbolo della bellezza femminile nella pittura del Cinquecento fino alle avanguardie del primo Novecento. Lo specchio come decorazione nei sontuosi palazzi e nelle dimore regali dove gli spazi si raddoppiano illusionisticamente. Lo specchio dunque nel duplice ruolo di rivelatore di verità e di inganno.

È questo lo spettro illimitato di interpretazioni che offrirà la mostra Speculazioni d’artista. Quattro generazioni allo specchio a cura di Augusta Monferini, Maria Grazia Tolomeo e Alberto Dambruoso ospitata al Museo Carlo Bilotti dal 26 giugno a Roma.

La mostra vuole essere un tentativo di offrire allo spettatore, attraverso una selezione di opere di artisti che hanno operato “coscientemente” con lo specchio dagli anni Sessanta ad oggi, una lettura di questo affascinante strumento in tutte le sue diverse valenze e declinazioni, siano esse di carattere simbolico, estetico, concettuale, percettivo e psicologico.

Rimosso il monumento delle nazioni unite di David Cerny

L’arte pubblica sovente crea problemi di ordine estetico ed etico. Molti monumenti contemporanei sorti in periferie degradate o centri storici invece di abbellire il contesto urbanistico cittadino donando rinnovato splendore con un occhio di riguardo al valore culturale dell’opera stessa si riducono ad esasperanti brutture che vanno a cozzare con l’ambiente circostante producendo solo stupore e raccapriccio.

Roma e Milano sono un valido esempio di orrori monumentali, negli ultimi venti anni queste grandi metropoli sono state letteralmente invase da cumuli di ferro, cilindri di marmo ed altre futili nonché risibili prove di artisti noti e meno noti spalleggiati da giunte comunali ed altre istituzioni politiche con grande sperpero di denaro pubblico. Molti di questi monumenti al brutto sono ora in uno stato penoso, alcuni sono stati rimossi ed altri completamente dimenticati.

Che fare? ci pensa Dan Perjovschi

Che fare?/What Is To Be Done? è un ciclo di eventi partito il 3 aprile negli spazi del Castello di Rivoli. Ogni appuntamento si tiene in una differente area del museo e coinvolge alcuni tra i protagonisti della performance contemporanea.

Che fare? prende il titolo dalla celebre opera di Mario Merz che, realizzata nel vivo della contestazione del 1968, riflette sul dubbio perenne che accompagna l’artista nel relazionarsi con il mondo.

La Performance art nasce negli anni Sessanta e si sviluppa ampiamente negli anni Settanta, anche se esempi di azioni performative si contano già nei primi anni del secolo scorso con le manifestazioni dei dadaisti e dei futuristi. Genere oggi ampiamente riscoperto, la performance occupa un ruolo rilevante nell’arte dei nostri giorni – tra permanenza ed effimero.

Amore e Psiche raccontati come uno storyboard

Sarà inaugurata il prossimo 27 giugno a Spoleto, nella Rocca Albornoziana, la mostra Amore e Psiche. Storyboard di un mito, all’interno del 52° Festival dei due Mondi.

Ideata e curata da Miriam Mirolla, la mostra mette in scena la favola di Amore e Psiche come se fosse lo storyboard di un film, illustrandola con le opere di venti protagonisti dell’arte contemporanea che, nel testo di Apuleio, hanno trovato lo spunto per rappresentare temi come la visione e l’invisibilità, la conoscenza e l’inconoscibilità, il divieto e la sua infrazione, l’anelito all’immortalità, l’istinto di ricerca e il raggiungimento del piacere.

I videoritratti di Robert Wilson a Milano

Dopo il grande successo ottenuto in tutto il mondo, da New York a Mosca, da Miami a San Paolo, apre a Milano al Palazzo Reale la mostra VOOM Portraits dell’artista americano Robert Wilson.

Robert Wilson e’ riconosciuto come una delle figure piu’ importanti della nostra epoca nel teatro, nell’opera e nell’arte. Nella sua carriera piu’ che trentennale con il suo modo di interpretare le arti visive e attraverso l’uso radicale della luce, Wilson non solo ha influenzato il teatro ma ha rivoluzionato con il suo linguaggio design, architettura e media.

Fatevi Misurare da Roman Ondák al MoMa di New York

Il MoMa, Museum of  Modern Art di New York cala per l’ennesima volta il suo asso. La famosa istituzione museale statunitense non paga dell’attuale calendario espositivo tra cui figurano i nomi di Aernout Mik, León Ferrari e Mira Schendel è in procinto di inaugurare il 24 giugno prossimo Measuring The Universe, di Roman Ondák.

L’evento rappresenta il 4° appuntamento dedicato ad una serie di performance che ha già visto tra le sue fila nomi del calibro di Tehching Hsieh, Simone Forti ed Yvonne RainerMeasuring the Universe (2007) è un’opera di recente acquisizione per il MoMa, si tratta di una performance in cui l’altezza di ogni visitatore è annotata sul muro dello spazio espositivo da un operatore del museo adibito ad annotare il nome del visitatore e la data dell’effettiva misurazione in corrispondenza dell’altezza massima della persona misurata.

Musica ed Arti visive alla James Cohan Gallery

Interessante evento lanciato dalla James Cohan Gallery di New York per il prossimo 18 giugno. La mostra collettiva dal titolo White Noise si ripropone di indagare le connessioni tra opere di arte visiva e musicale di artisti e performer di generazioni differenti.

La musica è stata un’importante influenza nell’arte visiva. Con l’avvento del gruppo artistico Fluxus, nomi come John Cage e Nam June Paik hanno inserito nuove sperimentazioni sonore nell’arte. Influenze addizionali come il Rock ed il Punk hanno contribuito a creare un movimento rivoluzionario che ha letteralmente abbattuto le barriere tra le diverse espressioni artistiche.
A trainare l’evento saranno presenti famose opere come Box with the Sound of Its Own Making (1961) di Robert Morris che consiste in un cubo di legno contenente uno speaker che restituisce il suono proveniente da una cassetta sui cui sono incisi i rumori prodotti dalla costruzione stessa del cubo per un totale di 3 ore e mezzo di registrazione.