Claudio Abate per Gino De Dominicis

Nell’ambito Florens 2010, settimana (13 – 20 novembre) internazionale dei Beni Culturali ed Ambientali, nel ciclo Close up, che prosegue ormai da qualche anno alla Galleria Il Ponte il 13 novembre vengono presentati gli Scatti ritrovati di Claudio Abate per Gino De Dominicis. “Avevamo già dedicato un’ampia retrospettiva nel 2008 a Claudio Abate, ma all’interno di Close up vengono presentate alcune immagini che, attraverso il suo sguardo, ci rivelano la personalità, l’estro creativo, la soggettività e il lavoro artistico di Gino De Domincis. Un percorso composto di testimonianze, molte delle quali inedite, per ricordare e rendere omaggio all’uomo, all’artista, all’amico De Dominicis, il quale – ad un certo punto della sua vita – volle distruggere tutte le fotografie che ritraevano lui e le sue opere: un modo per ribadire la sua poetica che metteva al centro l’opera d’arte unica e irriproducibile in una sorta di “carpe diem” artistico.

Questi “scatti ritrovati” ci appaiono come resti archeologici, rarità straordinarie di opere d’arte che sono durate spesso qualche giorno, o addirittura solo poche ore. E’ questo il caso di Lo Zodiaco (1970) o delle forme geometriche disegnate sul pavimento della Galleria L’Attico a Roma. Si tratta di immagini talmente uniche, che hanno assunto un valore parallelo all’opera che documentano, diventando loro stesse opere d’arte.

Liu Bolin, l’artista camaleonte

Mediante la pratica artistica l’uomo tenta di imitare la natura, di riprodurre le cose che vede e che sente, filtrandole attraverso la propria intimità. Questo affermazione risulta ancor più ficcante se si prendono in esame le sbalorditive creazioni di Liu Bolin, giovane artista cinese che oltre ad imitare le cose che lo circondano mira ad assumerne la stessa forma, come una sorta di camaleonte umano. L’artista è nato nel 1973 e lavora a Pechino, nella sua serie di opere denominate Camouflage Bolin dipinge interamente il suo corpo fino a fargli assumere l’estetica di ciò che lo circonda.

Il procedimento che genera questa sorta di body art performance è estremamente laborioso e per portare a termine ogni opera l’artista impiega più di 10 ore. Le opere sono in seguito documentate da una serie di fotografie decisamente affascinanti. Il gesto di Bolin scaturisce dalla voglia di non adattarsi alla società contemporanea, in special modo a quella cinese che molto spesso compie atti di repressione contro gli artisti.

Se Julian Schnabel si scopre fotografo

Julian Schnabel oltre ad essere un celebre pittore è anche uno stimato regista. I suoi giganteschi dipinti sono stati esposti in tutto il mondo ed il suo film Lo Scafandro e La farfalla del 2007 è stato nominato a ben quattro Oscar.  Fin qui niente di nuovo direte voi. La vera notizia è che da parecchio tempo l’artista coltiva anche una passione non troppo segreta per la fotografia e dobbiamo dire che anche in questa disciplina riesce ad eccellere.

Schabel però non fotografa i suoi soggetti con una comune macchina professionale, bensì con un’ingombrante Polaroid fatta a mano, un vero e proprio prototipo sviluppato negli anni ’70 che somiglia ai vecchi marchingegni con cui si eseguivano i dagherrotipi. La macchina fotografica di Schnabel è inoltre una vera e propria rarità visto che in tutto il mondo ne esistono solo sei.

L’imperfezione salverà il mondo (dell’arte)

Anche se probabilmente la pellicola è ancora superiore o quantomeno con le sue imperfezioni riesce a ricreare un vasto spettro di ricordi in ognuno di noi, il digitale ha praticamente invaso il mondo della fotografia. L’arte contemporanea, da par suo, si è letteralmente aperta a questo dirompente assalto ed anche se questa trasformazione ha spalancato le porte a nuove e meravigliose visioni, negli ultimi tempi le cose sono un tantino cambiate e tutto è divenuto un poco noiosetto.

Questo forse perchè tra gli artisti c’è troppa ossessione per il lato tecnico, per la perfezione delle luci e dei soggetti. C’è troppo lavoro su Photoshop, ci sono troppi trucchetti che ormai tutti conoscono, ed infine troppi plugins sviluppati da terze parti che livellano ogni immagine, rendendola identica ad un milione di altre. Mancano le idee ma soprattutto manca la spontaneità, abbondano i pixel, le lenti speciali e le luci fluo.

James Franco si traveste e Adobe lancia il museo digitale

Terry Richardson colpisce ancora, questa volta con l’aiuto di James Franco. L’attore è ormai una conoscenza abituale nel mondo dell’arte contemporanea dato che sta tentando in tutti i modi di forzare le barricate e comprarsi un posto all’interno del sistema. Richardson ha fotografato Franco nei panni di un transgender con tanto di guanto di pelle in bella mostra.

Il frizzante scatto apparirà sulla copertina del secondo numero di Candy Magazine, pubblicazione che si è ironicamente autodefinita come “Il primo magazine di stile transversale“. Il magazine sembra piuttosto interessante ed al suo interno sono presenti articolo che giocano sui gender e sull’alta moda. Oltre a James Franco, Richardson ha fotografato anche Luis Vegas, l’editore del magazine, che nello scatto impersona il leader di Vogue, Anna Wintour.

Gregory Crewdson porta Cinecittà a New York

Roma è ormai sulla giusta strada per diventare una protagonista del contemporaneo, ne danno prova i successi di pubblico del Macro con la nuova ala di Via Reggio Emilia e quelli della fiera d’arte alla Pelanda ed ancora il boom di presenze del novello Maxxi (non ultimo quello registrato nel corso dell’apertura gratuita per Giornate Europee del Patrimonio sabato 25 e domenica 26 Settembre 2010).

Questa volta è però un grande artista del contemporaneo ad utilizzare la Città Eterna come set ideale di un nuovo ciclo di opere. Stiamo parlando del grande Gregory Crewdson che in questi giorni (fino al 30 ottobre) è ospitato dalla prestigiosa Gagosian Gallery di New York ed a esser precisi, nella sede di Madison Avenue. In un denso bianco e nero che avvolge ogni immagine come una nube dove si materializzano presenze architettoniche desolate, l’artista propone la visione di una Roma fittizia, di una città deserta, animata dal sogno del cinema.

Muybridge e Photoshop – La Cappella Sistina a rischio

Strano ma vero, più di 100 anni prima di Photoshop, Eadweard Muybridge era già a conoscenza di alcuni trucchi per manipolare le immagini fotografiche. In questi giorni la Tate Britain ospita 8 dall’8 settembre al 16 gennaio) una grande retrospettiva dedicata all’uomo che per primo ha affrontato il mezzo fotografico in termini artistici.

Raggiunto dai microfoni del Guardian, Ian Warrell co-curatore della mostra ha svelato alcuni giochi di prestigio di Muybridge: “Prima delle scoperte del grande maestro, I fotografi non usavano l’otturatore, toglievano la lente, contavano e la rimettevano a posto. Muybridge inventò inoltre lo zoopraxiscopio, una sorta di proiettore con cui manipolava le foto. Inoltre era sua abitudine tagliare ed incollare parti di differenti negativi e ricolorare le foto”.  Insomma Photoshop non ha inventato nulla di nuovo.

Un nuovo libro svela i segreti dell’autoritratto fotografico


Sin dai primordi della fotografia gli artisti si sono cimentati nell’arte dell’autoritratto, spingendo sia le loro sperimentazioni che la visione creativa oltre i limiti del mezzo tecnico. Già nel 1840 Hippolyte Bayard si ritrasse nei panni di un suicida in una fotografia intitolata Self Portrait as a Drowned Man ( autoritratto come uomo affogato). Ritraendo se stesso in toni decisamente drammatici, Bayard divenne il primo fotografo a scattare un autoritratto ed anche un pioniere della fotografia concettuale.

Giungendo ai nostri giorni, il libro Auto Focus: The Self-Portrait in Contemporary Photography di Susan Bright è un valido supporto per comprendere come viene affrontato il tema dell’auto ritratto dagli artisti del contemporaneo. Susan Bright inizia proprio con il mettere al confronto l’autoritratto di Bayard con Portrait of Something That I’ll Never Really See ( ritratto di qualcosa che non ho mai realmente visto ) di Gavin Turk del 1997 che ritrae l’artista da morto.

I Colorama tornano finalmente in mostra


Avete presente i Colorama? Bene per quanti di voi non li conoscessero i Colorama erano delle trasparenze retroilluminate stampate con un ingranditore speciale create dalla Kodak per pubblicizzare il proprio marchio. I Colorama erano immensi, tali fotografie che molto spesso fissavano scene di vita quotidiana americana, potevano raggiungere i 5 metri e mezzo di altezza e i 18  metri di lunghezza misure impensabili per i comuni apparecchi di stampa dell’epoca.

Stiamo infatti parlando del 1950 e la Kodak decide di piazzare le sue “foto più grandi del mondo” proprio dentro la Grand Station di New York. Per anni quelle gigantografie simbolo di un benessere e di un capitalismo ormai agli sgoccioli, hanno attirato l’attenzione di oltre 650mila turisti e passeggeri. Questo almeno fino al 1990, anno in cui la Kodak ha deciso di terminare la produzione di quelle meraviglie che descrivevano di volta in volta le giornate di vacanza, i paesaggi naturali fino ad arrivare a momenti storici come lo sbarco sulla luna.

La nascita della luce di Henry Fox Talbot in mostra a Castelnovo del Friuli

Dal 13 agosto fino al 3 ottobre 2010 la Villa Sulis di Castelnovo del Friuli, ospiterà un’interessante mostra dal titolo De luce primigenia, dedicata alle spettacolari immagini realizzate da William Fox Henry Talbot. Il CRAF conserva nei suoi archivi una preziosa collezione di 50 calotipi realizzati dallo Science Museum di Bradford dai calotipi originali di Fox Talbot prodotti in occasione del 150° anniversario dell’invenzione della fotografia.

I primi esperimenti di William Fox Henry Talbot (Melbury, Dorset, 11 febbraio 1800 – Lacock Abbey, Wiltshire, 17 settembre 1877) nel campo della riproduzione di immagini furono portati a termine nella primavera del 1834 a Lacock Abbey. Copri’ dei fogli di carta da scrivere con una soluzione di sale comune e nitrato d’argento, rendendoli sensibili alla luce. Fu sufficiente posare una foglia sulla carta ed esporla alla luce per rendere scure le zone non protette dalla luce. Ottenne cosi’ un negativo della foglia. Chiamo’ questa tecnica shadowgraph, sciadografia.

A Parigi la morte ti fa bella in una grande mostra tra vecchio e nuovo

I pittori del 17esimo secolo avevano sviluppato un affascinante linguaggio simbolico per mostrare al mondo la natura effimera dell’esistenza umana, descritta il più delle volte come una condizione preparatoria per la vita ultraterrena. Oggi il curatore Alain Tapié ha deciso di rinnovare questo schema simbolico vecchio di secoli nel corso di una mostra dal titolo Vanité, Mort que me veux-tu? (Vanità, Morte cosa vuoi da me?) ospitata fino al prossimo 19 settembre dalla Fondazione Pierre Bergé di Parigi.

“La vanità in pittura può offrire molti spunti su cui riflettere, essa può essere un’ossessiva ed allo stesso tempo affascinante espressione della bellezza naturale ma anche della perfezione delle forme o di una tecnica sublime” ha evidenziato Tapié parlando della sua manifestazione. La mostra comincia con la pittura nord europea caratterizzata da composizioni ricche di fiori appena sbocciati ed altri elementi radianti contrapposti a segni di morte come teschi o ratti.

Il MoMa di New York prepara la sua New Photography


Appropriarsi di fotografie scattate da altri è sempre stata una pratica comune nel variopinto mondo dell’arte contemporanea. Molti artisti hanno cannibalizzato immagini prese dai cartelloni pubblicitari, le hanno ingrandite, modificate e le hanno esposte in musei e gallerie. E tra i nomi di quelli che lo hanno fatto con grande continuità spiccano Andy Warhol, Dash Snow e Richard Prince. Il MoMa, Museum of Modern Art di New York ha intenzione di organizzare ( il prossimo autunno ) una mostra dedicata a questa bizzarra ma estremamente creativa pratica, le regole però saranno un tantino diverse.

Le foto in mostra saranno infatti rifacimenti di immagini commerciali e pubblicità create dagli artisti stessi che parteciperanno all’evento. In sostanza ai fotografi in mostra verrà chiesto di riprodurre una loro creazione, cambiandola in maniera sostanziale. Un ritratto per la copertina di un giornale di moda o una foto per il lancio di un nuovo rossetto diverranno immagini totalmente diverse, pur mantenendo la loro essenza. 

Scoperte nuove inestimabili foto di Ansel Adams. Ma saranno poi vere?


L’artista Rick Norsigian ha molte ragioni per gioire, alcuni negativi che aveva comprato dieci anni fa da un rigattiere per 45 dollari oggi potrebbero valere circa 200 milioni di dollari. La rocambolesca storia comincia a Fresno a 260 Km da San Francisco. Rick Norsigian decide di acquistare per un (è il caso di dirlo) pugno di dollari una scatola piena di negartivi. Tornato a casa Rick sviluppa le foto e scopre un’incredibile somiglianza con le immagini scattate da Ansel Adams (1902-1984) vero e proprio maestro statunitense della fotografia in bianco e nero.

Letteralmente sbalordito dalla scoperta, Rick tenta di far autenticare la fotografie ma per dieci anni nessuno gli crede: “Non esistono autorità ufficiali in grado di autenticare le fotografie, contrariamente a quanto succede in pittura. Inoltre le opere non hanno nessuna firma che possa condurre all’artista che le ha scattate”.

Grande Successo e il Premio Celeste 2010 proroga le iscrizioni

La deadline fissata per le iscrizioni al Premio Celeste 2010 era stata fissata per il 31 luglio 2010 ed invece il grande numero di partecipazioni ha convinto gli organizzatori a posticipare il termine ultimo per le iscrizioni. Sono oltre mille le opere attualmente iscritte all’edizione 2010 del celebre concorso italiano. C’è ancora tempo fino al 6 agosto per partecipare iscrivendosi online direttamente sul sito della manifestazione.

Premio Celeste è un concorso dedicato all’arte contemporanea che ogni anno prevede l’organizzazione di una mostra di 60 opere finaliste; l’organizzazione di altre mostre in Italia ed all’estero; la creazione di un catalogo con 250 opere illustrate a colori che ogni anno fa il punto della situazione della pittura, fotografia, video, scultura, installazione e lavori multi-mediali in Italia. La qualità, la ricerca, l’innovazione e la contemporaneità sono i criteri fondamentali della selezione delle opere. La selezione delle 40 opere finaliste avviene attraverso un processo totalmente trasparente. Ciascuno dei 22 critici incaricati delle selezioni renderà pubbliche le sue scelte sul sito.