La performance va di moda alla Tate

La performance art non è più un semplice documento, un video o una fotografia, uno slideshow o il rinforzino di una qualsivoglia mostra museale, da ammirare a “bocce ferme”. La performance art è oggi una delle tecniche creative più corteggiate da istituzioni pubbliche e private ed è sempre più supportata da strutture e manifestazioni che ne facilitano la fruizione “live”.

La Tate Modern di Londra, ad esempio, lancerà ben presto una nuova programmazione denominata The Tanks, una sorta di festival della performance che si protrarrà per ben 15 settimane e a cui parteciperanno artisti quali  Anne Teresa De Keersmaeker, Eddie Peake, Anthony McCall, Ei Arakawa, Tania Bruguera, Undercurrent, Haegue Yang, Jeff Keen, Boris Charmatz, Performance Year Zero, Aldo Tambellini, Filmaktion e Juan Downey.

Se 100% Brumotti incontrasse James Turrell…

 

Oltre alle installazioni luminose, James Turrel ha prodotto una notevole quantità di spazi autonomi, costruzioni  denominate Dark Spaces e Skyspaces studiate per alterare le percezioni del fruitore. Una dei progetti più celebri in tal senso è il Roden Crater Project, progetto finanziato dal conte Giuseppe Panza di Biumo a cui Turrell si sta dedicando dal 1974. Parliamo della trasformazione di un cratere vulcanico in un’opera d’arte, un “monumento alla percezione” costituito da installazioni ipogee che moltiplicano e la potenza dei fenomeni luminosi.

Il Roden Crater Project è un’opera in continuo divenire, ma c’è un’altra opera di Turrell, completata da un bel pezzo, che invece appare in continuo disfacimento. Stiamo parlando di Blueblood (1998), Skyspace installato negli spazi esterni del Santa Fe Center For Contemporary Arts, negli Stati Uniti. L’opera, inizialmente pensata per raccogliere la luce è attualmente adibita a raccogliere le erbacce e sembra sia destinata a tornare velocemente alla natura.

Tony Oursler alla FaMA Gallery di Verona

Tony Oursler è il protagonista della mostra a cura di Danilo Eccher che FaMa Gallery inaugura il 28 settembre 2012.  Dopo l’importante mostra antologica che il PAC – Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano gli ha dedicato nel 2011, il celebre artista multimediale americano torna in Italia per presentare negli spazi della galleria veronese una serie articolata di nuovi lavori, tra cui due grandi installazioni, tre micro sculture e una serie di dipinti con immagini animate.

Denouement, questo l’enigmatico titolo della sua personale – aperta fino al 21 dicembre 2012 – che richiama quel momento centrale e di grande intensità tipico di ogni narrazione – sia essa per parole o per immagini – nel quale l’intreccio è svelato e che getta nuova luce sull’intera trama. L’indagine che Oursler mette in campo sulla complessità delle interazioni sociali e sul modo in cui le tecnologie influenzano e ridefiniscono la nostra psicologia e il nostro essere nel mondo, utilizza gli strumenti propri alla comunicazione contemporanea per realizzare delle opere che, fondendo diversi registri espressivi e approcci formali, interrogano i meccanismi propri all’odierna cultura popolare.

Paola Pivi e l’aeroplano capovolto

Come ben ricorderete, il nostro beneamato Jeff Koons ha da diverso tempo in tasca un progetto a dir poco faraonico. Il re del pop avrebbe infatti già progettato una scultura che riproduce una locomotiva a grandezza naturale attaccata ad una gru. Secondo i piani,  il treno dovrebbe penzolare a testa in giù sull’High Line di New York, un parco lineare costruito esattamente sui binari dove scorreva una vecchia linea metropolitana.

 La locomotiva di Koons è una riproduzione di un Baldwin del 1943 e, udite udite, sarà realmente in funzione tanto che tutti potranno veder le ruote muoversi con fumo e fischio annessi. 25 milioni di dollari dovrebbe essere il costo dell’intera produzione ma ad oggi i lavori sono fermi per mancanza di fondi. Nel mentre qualcuno ha già battuto sul tempo Koons, installando non una vecchia locomotiva bensì un modernissimo aeroplano.

Chuck Close ed il filtro photoshop gratuito

Cosa succede se uno degli artisti più ricchi del mondo ti ordina di non creare più le tue opere d’arte? Gli dai retta o continui per la tua strada, infischiandotene? Questa bizzarra vicenda si è sviluppata non molto tempo fa ed ha come protagonisti principali il celebre artista Chuck Close e Scott Blake, giovane ed intraprendente digital artist. Nel 2001, Blake iniziò a lavorare al suo Chuck Close Filter, un’idea nata dopo aver partecipato e vinto gli Adobe Design Achievement Awards per il Barcode Jesus, un filtro per il famoso programma di fotoritocco Photoshop.

Dopo aver studiato attentamente ogni singola tessera che va a formare i celebri ritratti di Close, Blake riuscì a mettere a punto un filtro fenomenale, capace di riprodurre all’istante i dipinti del grande artista, partendo da una semplice foto. Sette anni dopo, nel 2008, grazie alla connessione a banda larga, l’artista riuscì a mettere online il filtro. A quel punto però, Chuck Close si accorse del fattaccio e spedì una mail a Blake.

VIR Open Atelier

Calling Upon#4 – “Misurazione, agonismo e resistenza”

Nel testo Problems and Projects del 1972, Nelson Goodman afferma che la funzione di un sistema costruttivo non è di ricreare l’esperienza, ma di cartografarla. Un costructional system non è solo un modo di vedere il mondo, ma anche, e soprattutto, di farlo, di costruirlo, mettendo in evidenza le pratiche e le strategie che lo hanno progressivamente composto. Appoggiandosi a questa suggestione, l’apertura delle porte di VIR sfrutta la formula  dell’open studio non come l’occasione per formalizzare – una volta per tutte e in maniera definitiva – l’attività dei quattro progetti in residenza, ma come un tentativo di comprendere in che modo essi hanno cercato di “fare sistema”.

Constructional system si mostra come una situazione aperta, ancora opaca, in bilico tra il momento espositivo e il laboratorio, in cui le pratiche presentate sono ancora operative e immerse nella ricerca. Aprire lo studio significa a sua volta cercare di rendere cartograficamente e in maniera temporanea lo stato d’avanzamento del lavoro e della produzione che ha popolato il territorio di VIR nell’arco dei mesi di maggio, giugno e luglio cercando di afferrare la vita del luogo e le corrispondenze emerse tra i diversi progetti che si sono trovati a convivere in uno spazio comune.

Parte OSTRALE 2012, fra gli italiani c’è Davide Orlandi Dormino

  

Avete mai sentito parlare di OSTRALE? Stiamo parlando di uno degli appuntamenti più originali della Germania. OSTRALE giunge quest’anno alla sua sesta edizione in quel di Dresda ed è ospitato da un’area industriale di estremo valore storico che si espande su 15.000 metri quadrati interni e 50.000 esterni. Il tema di quest’anno è incentrato sul talento locale, sul potere autonomo dell’arte contro i conflitti politici e sociali nazionali, regionali e locali.

Anche se il tema centrale potrebbe far pensare ad una manifestazione esclusivamente focalizzata sulle realtà locali, OSTRALE si apre invece alle esperienze internazionali,  dal 13 luglio 1l 16 settembre 2012 verranno infatti ospitati 245 artisti provenienti da 33 paesi del mondo accuratamente selezionati tra 700 proposte pervenute. A rappresentare la nostra nazione ci sarà Davide Orlandi Dormino che per l’occasione ha portato l’installazione scultorea intitolata L’origine della trama.

Il MOCA e le mostre-discoteca

 

Il licenziamento di Paul Schimmel da curatore capo del MOCA di Los Angeles, giunto dopo 20 anni di onorata carriera, ha gettato sinistre ombre sui vertici della prestigiosa istituzione. Secondo alcune voci interne, Schimmel non ha mai completamente digerito la programmazione del direttore Jeffrey Deitch e questi non ha fatto altro che porre fine agli attriti liberandosi del problema alla radice.

La scellerata gestione di Deitch, che di fatto ha trasformato il MOCA in una galleria privata ultrapop, non accenna a cambiare di una virgola.  Il museo losangelino ha infatti già messo in programma una mostra chiamata Fire in the Disco, vale a dire una retrospettiva ragionata sulla storia della disco couture sul suo impatto sull’arte, sulla moda e sulla musica in generale.

Videoart Yearbook 2012

Ritorna l’appuntamento estivo con la videoarte: settima edizione della kermesse bolognese L’11 luglio in Santa Cristina il meglio della videoarte, ospiti speciali e un omaggio a Diego Zuelli Fedele a una tradizione ormai consolidata, anche quest’anno il Dipartimento delle Arti Visive e la Scuola di Specializzazione in Beni Storici Artistici, che ne è parte integrante, celebrano il culmine dell’estate con un evento culturale e festoso nello stesso tempo, presentando un ricchissimo programma fondato sulla videoarte.

Questa forma tecnica ed espressiva è soltanto un minimo settore dell’amplissimo arco storico-disciplinare che le due istituzioni abbracciano, ma si raccomanda sia per il poco costo con cui è possibile raccoglierne e mostrarne i prodotti, sia soprattutto per il ruolo sempre più rilevante che la videoarte ha assunto, fungendo da punto di confluenza di ogni altro genere e tecnica. Si può ben dire che oggi tutte le arti si concentrano nel video, così come in altri tempi avveniva per il dramma o per la musica.

Gli inglesi trovano 45 milioni di sterline per la Tate Britain…e noi?

Qualche tempo fa la Tate Britain aveva dichiarato di essere alla disperata ricerca di 45 milioni di sterline per urgenti lavori di ristrutturazione. Tra i vari interventi richiesti dalla prestigiosa istituzione figuravano il rinnovamento della scalinata a spirale posta nell’atrio, l’edificazione di un nuovo cafè, di una nuova entrata per scolari ed il rinforzo della pavimentazione di alcuni spazi espositivi, in modo da poter ospitare imponenti sculture ed installazioni.

Dalle nostre parti questa cifra avrebbe spaventato non poco i vertici di qualunque museo, ve li immaginate i vertici della Pinacoteca di Brera alle prese con un restauro da 50 milioni di euro? Beh, la vecchia istituzione avrebbe certamente bisogno di un lifting ma una cifra che è quasi la metà di quella con cui è stato edificato il MAXXI di Roma è praticamente impossibile da racimolare nel nostro belpaese.   

Fare sistema è impossibile se l’invidia impera

Il mondo dell’arte contemporanea nostrano ha un disperato bisogno di partecipazione ed energie positive. Detto così sembra facile ma vi assicuro che all’interno della scena dell’arte contemporanea nostrana è molto difficile ottenere questi due elementi alchemici. Ma per quale motivo è impossibile generare energie positive e partecipazione? Beh perché dalle nostre parti l’invidia tra gli addetti al settore impedisce una serena crescita del sistema, ma facciamo un esempio pratico.

Partiamo quindi da una mostra, una delle tante organizzate da un curatore della vostra città. La mostra si tiene in un museo pubblico e vi partecipano un buon numero di artisti. Al momento dell’inaugurazione tutti gli addetti del settore della città si recheranno all’evento e già dopo pochi minuti dal fischio d’inizio cominceranno la loro danza della pioggia.

Roberto Coda Zabetta alla Certosa di San Giacomo di Capri

Sabato 28 luglio alle ore 19.00 negli spazi della Canonica della Certosa di San Giacomo a Capri con la direzione di Rossana Muzii, l’Associazione Culturale ArteAs presenterà la mostra personale di Roberto Coda Zabetta dal titolo “VERDADE” a cura di Guilherme Bueno, Maria Savarese e Maurizio Siniscalco. L’esposizione è promossa dalla Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico, Etnoantropologico e per il Polo Museale della Città di Napoli e dall’Associazione Culturale ArteAs di Maurizio Siniscalco.

La mostra, con il Patrocinio della Città di Paraty gemellata con la Città di Capri, dell’Istituto Italiano di Cultura di Rio de Janeiro e della UERJ – Universidade do Estado do Rio de Janiero, presenta 27 lavori inediti, in anteprima assoluta italiana, che verranno successivamente presentati al MAC – Museu de Arte Contemporânea de Niterói a Rio de Janeiro dal 30 settembre al 3 novembre 2012. “VERDADE” (“VERITÁ”) prende spunto dalla memoria di quanti hanno sofferto la detenzione in uno dei più spietati sistemi di prigionia del mondo: quello delle carceri brasiliane, durante il periodo di dittatura dal 1964 al 1984.

David Cronemberg bissa il flop con Cosmopolis

Quel geniaccio di David Cronemberg non ha certo bisogno di presentazioni, alcune sue pellicole come Scanners, Videodrome, La mosca, Inseparabili, Il Pasto nudo e Spider possono bastare ad annoverare il suo nome nei libri di storia del cinema e non solo. A volte però anche i geni infallibili prendono incredibili cantonate, sarebbe a dire le classiche eccezioni che confermano la regola.

Il nostro Cronemberg, dopo aver sfornato un capolavoro come La promessa dell’assassino, ha poi prodotto un’opera alquanto discutibile e prolissa come A Dangerous Method. C’era quindi molta attesa per questo Cosmopolis, ultima fatica del regista canadese tratta dall’omonimo romanzo di Don DeLillo. Attesa che in parte è stata tradita dall’estrema complessità di un film che a volte si annoda su sé stesso.

Palazzo Collicola, CIAC e i musei che funzionano

CIAC di Genazzano

Chiunque si trovi a passare al MADRE di Napoli in questi giorni di buriana, troverà un museo vuoto ma con biglietto a pagamento. Già, tre euro e rotti per ammirare un silenzio cageano che con l’arte ha poco a che spartire. Del resto anche il PAN non naviga in acque sicure. Ma a ben guardare, la lista dei musei italiani sul rischio della bancarotta è ben più lunga ed ogni giorno qualche realtà cittadina sparisce dalla lista degli spazi dedicati alla cultura, ultimo in ordine di tempo l’EX3 di Firenze.

Colpa dei tagli? No, o almeno non solo. La colpa è da attribuirsi al nostro pantagruelico e pigro sistema di gestione dei musei. Solitamente chi prende la poltrona non si sbatte più di tanto alla ricerca di sponsor e quanto altro e per quanto riguarda il programma espositivo basta tirare avanti la baracca alla meno peggio e tutti sono felici.