Vademecum della Video Arte italiana


La video arte è oramai regina di ogni manifestazione artistica, in ogni grande museo ed in ogni prestigiosa galleria nazionale ed internazionale questo media è talmente presente da divenir quasi inflazionato e vagamente compiaciuto di se stesso. La causa di questa popolarità oltre alla meraviglia che da sempre producono le immagini in movimento nel pensiero collettivo è da attribuirsi all’enorme influenza che la nostra società dell’immagine esercita sulla fantasia degli artisti, spingendoli sempre più spesso a creare mediante l’uso del video.

Eppure tutto questo fermento non riesce a trovare nel nostro paese un ricambio generazionale capace di entusiasmare ed imporsi sulla scena internazionale. I nostri video artisti sembrano come inceppati nella loro stessa macchina da presa digitale che li costringe a concentrarsi unicamente sulla forma e non sul concetto. La loro esperienza visiva sembra appiattirsi ed uniformasi su di un ipotetica linea stilistica dominata da una serie di effetti e filtri elettronici mirati unicamente all’estetica fine a se stessa e non alla poetica dell’immagine.

I ‘pochois rue’ di MISS.TIC approdano alla Wunderkammern

Dopo Invader, Ludo, Mark Jenkins ed Escif la galleria WUNDERKAMMERN presenterà sabato 19 Gennaio 2013 un’altra personalità di rilievo internazionale dell’urban art: MISS.TIC. La francese è famosissima a Parigi dove, fin dal 1985, adorna le strade attraverso un particolarissimo stile caratterizzato dall’insolito connubio tra estetica glamour e arte della poesia. Artista e poetessa, come lei stessa si definisce, MISS. TIC da decenni si distingue per aver ideato i ‘pochoir rue’ in cui sono fusi elementi tipicamente Pop con l’intensità di testi ricercati.

La noia dell’arte contemporanea è un fenomeno globale

 Forse stavate pensando anche voi la stessa cosa ma non avevate il coraggio di dirla oppure eravate troppo annoiati per pensarla: il palinsesto delle mostre di arte contemporanea offerto da gallerie e musei d’Italia è decisamente ad un punto morto. Già, è decisamente arduo trovar qualcosa di pur minimamente interessante tra le nuove proposte dell’arte, molti artisti sono ancora inceppati sull’informale altri caricano i loro moschetti con le polveri bagnate dell’arte povera, del concettuale e dell’iperrealismo. I più si perdono in un vagheggio pomposo ed inconcludente quanto svuotato di ogni significato che scimmiotta il mito americano del pop o si pone in bilico tra un Marcel Duchamp senza gabinetto ed un Joseph Beuys senza feltro e grasso.

Yoko Ono, antipatica regina dell’arte

Yoko Ono, Leone d’oro alla carriera alla Biennale di Venezia 2009, artista eclettica e sfuggente che in questi ultimi anni è stata consacrata regina dell’arte contemporanea. La moglie di John Lennon non è mai stata tanto amata come ora, tutti vogliono intervistarla e tutti sono pronti ad applaudirla per la sua brillante e longeva carriera artistica.

Eppure la storia di Yoko Ono con il grande pubblico non è stata sempre rose e fiorì. L’artista è stata negli anni passati letteralmente odiata da milioni di fans dei leggendari Beatles che l’hanno più volte accusata di essere stata l’unica causa della rottura tra i quattro ragazzi di Liverpool. Basta fare un rapido giro su youtube e guardare i commenti zeppi di offese posti sotto ai video che raffigurano la coppia Ono-Lennon. Forse il mondo non è mai riuscito a digerire il quinto membro dei Beatles, che conobbe Lennon nel 1966 quando la sua carriera artistica era in netta ascesa. Ed al momento dell’unione con Lennon nel 1968, Yoko Ono era già una donna determinata in un mondo di uomini, una musa silenziosa dall’estrema carica creativa che l’aveva portata ad unirsi ai primi membri del movimento Fluxus assieme a Joseph Beuys, Dick Higgins, Nam June Paik, Wolf Vostell e La Monte Young. 

Moba, il museo dell’arte brutta

La lista delle istituzioni museali internazionali dedicate all’arte contemporanea è decisamente lunga, si potrebbe dire infinita. Anche in Italia i musei d’arte contemporanea spuntano come funghi e non vi è dubbio che il successo delle grandi manifestazioni internazionali altro non fanno che incoronare le arti visive della nostra epoca come le più seguite di sempre.

A questo successo di critica e botteghino molte volte fa da contrappunto la disarmante bruttezza sia in termini formali che filosofici di alcune opere che devono per forza trovare un salvifico palliativo nelle parole di curatori e critici i quali servono ad indorare la pillola al pubblico pagante, glorificando il lavoro dell’artista di turno. Insomma non si tratta di un fenomeno tutto italiano, dell’arte brutta n’è pieno il mondo. Musei e gallerie propongono a volte progetti talmente flebili e volgari che la loro insulsa pretestuosità sembra essere l’unico guizzo di sperimentalismo e la sola pregevolezza estetica.  Di questo devono esserne assolutamente certi alcuni signori di Boston che hanno deciso di fondare nell’autunno del 1993 il Moba, Museum of Bad art, l’unica istituzione museale privata al mondo ad esporre arte decisamente e volutamente brutta.

The Vogels, l’amore per il collezionismo

 La storia di Herbert e Dorothy Vogel è troppo bella per essere vera, talmente perfetta e romanzata che Megumi Sasaki ne ha tratto un curioso e non  proprio eccelso film documentario uscito nelle sale americane quest’anno dal titolo Herb and Dorothy.

La storia di Herbert e Dorothy Vogel tuttavia è del tutto reale e molto più affascinante di un milione di romanzi o films. Agli inizi degli anni ’60 i coniugi Vogel rispettivamente impiegato delle poste e bibliotecaria ben lungi dall’essere benestanti, si sono messi in testa di collezionare opere, spinti da un comune quanto appassionato amore per l’arte contemporanea. Un atto del collezionare nato dalla sola curiosità senza l’aiuto di critici, galleristi o art advisors e fondato principalmente sull’intuito.

The Residents, Luther Blisset, Artists Anonymous e l’arte anonima

Oggi Globartmag focalizza l’attenzione sull’anonimato artistico. Parliamo di  The Residents,  realtà artistica storica della scena underground americana in bilico tra il grottesco e lo sperimentale. The Residents è  un gruppo di visual artists e musicisti del tutto stravagante, nel corso della loro lunghissima carriera esattamente dal loro primo album Meet The Residents, questo squinternato quartetto caratterizzato dalla famosa maschera con un gigantesco bulbo oculare al posto della testa non ha mai smesso di produrre arte d’avanguardia.

Tra i loro lavori più famosi ricordiamo  One Minute Movies, degli esperimenti filmici di un minuto in bilico tra video musicale e video arte che rappresentano un vero e proprio punto di unione con  The Commercial Album un disco con 40 brani di circa 60 secondi ciascuno uscito nei primi anni ’80

Joseph Beuys e la musica pop

Joseph Beuys, uno dei portavoce più rappresentativi delle correnti concettuali nell’Arte della seconda metà del Novecento è tuttora tra gli artisti più amati e più quotati del mondo.

La sua presenza carismatica e il suo stile totalmente fuori dalle convenzioni oltre a donargli la fama internazionale ha propagato la sua influenza artistica sino ai giorni nostri ed in molti lavori di giovani artisti è sovente il richiamo all’arte del maestro tedesco. Tutta l’opera di Beuys è un estremo agglomerato di arte e vita in cui l’oscuro simbolismo si fonde con un elemento biografico.

Inviti cartacei addio, il futuro deve essere l’e-mail

Una volta tanto parliamo di ambiente, ovviamente la tematica è strettamente legata al mondo dell’arte. Pensate all’organizzazione di una mostra, oltre alla scelta degli artisti, alla linea curatoriale, all’allestimento e quanto altro una delle regole fondamentali per la buona riuscita di un evento è la comunicazione.

Ogni anno centinaia di migliaia di gallerie d’arte ed istituzioni museali di tutto il mondo investono nella promozione, stampando un numero impressionante di cataloghi ed inviti per i loro eventi i quali molto spesso finiscono direttamente nella pattumiera senza essere nemmeno degnati di un rapido sguardo. Questo si traduce in uno (talvolta assurdo) spreco di carta che non giova di certo all’ambiente ed alle finanze.

Tehching Hsieh, una performance chiamata vita

Parliamo oggi di un artista enigmatico, un vero genio della performance che ha riscritto le regole di tale forma artistica spingendo il concetto di sperimentazione oltre i limiti del tempo e del corpo. Si tratta di Tehching Hsieh, artista la cui presenza è recentemente riapparsarecentemente in occasione di due mostre rispettivamente al MoMa ed al Solomon R. Guggenheim Museum di New York.

Il singolare ed incredibile percorso artistico di Tehching Hsieh artista nato a Taiwan nel 1950 e residente a New York è costituito da un’unica serie di performance della durata di un anno che dal 1978 al 1999 hanno fuso l’attività artistica con la vita reale in un percorso di sofferenza e disciplina. Per meglio comprendere l’operato dell’artista descriveremo nel dettaglio questo straordinario lavoro: One Year Performance 1978-1979 (Cage Piece) In questa performance dal  29 settembre 1978 al 30 settembre 1979 Tehching Hsieh si è volontariamente rinchiuso all’interno di una gabbia di legno ammobiliata solo con un lavabo, un secchio, alcune luci ed un letto singolo. Durante l’anno non ha parlato, scritto, letto o guardato tv o ascoltato la radio. Il notaio Robert Projansky ha presenziato alla performance assicurandosi la presenza dell’artista all’interno della gabbia. Un amico ogni giorno si è recato a portare cibo all’artista pulendo i suoi escrementi e scattando una singola foto per documentare il progetto. La performance era aperta al pubblico almeno due volte al mese.

Impossible Project, ben tornata Polaroid

Alzi la mano chi di voi non ha mai agitato una Polaroid in attesa di veder comparire l’immagine scattata solamente un attimo prima. Le pellicole istantanee Polaroid hanno per anni dato la possibilità a milioni di persone di sviluppare in pochi secondi le loro fotografie rappresentando una valida risposta al moderno digitale e fornendo un valido supporto in svariati ambiti professionali.

Inoltre grazie alla sua versatilità ed ai suoi caratteristici colori la pellicola Polaroid divenne nel corso degli anni un vero e proprio media artistico, basti pensare alle scomposizioni di David Hockney ed ai nudi di Nobuyoshi Araki. Anche Andy Warhol non riusciva a separarsi dalla sua macchina fotografica Polaroid Sx-70 con cui fotografava in modo maniacale qualsiasi cosa. La lista di artisti contemporanei che hanno utilizzato la pellicola brevettata dalla famosa industria inglese è lunghissima, si va da Helmut Newton a Mary Ellen Mark passando da Lucas Samaras, Duane Michals e tanti altri.

La pittura è morta, meglio il disegno

L’abbiamo detto più volte nel corso della nostra avventura digitale: la pittura italiana secondo molti detrattori sembra essere in un periodo di nera crisi. Molte testate giornalistiche dedicate all’arte sono concordi nell’affermare che la pittura contemporanea sia ormai appannaggio del Regno Unito, della Germania e degli Stati Uniti.

Anche la critica italiana, per sua natura autolesionista e bacchettona, condanna i suoi nuovi pittori come vetusti, fuori luogo e manieristi. Insomma  non è certo un buon momento per inventarsi pittori, ora che persino coloro che da sempre hanno utilizzato questa tecnica stanno migrando verso i lidi più modaioli dell’installazione e via dicendo.

Alla galleria Il Segno: ‘Propoli’, prima personale di Simone Cametti

Sconcerto, confusione e stupore sono queste le prime sensazioni suscitate nel visitatore che si accinge ad entrare all’interno della storica galleria Il Segno, sita a pochi passi da Piazza Barberini, nei cui esigui ma eleganti ambienti è allestita Propoli, prima personale di Simone Cametti, a cura di Claudio Libero Pisano.

ArtPrize, il superenalotto dell’arte

 Gli americani si sa fanno le cose in grande, il problema e che queste megalomanie hanno contagiato anche il mondo dell’arte che rischia di diventare un grande reality svuotato di ogni sorta di contenuto se non l’estrema voglia di spettacolarizzazione e vetrinizzazione sociale.

Stiamo parlando dell’ormai arcinoto ArtPrize, una competizione artistica creata dal ricco e giovane ereditiero Rick DeVos radicalmente aperta a chiunque con il montepremi più alto della storia. Al vincitore del contest andranno infatti la bellezza di 250.000 dollari mentre il secondo classificato riceverà la cifra di tutto riguardo di 100.000 dollari. Altri premi in denaro sono disponibili per il terzo classificato a cui andranno 50.000 dollari mentre dal quarto al decimo posto la posta in palio è di 7.000 dollari.