Anti/Form, una mostra sulle trasformazioni della scultura al Kunsthaus Graz

Il termine “anti-form” nel 1960 rappresentava l’abbandono del concetto tradizionale di arte e scultura. Ciò si è trasformato in una sfida radicale che ha aperto le porte a nuovi mondi estetici, una tenzone che ha generato negli anni 1980 e 1990  una nuova ondata di sculture la cui influenza è percepibile ancora oggi. La mostra Anti/Form, al Kunsthaus Graz am Landesmuseum Joanneum di Graz (dal 4 febbraio al 15 maggio 2011), illustra per mezzo di esempi significativi provenienti dalla collezione MUMOK a Vienna, il modo in cui il concetto di scultura è stato sviluppato e ridefinito.

Opere di artisti completamente differenti da diversi decenni mostrano come un gesto radicale è divenuto un nuovo paradigma, con un linguaggio proprio. Quello che inizialmente è stato etichettato come scandaloso all’interno del manifesto dell’Anti-Form di Robert Morris ed all’interno della mostra di Harald Szeemann, When Attitudes Become Form  è oggi un fondamento importante per l’intera arte internazionale.

Arte contemporanea e Punk. Non solo Sex Pistols

In questi ultimi tempi tutto il grande filone delle arti visive sta subendo il fascino della cultura Punk, genere musicale e vero e proprio stile di vita che non poteva non essere incluso nel gran rispolvero degli anni ’70-’80. Vengono inaugurate mostre e vengono spesso tirati in ballo Malcolm McLaren ed i Sex Pistols, forse perchè il grande pubblico li riconosce come vere icone del Punk. Le cose comunque non stanno esattamente così e dobbiamo assolutamente precisare che all’interno dei fermenti Punk, Post-Punk ed Industrial, la musica si è spesso fusa con le arti visive generando forze creative ben più potenti e brutali del fenomeno modaiolo inventato ad arte da McLaren e Vivienne Weswood.

Inutile precisare che bands  UK Subs,  Swans e The Cramps hanno senz’altro più cose da raccontare dei Sex Pistols. Molti musicisti dell’epoca pur non appartenendo strettamente alla corrente Punk sono stati artefici di ricerche decisamente significative. Mi vengono in mente le cruente performance di GG Allin che spesso chiudeva i suoi concerti fra sangue e violenza ancora prima di iniziarli.

Giovedì Difesa: Kill me please

Per fortuna ci sono anche alcuni premi che fanno si che film come questo escano nelle sale. L’ho visto nella sala piccola al 4 fontane, ovviamente, poco più grande di alcune tv HD che si narra i ricchi posseggano, se ne esistono ancora. Purtroppo l’ho visto doppiato, ma a quello mi sono arreso.

Kill Me Please è l’opera seconda del regista francese Olias Barco, già autore di «Snowboarder» del 2003, film di cui ignoravo l’esistenza e che mi riprometto di trovare al più presto e magari recensire qui. Il film, come dicevo, per fortuna è stato vincitore del Marco Aurelio d’Oro all’ultimo Festival di Roma. Prodotto dalla casa di distribuzione Archibald, a quanto leggo è stato girato in sole tre settimane, con risicatissimo budget e una troupe minima. Difficile pensare che lo avremmo visto senza “premi” in curriculum.

Ed ora che i soldi sono finiti…

La triste notizia l’abbiamo appresa ieri sia da Exibart sia da altri quotidiani come Repubblica. Il sindaco di Roma Gianni Alemanno ha emesso le previsioni di budget per la “spesa-cultura” del 2011, attuando un bel taglio dei fondi del 50 percento. Praticamente secondo Alemanno alcuni organismi culturali come la Casa dei teatri dovrebbero funzionare con circa 25.000 euro l’anno, tanto varrebbe chiuderli per sempre che lasciarli in lenta e dolorosa agonia. Per quanto riguarda i gioiellini d’arte contemporanea della capitale come il MACRO che ha appena inaugurato la nuova ala creata da Odile Decq, la situazione sembra alquanto grave visto che la celebre istituzione ha bisogno di circa 8 milioni di euro per restare in vita e se ne dovessero arrivare solo 4 allora sarebbero guai seri.

Proprio ora che Roma con il MAXXI, il MACRO, la rinnovata fiera e le sue gallerie si appresta ad entrare di diritto tra le grandi protagoniste dell’arte contemporanea, Alemanno con il taglio di Croppi prima e con quello dei fondi poi, rischia di rovinare un indotto che potrebbe portare buoni frutti. Oggi come non mai è di vitale importanza il ruolo dei finanziatori privati, ammesso che esistano ancora cordate desiderose di aiutare la nostra offerta culturale.

Sebastiano Mauri alla Lithium di Napoli

Il ciclo espositivo Lithium 1 prosegue con la personale di Sebastiano Mauri (Milano, 1972; vive e lavora tra l’Italia e l’Argentina). La mostra che inaugura il 4 febbraio (Lithium, Napoli) prende il titolo dal video ACTION PAINTING (SEX AND VIOLENCE), prodotto tra il 2007 e il 2011. Il video è un atto di esorcizzazione: la videocamera ha ripreso sequenze di sesso e violenza tratte da film, proiettate su una tela riflettente, che scompone l’immagine, rendendola innocua e seducente come un paesaggio dipinto. Accompagnati da una melanconica musica di Chopin, un susseguirsi di schiaffi, abbracci, pugni e penetrazioni sono trasformati in una danza di luci e colori.

La mostra sarà anche l’occasione della presentazione per la prima volta in Italia del grande progetto video Immanence girato in diversi paesi durante quasi due anni. Il lavoro è composto da una lunga serie di ritratti di persone molto diverse tra loro per classe sociale, età, professione e credo religioso. Il concetto di immanenza, secondo gli insegnamenti buddisti, si riferisce alla possibilità di coesistenza in due corpi distinti di una stessa anima.

L’arte è sempre più virtuale?

In meno di un mese il mondo dell’arte ha assistito a due vere e proprie rivoluzioni. Forse prese singolarmente a molti sono sembrate due chicche senz’altro innovative ma pur sempre delle trovate. Ed invece queste due nuove piattaforme internazionali possono esser viste all’interno di un scenario ben più articolato che innegabilmente trasformerà il nostro modo di fruire l’arte. Tutto è iniziato con la Vip Art Fair, la prima fiera dell’arte contemporanea completamente online.

Certo questa nuova manifestazione di mercato ha dovuto fare i conti con dei problemi tecnici riguardanti la velocità di connessione ma tutto è stato causato dall’estremo interesse del pubblico in questa nuova alternativa alla comune fiera d’arte. alla VIP qualcuno ha venduto bene come David Zwirner che ha piazzato la scultura Mary Magdalene (Infinity)di Chris Ofili per 375,000 dollari, mentre altri come Lehmann Maupin Gallery non hanno combinato granchè a causa della lentezza della connessione ed hanno chiesto un parziale rimborso agli organizzatori. I vertici della VIP parlano comunque di 6 milioni di accessi alle opere in fiera.

Jamie Shovlin e la finzione del cinema

Seconda occasione italiana per conoscere il lavoro di Jamie Shovlin (1978, Leicester, UK). L’artista è noto al pubblico romano per la sua recente apparizione al museo Macro con il progetto Hiker Meat, un’esplorazione sulle dinamiche sottostanti alla produzione cinematografica degli anni ’70 e ’80 in cui pone l’accento sulla natura fittizia dell’operazione intesa come metodologia per la costruzione del senso.  Shovin torna ad esporre il suo lavoro presso la galleria 1/9unosunove di Roma dal 1 febbraio al 26 marzo.

All’interno della mostra, Three (and a half) Films with Many Shared Characters saranno presentati, oltre al progetto in questione, una serie di bozzetti preparatori per la realizzazione di tre versioni della locandina del film: la versione italiana del 1979, la versione spagnola del 1981 e infine quella americana del 1981. Una ricerca analitica che va dalla scelta dei personaggi, alla realizzazione delle illustrazioni fino alla selezione dei caratteri tipografici. Tutto concorre a creare l’illusione dell’effettiva esistenza del film.

Julian Assange nuova icona della street art, Kenny Scharf senza speranza

Andiamo a vedere cosa succede nel mondo della street art. Julian Assange, celebre e controverso fondatore di Wikileaks è già entrato nel cuore della gente ed il popolo della street art lo ha eletto nuova icona rivoluzionaria del momento. Proprio come Billy the kid, nemico per molti eroe per altri, Assange ha colpito la fantasia di tutti gli artisti sparsi per il globo che gli stanno già dedicando numerose opere. Nella sua residenza di Abode of Chaos vicino Lione, l’Artista e boss di Artprice Thierry Ehrmann ha già portato a termine un bel faccione di Assange da tenere tra le mura di casa. A Melbourne intanto l’artista auto-didatta Regan Tamanui ha composto un doppio stencil in onore di questo nuovo eroe.

Anche Amorfart in Ungheria ha deciso di utilizzare alcuni stencil con il faccione di Assange per decorare alcuni dischi in vinile. Insomma dobbiamo proprio ammettere che Julian Assange è riuscito a spodestare il caro e vecchio Barack Obama ed al momento sembra che il controverso “spione informatico” sia divenuto una vera e propria musa per la street art di tutto il mondo.

Arriva a Milano The Affordable Art Fair, la fiera con opere sotto i 5.000 euro

Dal 3 al 6 febbraio The Affordable Art Fair – AAF arriva a Milano, dopo il successo ottenuto in molte città del mondo: Londra, Amsterdam, Parigi, Bruxelles, New York, Sydney, Melbourne, Singapore. Ciò che la contraddistingue è un nuovo modo di far conoscere l’arte in maniera divertente e informale. Fin dal 1999, quando Will Ramsay inaugurò per la prima volta la fiera a Londra, l’obiettivo è quello di rendere l’arte contemporanea accessibile a tutti, per dimostrare che non è necessario essere un esperto, un gallerista o un milionario per iniziare una propria collezione d’arte. È questa la filosofia che contraddistingue The Affordable Art Fair (AAF), la più famosa e interessante fiera d’arte per le opere con un limite di prezzo (5.000 euro nella tappa di Milano).

Dalla prima edizione AAF è cresciuta velocemente, diventando un fenomeno globale con fiere in tutto il mondo, grazie alla capacità di portare nuovi contatti e nuovi collezionisti nel mercato. Globalmente più di 800.000 persone hanno visitato le Affordable Art Fair, comprando più di 130 milioni di euro di opere d’arte. Il 2010 ha chiuso con più di 150.000 visitatori: considerando il network, è la fiera d’arte più visitata al mondo.

I musei di tutto il mondo? li vedi su Google Art Project!

Ve ne sarete sicuramente accorti oggi passando per Google ma nel caso vi fosse sfuggita ci siamo noi qui a illustrarvi la nuova piattaforma offerta da uno dei più importanti colossi di internet. Google ha infatti lanciato il Google Art Project, un’importante joint venture con i più grandi e celebri musei del mondo.

All’interno di questo nuovo sito avrete l’opportunità di visitare prestigiose istituzioni come il Tate Britain di Londra, il Metropolitan Museum of Art di New York, gli Uffizi di Firenze, il Museo Reina Sofia di Madrid e tanto altro ancora. Il bello è che entrando virtualmente in ogni museo si ha la possibilità di esplorarlo a 360 gradi un poco come se si trattasse di uno Street view dell’arte.

Quando i talenti emergenti rimangono emergenti per sempre

A volte anche noi esperti del settore ci lasciamo andare a previsioni circa gli andamenti del mercato dell’arte, spesso però queste previsioni vengono largamente smentite dai fatti. Quando si parla di talenti emergenti allora c’è da sbizzarrirsi e qualsiasi curatore, gallerista o altro attore della scena possiede la sua lista personale di bombe pronte ad esplodere. Ognuno ripone molta fiducia sulle sue scelte, forse troppa e sparare nomi a raffica solo per darsi le arie da talent scout non è sempre salutare. Questo meccanismo rischia infatti di porre troppe pressioni su giovani artisti che devono ancora affinare la propria ricerca prima di trasformarsi in veri e propri protagonisti dell’arte contemporanea.

Di meteore negli ultimi anni ne sono volate parecchie e tranne qualche rara eccezione anche i più blasonati talenti vincitori di pluriprestigiosi concorsi sono rimasti in un limbo che spesso e volentieri li vede confinati all’interno della nostra nazione. In sostanza li vedi sempre li, a produrre le loro opere che si risolvono in operazioni documentaristiche spuntate, a vincere l’ennesimo premio o l’ennesima residenza, a farsi chiamare giovani a 45 anni  e a ricevere l’ennesimo articolo su quei magazine nazionali scritti in inglese che fanno molto cool ma grondano autoreferenzialismo a destra e mancina.

Il Mondo è in rivolta ma l’arte deve resistere

Mentre la nostra scena nazionale è ancora ferma ai fasti di Artefiera Bologna, nel resto del mondo i diritti umani e con essi anche le libere espressioni artistiche stanno attraversando un triste periodo che ci appare come un punto di non ritorno. Dal suo sito personale il celebre Zahi Hawass, Segretario generale del Consiglio supremo delle antichità egizie, descrive il saccheggio al Museo Egizio del Cairo come un atto capace di “cancellare nove anni di duro lavoro in un solo giorno“. Il regime trentennale di Mubarak è un’insulto alla libertà e la reazione del popolo è comprensibile.

La terribile spirale di violenza delle ultime ore rischia però di disperdere non solo gli antichi reperti di un grande popolo ma anche i fermenti artistici giovanili che in questi ultimi tempi si erano andati formando in Egitto. Stessa situazione con attori diversi anche in Albania, dove è ancora in atto la rivolta guidata da Edi Rama (politico e noto protagonista delle arti visive) contro l’opprimente regime di Berisha.

Sharon Lockhart – Lunch Break

La galleria Giò Marconi inaugura il 2 febbraio “Lunch Break”, mostra personale dell’artista californiana Sharon Lockhart. Lockhart propone film e fotografie che sono al tempo stesso estremamente rigorose sul piano formale e profondamente umane. Punto di partenza è l’osservazione della vita quotidiana nei suoi dettagli, mentre sul piano tecnico caratterizzano il lavoro la sperimentazione e il richiamo e la commistione tra i due media (film e fotografia).

Nel 2008 Lockhart, trasferitasi per un anno nel Maine, ha osservato per molti mesi i lavoratori del cantiere navale, creando con loro forti legami relazionali e poi collaborativi. I film e le fotografie che sono nati da questa esperienza hanno tutte come soggetto proprio i lavoratori durante la loro pausa pranzo. L’opera centrale della mostra è il film di Lockhart “Lunch Break”, un’unica ripresa in slow motion attraverso un lungo e apparentemente infinito corridoio interno.

Affrettati, anche tu puoi essere in Biennale!

You too can be in the Biennale, anche tu poi essere in Biennale. Con questo (non volutamente) ironico titolo The Art Newspaper fotografa in pieno lo spirito della prossima Biennale di Venezia 2011 al paragrafo Vittorio Sgarbi. Lo stimato magazine d’arte parla di 1.200 artisti in totale di cui circa 200 saranno presenti all’interno del Padiglione Italia. Sempre secondo The Art Newspaper,  il Vittorione Nazionale® mira ad inserire all’interno della manifestazione tutti gli artisti attivi nell’ultima decade, con un particolare accento su coloro i quali sono stati dimenticati o comunque poco conosciuti.

Certo è che se in Italia si volessero selezionare 1.200 grandi artisti da inserire all’interno della manifestazione bisognerebbe chiamare a raccolta l’intera storia dell’arte nazionale, partendo dal medioevo. Ironie a parte, il rischio di riempire Venezia con opere create dal dopolavoro degli impiegati delle poste e così facendo demolire definitivamente l’intera scena nostrana è alto. Charles Saatchi ha preteso di trasformare la Gran Bretagna nella patria dell’arte immettendo di colpo una miriade di nuovi nomi, gli effetti delle sue azioni sono sotto gli occhi di tutti e il Vittorione Nazionale® rischia di bissare.