Il MoMa di New York prepara la sua New Photography


Appropriarsi di fotografie scattate da altri è sempre stata una pratica comune nel variopinto mondo dell’arte contemporanea. Molti artisti hanno cannibalizzato immagini prese dai cartelloni pubblicitari, le hanno ingrandite, modificate e le hanno esposte in musei e gallerie. E tra i nomi di quelli che lo hanno fatto con grande continuità spiccano Andy Warhol, Dash Snow e Richard Prince. Il MoMa, Museum of Modern Art di New York ha intenzione di organizzare ( il prossimo autunno ) una mostra dedicata a questa bizzarra ma estremamente creativa pratica, le regole però saranno un tantino diverse.

Le foto in mostra saranno infatti rifacimenti di immagini commerciali e pubblicità create dagli artisti stessi che parteciperanno all’evento. In sostanza ai fotografi in mostra verrà chiesto di riprodurre una loro creazione, cambiandola in maniera sostanziale. Un ritratto per la copertina di un giornale di moda o una foto per il lancio di un nuovo rossetto diverranno immagini totalmente diverse, pur mantenendo la loro essenza. 

Arte asiatica a New York, arte francese a Londra

La Arario Gallery di New York ha presentato diversi giorni fa una mostra alquanto interessante dal titolo Irrelevant: Local Emerging Asian Artists Who Don’t Make Work About Being Asian (che in italiano potrebbe essere tradotto come artisti asiatici emergenti che non agiscono come artisti asiatici ). La galleria di origini sud coreane che solitamente presenta giovani creativi nazionali, ha deciso stavolta di organizzare un grande evento con 50 artisti per porre in risalto una creatività asiatica scevra dalle solite convenzioni.

Alla mostra, curata da Joann Kim e Lesley Sheng, ci si aspetterebbe infatti di trovare miniature con motivi ornamentali prettamente legati alla cultura storica locale, raffigurazioni di Mao Zedong, di Hello Kitty o peggio ancora di qualche personaggio manga alle prese con improbabili atti sessuali. Invece gli artisti in mostra si sono impegnati a non svelare le loro identità culturali all’interno delle opere ed è interessante notare come l’arte contemporanea del versante asiatico possieda una profondo impegno concettuale che molto spesso è nascosto sotto un manierismo oramai fin troppo noto. Per chi volesse visitarla, la mostra rimarrà aperta sino al 6 agosto 2010, tra gli artisti in mostra figurano i nomi di emergenti come Seong Min Ahn, Shin Young An, Sophia Chai, Louis Chan, Karen Chan, Rona Chang e Gigi Chen.

Quando il calcio incontra l’arte contemporanea

Sfortunatamente la nostra nazionale di calcio non ha superato i gironi all’italiana (ironia della sorte) della fase finale dei mondiali in Sud Africa edizione 2010. Ovviamente questo è un blog d’arte e non staremo certo qui a discutere su chi ha sbagliato e perchè ma è indubbio che anche il calcio nasconde qualcosa di artistico e tale piccola cellula va comunque analizzata. Dalle prodezze dei fantasisti brasiliani alla rappresentazione in chiave moderna della figura mitica dell’atleta, il soccer racchiude in sé una forma estetica che ha più volte influenzato gli artisti del contemporaneo.

Basti citare il celebre video Zidane: A 21st Century Portrait di Douglas Gordon e Philippe Parreno. L’opera mostra le immagini dell’ultima partita di Zidane con il Real Madrid. All’interno del film, la scena è totalmente catalizzata dalla figura del grande campione che occupa ogni inquadratura con la sua energia, la sua concentrazione e la sua fatica. Tutto Zidane minuto per minuto insomma data la lunghezza del lungometraggio che ha una durata di 90 minuti, proprio come una partita di calcio.

Rivane Neuenschwander tra spionaggio e desideri al New Museum di New York

Proprio ieri il New Museum di New York ha presentato al pubblico la mostra personale di Rivane Neuenschwander, caleidoscopica artista brasiliana che rimarrà ospite all’interno degli spazi fino al prossimo 19 settembre 2010 con l’evento dal titolo A Day Like Any Other. Giusto lo scorso venerdì, l’artista si trovava all’interno delle sale a ginocchioni sul pavimento, intenta a tagliuzzare il rivestimento del suolo alla ricerca di microfoni nascosti. Le classiche “cimici” erano state piazzate in locations a lei ignote dagli addetti alla sicurezza.

Fa tutto parte della mia installazione intitolata The Conversation ispirata all’omonimo film di Francis Ford Coppola del 1974. Come ben ricorderete, in quel film Gene Hackman distrugge un intero appartamento alla ricerca di microfoni spia.” Ha dichiarato con piglio divertito l’artista. Rivane Neuenschwander incentra abitualmente le sue opere sulla paranoia ma anche sul gioco, specialmente su quel genere di giochi che coinvolgono anche il pubblico in maniera partecipativa. La presente performance finirà solamente quando l’artista avrà trovato tutti i microfoni presenti all’interno dello spazio espositivo che saranno poi rimpiazzati con speakers che emetteranno i suoni prodotti dall’incessante ricerca dell’artista (che ha completamente distrutto lo spazio). 

Gagosian mette in mostra l’ultimo Lichtenstein a New York

La nuova mostra della Gagosian Gallery di New York ( in visione fino al prossimo 30 luglio) presenta al pubblico un’interessante mostra che si potrebbe tranquillamente definire di carattere museale non fosse altro per il fatto che a presentarla è un vecchio squalo del mercato dell’arte. Si tratta di una personale dedicata a Roy Lichtenstein che focalizza l’attenzione sulle opere prodotte tra gli anni ’70 e gli anni ‘80. Roy Lichtenstein: Still Lifes è il titolo di questo evento che porta nella rinomata galleria di Chelsea più di 50 opere del grande artista, scomparso nel 1997. Still Lifes è una panoramica sulle ultime creazioni di un Lichtenstein che aveva abbandonato le sue visioni strettamente relative al fumetto per spostarsi vero un’estetica cubista

Dal 1972 al 1981 Lichtenstein lavorò a numerose Nature morte e realizzò opere ispirate al Futurismo, a De Stijl, al Costruttivismo russo, al Surrealismo e all’Espressionismo tedesco. Numerose furono anche le mostre di quel periodo. Nel 1972 infatti Lichtenstein fu presente al Contemporary Art Museum di Houston, nel 1975 al Centre National d’Art Contemporain di Parigi, nel 1978 all’Institute of Contemporary Art di Boston. Infine nel 1979 gli venne commissionata la prima scultura pubblica: The Mermaid per il Theatre for the Performing Arts di Miami Beach.

Guerre Stellari è simile al mondo dell’arte contemporanea

Lo scorso Giovedì il Philoctetes Center di Manhattan ha inaugurato un bizzarro incontro di contemporanea incentrato su di un progetto dello scultore John Powers. L’evento dal titolo Star Wars and Modernism: An Artist Commentary è appunto una provocatoria ed originale iniziativa volta ad approcciarsi alla celebre pellicola Star Wars non solo come il più banale dei blockbusters americani ma anche come un interessante soggetto artistico dotato di una propria mitologia.

Secondo Powers, Star Wars è una metafora della guerra del Vietnam e le forze oscure del maligno Impero sono in realtà una raffigurazione dell’esercito americano. Oltre a tutti i raffronti metaforici offerti da Powers, l’artista ha ribadito l’aspetto estetico minimalista che si cela all’interno degli oggetti del film. Durante l’incontro/conferenza, Powers ha mostrato alcuni oggetti tratti dalle scene del film con accanto alcune opere d’arte minimalista e l’effetto è stato decisamente stupefacente.

Questo mese a New York

La pioggia di questa strana estate non fa che accentuare la voglia di sole, e come si sa il sole richiama alla mente il tempo delle vacanze. Quindi se siete già in vacanza e se in questi giorni vi trovate negli States, allora cercate di non perdervi queste interessanti mostre che vi proponiamo nel presente articolo.
Il curatore e blogger Olympia Lambert ha aperto le danze di un ambizioso progetto realizzato in collaborazione con il Paterson Arts Council del New Jersey. Si tratta della mostra Escape From New York, evento che riunisce 45 giovani artisti della scena newyorchese ed è aperto al pubblico dal 15 maggio al prossimo 19 giugno 2010.

All’interno dell’agguerrito manipolo figurano anche alcuni protagonisti della Whitney Biennial edizione 2010 come Bruce High Quality Foundation e Kate Gilmore ma la selezione presenta anche artisti emergenti e relativamente sconosciuti che riescono a sorprendere anche i più navigati presenzialismi dell’arte. L’evento si tiene al Fabricolor sulla VanHouten Street di San Paterson nel New Jersey ovviamente.

Kate Gilmore invade le strade di New york

Kate Gilmore ha deciso di oltrepassare i limiti delle sue performance solitarie e decisamente struggenti, optando per un’azione collettiva un poco più allegra e del tutto inusitata. Il progetto prende il titolo di Walk the Walk ed è costituito da una grande piattaforma cubica posta in questi giorni nei pressi di Bryant Park a New York. Sul cubo di legno giallo si trovano sette donne completamente fasciate da un vestito giallo canarino che passeggiano incessantemente avanti ed indietro proprio nelle ore di punta della grande metropoli, riflettendo lo spirito dei marciapiedi trafficati della città.

Il cubo può essere attraversato ed al suo interno è possibile udire una sorta di installazione sonora generata dai passi delle performers.  La colorata opera di Kate Gilmore sembra quasi un monumento ai lavoratori, ai cittadini ed all’energia di una New York sempre in movimento.

Alla mostra di Marina Abramovic al Moma fioccano le molestie sessuali

Abbiamo già parlato della grande e meravigliosa retrospettiva intitolata The Artist is Present che il Moma di New York ( fino al prossimo 31 maggio) ha dedicato alla visionaria creatività di Marina Abramovic. Ovviamente la manifestazione sta andando a gonfie vele e l’artista ha già raccolto fiumi di consensi e critiche positive. Tutti sembrano contenti e gioiosi ma sembra che alcuni performers impegnati nelle re-performances di note opere di Marina Abramovic non siano dello stesso avviso. Sembrerebbe infatti che alcuni performers (ricordiamo che numerose opere di Marina Abramovic prevedono la presenza di corpi nudi) abbiano subito molestie da parte dei visitatori della mostra.

Alcuni giorni fa un giovane ballerino di nome Will Rawls era appunto impegnato in un’opera presente all’evento. Nello specifico Rawls era in piedi all’entrata della galleria, di fronte ad una donna nuda, molti di voi avranno già capito che l’opera in questione è Imponderabilia del 1977 originariamente inscenata da Marina Abramovic ed il suo compagno Ulay. Tornando a noi, Rawls aveva già notato con la coda dell’occhio un vecchio uomo che era in procinto di passare attraverso i corpi nudi dei due performers.

John Day, Barbara Andrus e Cui Fei, nuove realtà della nuova Land Art

Negli ultimi anni alcuni artisti ascesi agli onori dell’arte contemporanea internazionale hanno iniziato a lavorare con materiali naturali, rispolverando gli antichi fasti della Land Art nata sul finire degli anni ’60. I protagonisti di questa insolita forma d’arte creata con arbusti, rami ed altre elementi sono riusciti nel difficile intento di creare simbolici ed evocativi ambienti che mostrano in pieno la bellezza e la malleabilità della natura.

Tre di questi artisti, John Day, Barbara Andrus e Cui Fei, sono in questi giorni ospiti della Amelie A. Wallace Gallery, all’interno dell’Old Westbury college di New York, in occasione della mostra Regarding Nature: Thorns, Twigs, Buds and Branches (in mostra sino al 2 maggio 2010). Stranamente nessuno di questi tre artisti è realmente interessato alle politiche ambientali ma piuttosto all’estetica ed ai modi in cui alberi e rami possono essere intrecciati per combinare nuove forme.

Ironia ed arte contemporanea in due mostre a New York

L’ironia è una componente fondamentale nell’arte contemporanea. Se pensate alla creatività di Marcel Duchamp ad esempio è impossibile non notare la forte carica ironica che traspare da ogni sua opera. Eppure Duchamp tramite l’ironia dei Readymades è riuscito ad influenzare intere generazioni artistiche tanto che oggigiorno è possibili ravvisare la sua impronta nella stragrande maggioranza delle opere che vediamo nelle gallerie d’arte contemporanea.

L’ironia è il fulcro della mostra dal titolo Knock Knock: Who’s There? That Joke Isn’t Funny Anymore (traducibile in Toc Toc: Chi è? Questo scherzo non è più divertente) in visione alla Fred Torres Collaborations ed alla Armand Bartos Fine art di New York fino al prossimo 24 aprile. I dealers hanno raggruppato più di 75 opere (iniziando da Duchamp ovviamente) che oltre ad esaminare i meccanismi dell’ironia ma anche i suoi fini. Elana Rubinfeld e Sarah Murkett, rispettivi direttori delle gallerie coinvolte nel progetto, hanno vagliato il lavoro di 400 artisti alla ricerca del tanto sperato sense of humor.

Ryan McGinley passa alla fotografia digitale

La giovinezza non mi ha mai appassionato più di tanto. Raramente vedo qualcosa di bello in una faccia giovane” dichiarò un giorno il grande fotografo Richard Avedon. Chissà quindi cosa direbbe Avedon riguardo alla incredibile carriera di Ryan McGinley. Il fotografo 32enne nel 1999 inviò per posta ad alcuni editori un portfolio contenente alcune delle sue opere fotografiche, il libricino fai-da-te fu creato con una comune stampante a getto di inchiostro, di quelle che abbiamo tutti noi dentro casa.

All’interno del porfolio Mc Ginley aveva inserito immagini di ragazze e ragazzi giovanissimi perché, a differenza di Avedon, il giovane fotografo era appassionato dalla giovinezza. Questo evidentemente fece la sua fortuna visto che a soli 25 anni fu notato dal Whitney Museum che gli dedicò niente di meno che una mostra personale. Oggi, dopo circa dieci anni di fotografia tradizionale, McGinley si è ritirato nel suo studio nel Lower East Side di New York per preparare il suo primo progetto tutto in digitale. Everybody Knows This Is Nowhere è quindi il titolo della nuova mostra di McGinley alla Team Gallery (in visione dal 18 marzo al 17 aprile 2010), evento che racchiude le sue ultime serie fotografiche. 

Mike Nelson e la fine del sogno americano

 Mike Nelson, il mago britannico delle trasformazioni architettoniche, ci invita ancora ad immergerci al di sotto della superficie e scoprire la sostanza di cui sono fatti i nostri incubi collettivi. Nella scorsa decade, Nelson è stato il creatore di quelle che potremmo definire case dell’orrore psicologico, installazioni dannate ed oscure che hanno indagato l’ampia gamma della messa in scena contemporanea, evocando ambienti mitologici e fantastici del quotidiano come celle segrete, moderne miniere del terrorismo, agenzie di viaggio del terzo mondo, templi voodoo fino ad arrivare ai banali ambienti degli anni novanta come gli internet cafè.

Insomma i mondi ready made di Nelson sono veri e propri simboli di un’archeologia inventata, di scenari irreali ma decisamente realistici. Per la sua nuova mostra dal titolo Quiver of Arrows, ospitata dalla galleria newyorchese 303 Gallery (in visione fino al 10 aprile 2010 ), Mike Nelson ci invita ancora una volta a considerare i margini politici e controculturali della società globalizzata. Una volta entrati nello spazio ci si trova a fare i conti con alcuni trailer da campeggio defunti e montati come trofei su dei binari di legno.

A New York una mostra sulla quarantena

Martedì scorso quel frammento che è la galleria Storefront For Art & Architecture di New York non è riuscito a contenere la folla che ha invaso gli spazi in occasione del progetto collaborativo Landscapes of Quarantine ( in visione fino al prossimo 17 aprile). Anche l’aggiunta di un paio di strutture in Tyvek (intitolate irriverentemente Suck & Blow) che hanno esteso lo spazio fino a comprendere tutto il marciapiede, non è bastata a creare più spazio per gli innumerevoli curiosi presenti. L

’evento è stato organizzato da Geoff Manaugh e Nicola Twilley, rispettivamente marito e moglie oltre che coppia curatoriale. L’idea della quarantena è stata ispirata da un viaggio a Sidney dove i coniugi hanno alloggiato in un Hotel di lusso, un tempo luogo di quarantena. Landscapes of Quarantine prevede l’intervento di un mix di artisti, architetti, video game designers,scenografi teatrali ed architetti, personaggi che hanno avuto il compito di esplorare in otto settimane le implicazioni culturali di una tattica di auto-preservazione vecchia come la lebbra.