BestNonBuy, una performance all’interno del centro commerciale

 Lo shopping è una forma d’arte tutta Americana quindi è naturale che un membro della Flux Factory, l’artista Man Bartlett ha deciso di elevare definitivamente questa pratica al rango di performance in un progetto dal titolo BestnNonBuy. Con un passato nel teatro, Bartlett ha deciso di passare 24 ore in un megastore della catena Best Buy sito in Union Square a Manhattan con l’intenzione di non spendere nemmeno un dollaro.

La performance ha avuto inizio alle 6 del pomeriggio del 7 gennaio e durante lo scorrere delle ore l’artista ha subito cominciato ad avvertire i segni della sindrome da centro commerciale, ossia cerchio alla testa ed occhi stanchi con conseguente calo dell’attenzione. L’artista, durante la sua lunga detenzione all’interno di uno dei templi del consumismo moderno, è però rimasto in contatto con il mondo esterno aggiornando periodicamente la sua pagina di Twitter.

Mat Collishaw omaggia il grande regista Sergei Paradjanov

 Mat Collishaw è da più di venti anni una figura preponderante dell’art scene internazionale. Ora l’artista ha ricevuto un’importante commissione dalla BFI gallery per una mostra incentrata sull’opera visionaria del regista georgiano/armeno Sergei Paradjanov. Il progetto che partirà il 26 febbraio e rimarrà in visione sino al 9 maggio, fonde la scultura con le immagini in movimento in un lavoro d’atmosfera che evoca lo spirito delle pellicole del grande regista e apre la pista ad un festival dedicato al cinema di Paradjanov che si terrà nei cinema della BFI Southbank in questa stagione.

Collishaw e Paradjanov condividono una profonda comprensione delle meccaniche della bellezza caratteristica ravvisabile in ogni opera dei due grandi artisti  pur se contrassegnata da diversi elementi culturali. Un uso sensuale del colore sembra la cifra stilistica che unisce a doppio nodo l’opera dei due. In occasione di questo evento Collishaw ha deciso di assemblare oggetti di antiquariato, finestre abbandonate e specchi assieme ad un video recentemente girato in Armenia.

La Triennale di Milano negli States e Deitch alle prese con il conflitto di interessi

 New York City potrebbe presto avere più musei dedicati al design che all’arte. Mettendo a tacere tutte le voci di corridoio sulla possibile nuova istituzione che andrà ad occupare lo spazio lasciato libero dal Museum of Arts & Design sulla 53esima strada (attualmente il museo si è trasferito nel Lollipop building su Columbus Circle) la Cushman & Wakefield ha annunciato ieri che tale buco sarà coperto da un museo italiano dedito al design. Si tratta del Triennale Design Museum di Milano che ha firmato un affitto di ben 15 anni per i 18.000 metri quadrati dello spazio espositivo su un totale di quattro piani.

Tale spazio rappresenterà la prima location del Triennale di Milano negli Stati Uniti e la terza in assoluto. Il museo ha infatti aperto nel 2006 un avamposto in Giappone mentre a Milano la sede è stabile da 90 anni. Il nuovo museo dovrebbe aprire a maggio con l’intento di coincidere con la Fiera internazionale del Mobile Contemporaneo. Le dimensioni saranno così suddivise: 10.000 metri quadrati di spazio espositivo, 3.000 metri quadrati di cafè e ristorazione e 3.000 metri quadrati di bookshop.

Amir Mogharabi alla galleria 1/9 unosunove di Roma

Unosolo, la project room della galleria romana 1/9 unosunove inaugura il 14 gennaio la prima mostra personale in Italia dellʼartista newyorkese Amir Mogharabi (1982, Shiraz).

In linea con il significato che il numero 11 riveste nella riflessione teorica ed artistica di Amir Mogharabi e con lʼimportanza della componente performativa del suo lavoro la preparazione di Interior 01|11|10 avrà inizio il giorno 11 gennaio 2010. Ogni giorno lʼartista porterà avanti lʼallestimento della mostra realizzando i lavori direttamente in galleria e incontrando alcune persone (artisti, curatori, scrittori) invitate a interagire con il processo installativo attraverso discussioni sul lavoro svolto giorno per giorno. Tale confronto rappresenterà un contributo fondamentale e necessario per il risultato stesso della presentazione finale prevista per il 14 gennaio alle ore 19.

Andy Holden rimette al suo posto la piramide di Giza

La Tate Britain ospita attualmente una mostra del giovane artista britannico Andy Holden, l’evento rimarrà in visione fino al prossimo 10 aprile. Fin qui nulla di strano ma la singolare notizia arriva proprio da una dichiarazione di Holden che ha rivelato di aver rubato un pezzo di una piramide egiziana.

Il misfatto è stato compiuto in un viaggio di piacere, l’artista a 12 anni accompagnò il padre in Egitto. I due visitarono la piramide di Giza, una delle sette meraviglie del mondo antico ancora in piedi e relativamente intatta oltre che la più grande piramide del mondo. “Non appena giunti in prossimità della piramide ho rotto un pezzo di pietra da un lato della piramide” ha dichiarato Holden “Quando sono tornato a casa ho piazzato il pezzo di piramide su di uno scaffale della mia cameretta vicino alla collezione di souvenirs che avevo da bambino. Quando i miei genitori se ne accorsero andarono su tutte le furie e l’oggetto in questione divenne appunto l’oggetto della colpa”.

Nuovo pellegrinaggio creativo verso la Cina

Di arte contemporanea ed artisti cinesi ne abbiamo già ampiamente parlato, sviscerando tutti gli aspetti di un boom inaspettato che ha però nascosto molte illusioni ed insidie per collezionisti ed addetti ai lavori. Insomma l’invasione cinese è stata già analizzata ma non abbiamo mai sottolineato il trend inverso è cioè l’invasione della Cina da parte degli artisti europei ed americani, fenomeno che negli ultimi 5 anni si è diffuso tra moltissimi creativi che hanno fatto pacchi e valigie trasferendosi nella nazione Asiatica.

Così ha fatto anche Alessandro Rolandi (oggi artista molto stimato in Cina), scultore italiano, che è rimasto in Cina assieme ad una colonia di artisti che hanno deciso di espatriare, accettando una sfida che nasconde molte difficoltà ma anche moltissimi aspetti positivi. Molti artisti, come Rolandi hanno lasciato i piccoli studi ed il ristretto cerchio di una scena contemporanea sempre più settoriale per scoprire una terra con vaste possibilità creative dai costi incredibilmente bassi. In Cina gli artisti possono affittare uno studio enorme ad un prezzo irrisorio, permettersi schiere di assistenti e sperimentare liberamente in media costosi come il bronzo ed il fiberglass senza andare sul lastrico.

Il cinema piange Eric Rohmer, padre della Nouvelle Vague

 Il mondo dell’arte perde un grande maestro, Eric Rohmer il regista francese pioniere della nouvelle vague che ha catturato i cuori dei cinefili di tutto il mondo si è spento ieri all’età di 89 anni. Il cinema di Rohmer ha seguito la sua personale visione: ritrarre l’intimo di ogni personaggio senza aggiungere una drammaticità estranea. Questa particolare caratteristica ha suscitato più volte critiche da parte degli esperti, di registi ed attori, Gene Hackman la grande star di Hollywood ha un giorno dichiarato:”Guardare un film di Rohmer è come guardare la vernice che si asciuga”.

Fu proprio Rohmer a fondare negli anni ’50 la nouvelle vague, movimento cinematografico che riuniva grandi registi come Francois Truffaut, Jean-Luc Godard, Jacques Rivette e Claude Chabrol. La Nouvelle vague era in primis una cerchia di amici appassionati di cinema che conosceva profondamente il cinema e  molto spesso scriveva di cinema su Cahiers du Cinema, prestigiosa rivista fracese dedicata alle immagini in movimento. Nel 1959 Rohmer decise di girare il suo primo lungometraggio Il segno del Leone ma non ricevette il successo sperato.

L’arte si avvicina al marketing: Jeffrey Deitch nuovo direttore del Moca

Il mondo dell’arte contemporanea è oramai strettamente connesso all’economia. Oggigiorno molte istituzioni più che di un direttore o di un curatore hanno bisogno di un manager e di un abile fundraiser. Insomma non è mistero che molti musei prediligono direttori che hanno già un portfolio di contatti fitto di gallerie e collezionisti prestigiosi che non vedono l’ora di “prestare” le loro opere alle istituzioni pubbliche in modo e maniera da veder levitare le quotazioni degli artisti di casa. Dal canto loro i musei possono così permettersi grandi eventi senza dover sborsar troppi soldi. Se il il grande artista contemporaneo è equiparabile ad un brand aziendale il museo non è da meno e per vendere al meglio i suoi prodotti artistici sceglie sempre un abile esperto in marketing con un grande fiuto per gli affari piuttosto che un grande conoscitore dell’arte.

La vicenda della nomina del nuovo direttore del MOCA,Los Angeles Museum of Contemporary Art (Castello di Rivoli docet) non fa altro che avvalorare questa tesi. Il nome del fortunato prescelto è stato reso pubblico ieri sera dal finanziatore del Moca Eli Broad e dai membri del consiglio Maria Bell e David Johnson. Si tratta di Jeffrey Deitch, celebre art dealer proprietario della Deitch Projects di New York e vecchio volpone del mercato dell’arte contemporanea stimato da un nutrito gruppo di grandi artisti.

Burj Khalifa Tower, il declino dell’architettura contemporanea

 La nuova meraviglia (se così possiamo definirla) dell’architettura è la Burj Khalifa Tower di Dubai. Inaugurato pochi giorni fa l’edificio è detentore del primato di costruzione più alta del mondo con i suoi 818 metri di altezza per 160 piani in totale. 12.000 operai hanno lavorato al giorno e notte al faraonico progetto che è stato completato in pochissimo tempo. D’altronde nel campo dell’architettura, come nella vita del resto, il tempo è tutto ma la tempistica della Burj Khaifa non poteva essere peggio di così.

L’edificio giunge a noi in 21esimo secolo impoverito dalla crisi economica dove il primato di edificio più alto del mondo è divenuto un noioso cliché che infastidisce per la sua insulsa opulenza oltre che risultare offensivo se messo in relazione con povertà che ci circonda. Di questo negli Emirati Arabi se ne sono ben resi conto visto che pochi giorni prima della fine dei lavori Dubai ha dovuto mettere i suoi creditori in attesa, segno evidente che gli eccessi della nazione sono giunti al capolinea. Il sistema che ha prodotto la Burj Khalifa sta ormai cadendo in pezzi e questo dovrebbe far riflettere le frotte di Archistar sempre pronte a realizzare edifici stravaganti e sfarzosi che oramai non hanno più senso all’interno di tessuti urbani sempre più poveri e sconnessi.

Billy Name perde il suo archivio con le foto di Andy Warhol

 A 23 anni dalla morte del grande genio della pop art Andy Warhol, un esercito di persone ha dichiarato di aver lavorato fianco a fianco con lui nella Factory durante i gloriosi anni ’60 ed il trionfo delle rivoluzionarie serigrafie con i volti di Elvis Presley e Marilyn Monroe. Uno di loro però non ha mai avuto bisogno di urlare a gran voce il suo contributo dato alla Factory, perchè le sue fotografie parlano da sole. Stiamo parlando di Billy Name che ora vive in un piccolo appartamento vicino ad una stazione dei treni a New York.

Per sette anni dal 1963, da quando cioè Warhol gli mise in mano una macchina fotografica Pentax Honeywell, Name è stato il fotografo ufficiale della Factory catturando ogni singola immagine ed ogni singolo volto delle superstars che transitavano nella fabbrica del pop. Name lasciò il suo posto nel 1970, traumatizzato dal celebre incidente del 3 giugno 1968 quando Valerie Solanas, un’artista frequentatrice della Factory, sparò ad Andy Warhol e al suo compagno di allora Mario Amaya. Entrambi sopravvissero all’accaduto, anche se Andy Warhol in particolare riportò gravi ferite e si salvò in extremis.

Un Takashi Murakami depotenziato al Palazzo di Versailles

 Il Palazzo di Versailles o per meglio dire il presidente del programma culturale dell’istituzione, Jean-Jacques Aillagon, ha da poco annunciato i primi dettagli della futura mostra dedicata al re del pop giapponese Takashi Murakami che si terrà dal 12 settembre al 12 dicembre. Le notizie trapelate dalle prime indiscrezioni sono alquanto sorprendenti.

L’istituzione ha infatti deciso di organizzare un mostra dal basso profilo, evitando in qualche modo le roventi polemiche dello scorso anno a causa della mostra dell’altro baronetto del pop Jeff Koons che aveva invaso con le sue 17 coloratissime ed irriverenti sculture il palazzo francese suscitando le ire di molti esponenti della National Union e della borghesia transalpina. Come si sa il palazzo di Versailles è simbolo supremo della monarchia e per questo ancorato ad un sistema borghese difficile da sradicare.

Continua lo stile libero italiano allo Studio Cannaviello di Milano

 Si continuano a presentare due alla volta gli artisti dello Stile Libero Italiano, la situazione artistica che si è creata intorno alla galleria e sulla quale ha ruotato l’attività di tutto quest’ultimo anno. Ecco dunque che il 14 gennaio lo Studio d’Arte Cannaviello inaugura Lateralus, la mostra bipersonale di Stefano Cumia (Palermo, 1980) e Silvia Idili (Cagliari, 1982), entrambi pittori, entrambi di origini isolane, entrambi hanno scelto Milano come nuova dimora per esprimersi ed operare.

Il titolo della mostra fa riferimento al “pensiero laterale”, una modalità di risoluzione di problemi logici che prevede un approccio indiretto, ovvero l’osservazione del problema da diverse angolazioni. Il pensiero laterale si discosta da quello sequenziale (da cui il termine laterale) e cerca punti di vista alternativi per superare i confini e gli schemi precostituiti.

Naoshima, l’isola dell’arte contemporanea

 Un’immensa zucca a pois neri creata dall’artista Yayoi Kusama accoglierà curiosi, appassionati d’arte, semplici turisti e pescatori che si troveranno a sbarcare su Naoshima una piccola isola del mare interno di Seto. L’isola è talmente minuscola che la sua superficie è di appena 8 chilometri quadrati, un poco più grande dell’isola di Port-Cro nel mediterraneo. Ma Naoshima non è un isolotto qualunque perchè il miliardario giapponese Soichiro Fukutake ha intenzione di trasformarla nell’isola degli artisti. Fukutake è proprietario di un grande gruppo di scuole a distanza (tipo Berlitz), il magnate di 63 anni è il quarto uomo più ricco del Giappone e da più di venti anni continua realizzare il sogno nel cassetto, trasformare l’isola in un grande paradiso per l’arte contemporanea.

Si tratta di una vera è propria sfida poichè l’isola è stata per anni una sorta di deposito per lo stoccaggio di rifiuti industriali e per questo vietata al pubblico, inoltre sono in molti ad averla apostrofata come la pattumiera del Giappone. Naoshima ospita già il Chichu Art Museum, un’istituzione museale per l’arte contemporanea costruita interamente in cemento dal celebre architetto Tadao Ando.

Casio trasforma la cornice in opera d’arte

Per tutti gli anni ’80 e gran parte dei ’90 l’azienda giapponese della Casio ha monopolizzato il mercato della tecnologia, invadendo il mercato con simpatici quanto utili calcolatrici ed orologi da polso decisamente innovativi. Nel corso degli anni la Casio ha continuato a produrre materiale di alto livello ma è stata sicuramente un poco sommersa da un mare magnum costituito da migliaia di altre aziende. Oggi però la Casio potrebbe ravvivare l’attenzione con un prodotto sbalorditivo che interesserà anche il nostro caro mondo dell’arte contemporanea.

La ditta giapponese ha infatti svelato una Digital Art Frame (cornice di arte digitale) capace di trasformare le fotografie che vengono inserite al suo interno in dipinti ad olio, acquerelli ed altre tecniche pittoriche. La sensazionale cornice digitale è stata da poco presentata al CES, Consumer Electronics Show di Las Vegas (aperto dal 7 al 10 gennaio), la più grande kermesse internazionale del settore elettronica, con i suoi oltre 2.500 espositori.